Si chiama OGR Club ed è un nuovo impulso elettromagnetico nell’anima di Torino. La location è ovvia: le Officine Grandi Riparazioni. Da ormai sei anni le OGR sono entrate a far parte del tessuto culturale della città, creando e modellando format per espandere una visione che era chiara fin da subito, da quell’eccezionale evento inaugurale del 2017. “Big Bang”, così si chiamava. Al tempo, ricordo di averne parlato nei termini di una risposta perentoria, alla domanda: “E adesso cosa succederà?”. “Adesso il futuro passerà da qui”, sembravano dire le altissime pareti con mattoni a vista.
Il futuro, ritardato dall’imprevisto storico che tutti conosciamo, per certi versi ora è davvero qui. Tra festival (a proposito, avete visto la lineup del C2C 2023?), talk, fiere, mostre e tanto altro, il ruolo del centro polifunzionale del capoluogo piemontese è sempre più centrale. In un ricco gioco di prospettive si inserisce anche OGR Club, la rassegna di musica dal vivo che ha l’obiettivo di ospitare artisti nazionali e internazionali in uno degli spazi più suggestivi del complesso: l’affascinante Duomo. Non si tratta di inizio, dato che OGR Club nel 2022 ha già mandato in scena diversi artisti, come Lepre (Lorenzo Lemme), Galea, Edda, Gianni Maroccolo e Niccolò Bosio. Forse è più un rilancio, la nuova stagione di un evento che ha tutta l’intenzione di diventare un punto di riferimento, con la sfida di emergere nella scorpacciata bulimica di appuntamenti dal vivo nella quale questo 2023 promette di trasformarsi.
Dunque, come fa a farsi notare OGR Club? La risposta colpisce dritto in faccia chiunque varchi la soglia della sala Duomo. Sembra l’interno di una vera cattedrale austera. Sullo sfondo c’è l’ormai iconica presenza delle scritte al neon, utili ad ammorbidire i toni e a trasformare un luogo dall’aspetto così solenne in un caldo locale nel quale ritrovare vecchi amici e farne di nuovi. Ma a rendere il tutto più speciale c’è il set atipico con cui OGR Club è stato pensato. Non c’è palco, non ci sono transenne. Nessuna barriera. Ci sono i musicisti, c’è il pubblico e in mezzo a loro il collante emotivo più versatile e potente che esista: la musica.
Davanti alla backline si presenta dapprima Amalfitano, cantautore romano – nonché frontman della band Joe Victor – che abbiamo da poco avuto il piacere di intervistare. In questa parentesi solista tutta in italiano, che ha preso i contorni di una lettera d’amore verso la città di Palermo, la musica di Amalfitano è il modo perfetto per avviare la serata. Dal vivo sembra aderire ancora meglio all’idea romantica del suo nuovo progetto, malcelando ricordi di vita vissuta tra i suoni analogici degli strumenti della sua bella band.
Tocca poi agli Elephant Brain, che colgono l’occasione per presentare alla città di Torino il loro nuovo album in studio: “Canzoni da Odiare”. Vedo Claudio Lo Russo degli Atlante nelle retrovie e penso che forse forse una scena alternative rock giovane italiana, tutto sommato c’è. Vedo le tre chitarre degli Elephant Brain sul palco-non-palco e penso ai Foo Fighters, così li prendo un po’ sul serio. Poi, però, guardo la maglietta di Roberto Duca, bassista, e sull’incrocio tra le parole “Nirvana” e “Riviera” mi spacco dal ridere e non posso fare a meno di assecondare la volontà di OGR Club e sentirmi tra amici.
Andrea Mancini, oltre ad essere la chitarra solista della band è anche il mattatore della serata. Nuova scuola IDLES, si immerge tra la gente a ogni buona occasione. Non deve neanche scendere dal palco, perché il palco non c’è. Per non rinunciare alla teatralità dello stage diving si arrampica sullo stativo di una cassa e si butta come può, surfando sulle centocinquanta teste che la piccola venue può contenere. Manda a surfare pure la propria chitarra, mentre Vincenzo Garofalo porta avanti lo show con una maturità non così scontata. Anche Emilio Balducci (chitarra) e Giacomo Ricci (batteria) fanno la loro porca figura, suonando un set pressoché perfetto. Il pubblico ci mette un po’ a scaldarsi, ma passa dai primi momenti di silenzio imbarazzante al pogo liberatorio di chi avrebbe pagato per una serata che, invece, è stata offerta a titolo gratuito.
Personalmente, trovo gli Elephant Brain commoventi. Perché mi hanno costretto a deporre il lato mio lato più cinico – quello che a dieci anni dai primi concerti dei Fast Animals and Slow Kids già inizia a guardare male i ragazzini che non sanno le parole di “Coperta” – e a godere ancora una volta di una giovane band che sa suonare, sa divertirsi e ha un cantante che sa cantare. Dovrebbe essere scontato? Eh, ma a quanto pare non lo è. Ma soprattutto gli Elephant Brain hanno quel pizzico di ingenuità e quel tipo di testi nei quali una mandria di sbandati può ancora genuinamente ritrovarsi. Sono figli di Perugia e di quell’Umbria che spacca e auspicabilmente continuerà a spaccare, con qualche derivazione non troppo implicita che è impossibile da non notare e che sembra ricorrente nelle nuove leve del genere. Per farla breve, gli Elephant Brain stanno ai Fast Animals and Slow Kids come i Cara Calma stanno ai Ministri. E in entrambi i casi va benissimo così, perché qualcosa da dire ce l’hanno – lo dicono anche bene, molto bene – e il testimone raccolto è ben lontano dall’essere sacrificabile. C’è bisogno di queste band, c’è bisogno di questa musica dal vivo e c’è bisogno di chi, come OGR Club, crede ancora nella buona musica.