Negli ultimi mesi – per quanto fossimo distratti dagli eventi e le accelerazioni – sono venuti fuori un po’ di bei dischi che potremmo esserci persi per strada e vale la pena segnalare. Qui sotto ne trovate tredici, a cui potete accompagnare le nuove uscite che abbiamo segnalato nelle scorse settimane in approfondimenti sui nuovi album di Nicolas Jaar, Yves Tumor, The Strokes, Fiona Apple e Moses Sumney. Tiriamo fuori quel vecchio giradischi immaginario, e andiamo all’ascolto.
Agnes Obel – Myopia
21 Febbraio, Deutsche Grammophon
A quattro anni da Citizen Glass, torna Agnes Obel con un disco sofisticato e introspettivo. La musicista danese d’adozione berlinese ci culla tra atmosfere cupe e dolci, come nelle affrante note di piano di Roscian, nel frastuono angosciante e tradizionale di Drosera, o nel canto misterioso e lontano della title-track Myopia. Una desolazione d’autore, che conferma la classe di Agnes Obel come musicista europea elegante e glaciale che sa mescolare vecchia e nuova scuola, sonorità ormai andate di città d’altra epoca (Parliament of Owls), e deliziose incursioni nel futuro (Can’t Be). Raffinato, impietoso.
Caribou – Suddenly
28 Febbraio, City Slang
Dieci anni fa usciva Swim, il disco che consacrava il suono dell’elettronica di Caribou – il genere di disco che potrebbe farci dubitare a distanza di un decennio che Suddenly venga fuori dalla stessa mente e la stessa mano. Ma un talento famelico e sperimentale come quello di Dan Snaith non poteva certo stare a guardare quello che succedeva negli ultimi anni, la musica in movimento e le nuove possibilità creative e sincretiche per il linguaggio dell’elettronica. Così non siamo stupiti se in questo nuovo lavoro ci troviamo ad ascoltare brani che mescolano elettronica melodica e hip hop come Sunny’s Time, campionamenti di Gloria Barnes per Home, e una Sister d’attacco che sembra quasi rapire il canto a Sufjan Stevens. Sarebbe davvero bello sentirlo dal vivo questo disco per apprezzarne tutti gli strati, Caribou si conferma fabbro di sonorità futuristiche.
Porridge Radio – Every Bad
13 Marzo, Secretly Canadian
I Porridge Radio hanno tirato fuori una bella chicca che merita attenzione, anche solo perché parliamo di uno di quei gruppi sinceramente indie-rock e slacker su cui vale la pena soffermarsi all’ascolto. Every Bad raccoglie undici canzoni graffianti, con vette emotive come la bellissima cavalcata Long, e una canzone-manifesto come Born Confused. La voce di Dana Margolin è cavernosa e piccante abbastanza da colpire tutte le corde all’ascolto, e in momenti come Don’t Ask Me Twice riesce a superarsi. La band di Brighton ha trovato la sua dimensione. Every Bad è duro, sporco, senza compromessi: un vero piacere all’ascolto.
Four Tet – Sixteen Oceans
13 Marzo, Text Records
Se mai dovesse capitarci di disperderci tra vari oceani sarebbe bello avere una cuffia collegata a una radio che trasmette musica di Four Tet. Sixteen Oceans è l’ennesima prova riuscita del musicista britannico, quasi un’ora di musica che ci trascina al largo su isole spietate, assolate e fresche. Il segreto di Four Tet è lasciarlo scorrere in sottofondo finché non arriva a colpire, com’è chiaro che accada in pezzi come Baby. Magari non si tratta del suo miglior lavoro, tuttavia è un genere di sonorità che bene asseconda meditazioni primaverili e scorribande ambient verso l’altrove.
Nine Inch Nails – Ghosts V e VI
26 Marzo, The Null Corporation
Ghosts VI: Together e Ghosts VI: Locustus è il doppio album che i Nine Inch Nails hanno rilasciato a fine marzo in piena emergenza sanitaria. Non che sia stata un’uscita consolatoria, i cupi fantasmi evocati da Trent Reznor e compagni sono tetri, i suoni si iniettano in vena placidi e infetti come una colonna sonora del terrore. Un suono che lentamente potrebbe accompagnarci verso l’apocalisse, dark ambient per palati raffinati. Per tirare fuori i gridi più estremi ci vuole un dono naturale, i NIN riescono a traslare in musica un certo stato dell’essere munchiano.
Waxahatchee – Saint Cloud
27 Marzo, Merge
Forse Saint Cloud è il disco che aspettavamo da Katie Crutchfield. Come se fosse riemersa da un’epifania interiore, Waxahatchee con Saint Cloud ingrana quella marcia in più che cercavamo dal suo talento folk. Ci sono momenti vagamente più pop (Lilacs), e striature country (The Eye), che conquistano l’orecchio. Un disco molto americano da buon ritiro, nel senso in cui Neil Young immaginerebbe il suo buon ritiro alla larga da tutto, tra le distese d’America, chitarra in mano e ossessioni da tirare fuori. E ce ne sono tante di magnifiche ossessioni in questo disco, le vette poetiche di Ruby Falls, le bandiere di Arkadelphia. In questi anni abbiamo imparato a conoscere Waxahatchee, siamo arrivati a quel punto in cui azzardarci a scrivere il suo nome senza l’aiuto di google.
Daniel Avery & Alessandro Cortini – Illusion of Time
27 Marzo, Phantasy
Da italiani è bello sapere che ci sono collaborazioni importanti tra le migliori menti della nostra musica e quelle oltre-confine; da ascoltatori in realtà della nazionalità ci interessa poco, quello che vogliamo ascoltare sono suoni, suoni che spaziano, non limitati da parole già sentite, suoni urgenti e ferini. Daniel Avery e Alessandro Cortini sono due talenti che conosciamo, ma anche per collaborare ci vuole un sapiente mix di ingegno – e non è detto che riesca per forza. Illusion of Time è invece un’esperienza riuscita: una cascata di suoni che prendono possesso, odissee spaziali in cui lanciarsi, un cupio dissolvi di smarrimento emotivo. Fantasie lontane come magneti.
Thundercat – It Is What It Is
3 Aprile, Brainfeeder
Dopo il successo di Drunk tre anni fa, il talento di Stephen Bruner aka Thundercat torna a sperimentare nel nuovo album It Is What It Is, un disco parzialmente ispirato alla recente scomparsa dell’amico e collega Mac Miller, e con la produzione di Flying Lotus. Continua il lavoro di fusione di suoni di Thundercat, che lo distingue come uno dei più originali protagonisti dell’ondata black. Jazz, r&b, hip hop, funk, sono mondi che trovano nel disco un contatto spirituale, una ricerca di sincretismi in cui tuffarsi.
M. Ward – Migration Stories
3 Aprile, ANTI-Rercords
Le storie di migrazioni raccontate nell’ultimo disco di M. Ward hanno il sapore di nostalgiche ballate per crooner e eroi del folk da ventunesimo secolo: è tutto qui il segreto soffuso di questo disco. Basti ascoltare la splendida Heaven’s Nail and Hammer per farsi un’idea: in un attimo siamo sospesi altrove, sotto un cielo stellato dove la storia dei dannati della terra quasi si addolcisce per disperdersi nel ritmo blues di una dolente chitarra. Un disco che contiene bei momenti, con una sensibilità politica nei testi che lo rende attuale. A tratti spettrale. C’è sempre bisogno di cantastorie come M. Ward, i folletti del folk non passano mai di moda, e ci sussurrano la varia espressione di un’umanità su cui è bello fermarsi all’occorrenza del tempo.
Blake Mills – Mutable Set
8 Maggio, Blake Mills Artist JV 2017
Il disco di Blake Mills è una delle perle nascoste di questa primavera. Letale come una coltellata di corde affilate di chitarra, cattura al primissimo ascolto. La voce del produttore e musicista americano è un piccolo miracolo, il risultato è un disco di ballate seducenti come Summer All Over e Money Is The One True Good. Mutable Set corre via una bellezza, si incastra perfettamente al nostro umore vario e vagante – le pizzicate di chitarra di Mirror Box, il pianoforte di Farsickness, l’affascinante produzione di Vanishing Twin. Una volta scoperto, questo disco si nasconde nel taschino della giacca e non si abbandona più.
Mark Lanegan – Straight Songs of Sorrow
8 Maggio, Heavenly Records
Il nuovo album di Mark Lanegan non aggiunge molto alla produzione del cantautore americano, agli estimatori della musica e della voce di Mark Lanegan piacerà anche Straight Songs of Sorrow. Il disco arriva parallelamente all’uscita dell’autobiografia Sing Backwards and Weep, che racconta i giorni più maledetti di Lanegan, quelli del grunge e della lotta con la droga. I dischi di Mark Lanegan sono i dischi di un uomo salvato, riemerso dallo speciale vento di emarginazione che soffiava sui Novanta. Di quei tempi lì se n’è andata tutta una generazione, e intanto lui è rimasto a cantare. Si sentirà un miracolato, o forse solo il peggiore tra tutti rimasto in vita per espiare. Straight Songs of Sorrow è una nuova raccolta di canti di espiazione.
Perfume Genius – Set My Heart On Fire Immediately
15 Maggio, Matador Records
Il talento di Mike Hadreas allo stato puro e la definitiva consacrazione della libertà artistica di Perfume Genius. Set My Heart On Fire Immediately si spoglia dell’esplosione barocca e art-pop di No Shape, tanto che già dalla copertina è chiaro il cambiamento del linguaggio del corpo di Hadreas – la nudità che abbandona l’artificio, un’estetica che ritroviamo nei video dei singoli di lancio del disco, molto più vicina a Springsteen che a Bowie. Perfume Genius gioca a mescolare generi e suoni, con il supporto dei musicisti, della produzione di Blake Mills, e di quella straordinaria voce che ancora una volta sfugge a un timbro definito. Un disco che ci trascina avanti e indietro tra decenni, riattulizza vecchie ballate, mescola, e ha l’effetto voluto: incendiare il cuore immediatamente. Uno degli album più originali di quest’anno, canzoni che sono pura gioia e fiamma.
The Magnetic Fields – Quickies
15 Maggio, Nonesuch Records
Non è la prima volta che i Magnetic Fields rilasciano un album che è una lunga antologia di canzoni. Quickies però è un concept che trova la sua originalità nella premessa che il disco sia una collezione di appunti e sketch sonori, un raccoglitore veloce di chicche che non superano quasi mai i due minuti. Piccole fotografie come Kraftwerk in a Blackout, o l’iniziale e brevissima Castles of America, dove Stephin Merritt canta e strazia al suo solito. Un disco di tagli, cicchetti al bar, e meravigliosi scarabocchi, dove è possibile ritrovare tutte quelle minuscole imperfezioni del tempo dove si nasconde la bellezza.