Bob Dylan ha parlato due volte nell’ultimo periodo, con due canzoni. La prima è Murder Most Foul, quasi-17 minuti ispirati all’omicidio di John F. Kennedy – una canzone inedita, registrata qualche tempo fa, che Dylan ha scelto di diffondere a sorpresa in un momento di assoluto sbandamento per il mondo, e invitando tutti a cercare il proprio messagio rivelatore dentro un testo di rievocazioni in stile dylanesque. Naturalmente ognuno ci ha trovato dentro quello che voleva, come poi spesso accade con le grandi canzoni – così non sorprende ci siano stati persino alcuni gruppi alt-right che sono riusciti a leggere tra le righe di Murder Most Foul messaggi cifrati che ammiccavano a Donald Trump come salvatore degli States deviati dal deep state dopo l’omicidio di JFK. Nella realtà l’effetto più immediato di Murder Most Foul è quello di riuscire a rievocare l’uomo battuto dal vento della storia – quello che riesce a farci sentire piccolissimi e allo sbando a Dallas come a Duluth, e fino a qui.
La seconda canzone di Dylan, I Contain Multitudes, richiama subito alla mente i versi di Walt Whitman – il cantore dell’io-moltitudine, che canta sé stesso e la vastità dell’io. Per tutta la vita Bob Dylan ci ha abituato a fare i conti che con la sua moltitudine interiore: Robert Allen Zimmerman, il cantautore di Duluth, ispirato da Woody Guthrie e ispiratore dell’avvenire, il furetto del folk che all’improvviso tira fuori la chitarra elettrica, la voce che invita alla sommossa in The Freewheelin’ e quella da crooner di Nashville Skyline. Così non è poi una grande sorpresa ascoltarlo mentre canta “I’m just like Anne Frank, like Indiana Jones, and them British bad boys, The Rolling Stones”, o “I sing the song of experience like William Blake”, e ancora “I’ll play Beethoven’s sonatas, and Chopin’s preludes”. C’è tutta una moltitudine in Bob Dylan a cantare, che arriva a rapire noi che lo ascoltiamo in una splendida opera di connessione delle menti inconscia; e del resto Dylan contiene così tante moltitudini da avere avuto bisogno di sei personaggi per interpretarlo (o ri-evocarlo) nel film I’m Not There.
Intanto qualcuno ha cominciato a chiedersi se i due nuovi pezzi siano il preludio per un nuovo album di Bob Dylan, domanda che al momento non ha nessuna risposta. L’unica cosa che possiamo fare è quella di lasciare suonare le due canzoni, ritornare per un po’ a perderci tra le ossessioni del cantautore; e poi andare all’indietro a ripescare i vecchi personaggi delle sue canzoni, ascoltare le loro storie come se fosse la prima vota che parliamo con loro, Hurricane e John Wesley Harding e Jokerman, contenerli tutti per replicare esperienze umane.