C’è un nuovo cowboy in città. Il suo nome non è Patrizio Bati e sta per radere tutto al suolo. La vera identità di Bati è sconosciuta. È uno pseudonimo, il suo. Adattamento libero di Patrick Bateman, nome del protagonista di American Psycho, il capolavoro che ha consacrato Bret Easton Ellis a gigante della letteratura americana. Bati ha scritto Noi felici pochi, romanzo edito a ottobre da Mondadori, e l’accostamento ad American Psycho non è certamente casuale. Né sta solo nel nome. Anzi, tutto il contrario, direi. I punti di contatto tra Ellis e Bati ci sono e sono tanti. Tantissimi.
Partiamo dal principio.
Di Bati si sa solo che vive a Roma, che è laureato in Legge e che ha moglie e una figlia. Ha aperto un profilo Facebook, ma l’unica cosa che fa è postare foto di sconosciuti – o presunti tali – che parrebbero venir fuori da un ascensore. Non rilascia interviste. Non parla di sé. Non si firma da altre parti. Patrizio Bati non esiste, eppure vive tra le pagine brucianti di una storia allucinante. A sentirne parlare, inevitabilmente, la mente corre a Elena Ferrante e alla sua ferrantefever, la pandemia che ha contagiato milioni di lettori. Siamo dinnanzi a un caso simile? Dobbiamo aspettarci una batifever? Forse. Difficile a dirsi. E, soprattutto, difficile a ripetersi, il caso Ferrante. Quel che è certo, però, è che in Patrizio Bati e nel suo Noi felici pochi ci sarebbe tutto il necessario affinché questo accada. Una statura autoriale pazzesca. Una storia originalissima. Un enigma intrigante. Insomma, di sicuro c’è che siamo dinnanzi a un romanzo geniale. Se Bati è un esordiente, ha talento puro. Se Bati è un romanziere navigato, ha esperienza da vendere.
Uno stile netto, pulito, lapidario. A Bati bastano tre parole, tre parole soltanto, per costruire una scena, descrivere un personaggio, riportare sulla pagina un mondo intero. Un uso della parola essenziale e asciutto, una mano ferma e decisa, un controllo della pagina originale e vivissimo. Uno stile ferino per una storia che è un pugno nello stomaco. Dura, senza alcuna possibilità di redenzione. I suoi personaggi paiono privi di qualsiasi senso del pericolo, moralismo o istinto di pentimento, incapaci di uno slancio empatico, abili a vedere solo ciò che appartiene loro. Cercare di metabolizzare Noi felici pochi è difficilissimo. Inghiottire questa storia è mandare giù un sasso acuminato, graffia le interiore, al suo passaggio lacera tutto.
I protagonisti sono dei pariolini. Ragazzi ricchi, di buona famiglia, con il mondo in mano. Futuri magistrati. Futuri avvocati. Futuri CEO. Sono della Roma bene, frequentano i locali più alla moda, spendono i loro soldi in puttane, alcol e cocaina. Fascistoidi, ultrà della Lazio, rissosi. Adorano fare a cazzotti. Picchiare, spaccare, distruggere. E adorano farlo per il gusto dell’atto in sé. Per il piacere, appagamento istintivo e bestiale, che dà loro la lotta. Non è semplice noia, quella di questi pariolini. È l’illusione di possedere ogni cosa. Ed è la delusione che il possedere ogni cosa dà.
In una notte come tante altre, i cinque sono di ritorno da una serata allucinata passata per locali, a bere e ballare. È tardi, sono strafatti. Alla guida dell’auto c’è Andrea. Patrizio, Patrizio Bati, gli siede accanto. Il pilota, d’un tratto, decide di spegnere i fari della macchina; lo fa così, per gioco, senza ragione. E l’auto cade da un dirupo. I pariolini sono miracolosamente ancora tutti vivi. Ma Costanza, la nuova arrivata, è in condizioni critiche e necessita di cure, di un’ambulanza, di un medico. I cellulari non prendono. Non una luce nel raggio di chilometri. Riusciranno a chiamare i soccorsi prima che sia troppo tardi?
Alla narrazione della notte dell’incidente, pregna di una suspence magistralmente congegnata e in cui vengono fuori i vecchi scheletri nell’armadio di ognuno, si intreccia il racconto di decine di flashback. Tutti sui pariolini. Sulla loro vita lanciata a mille. In un mondo che è il loro parco giochi, popolato da burattini con cui credono di poter fare tutto ciò che vogliono.
Ecco, questo è Noi felici pochi. È questo, ma è anche molto altro.
Non avevo mai letto niente del genere. Mai. È la prima volta che tra le mani mi capita una storia così, ma oggi prego che succeda ancora. Ancora, ancora e ancora. Noi felici pochi non può essere un unicum nel panorama letterario del nostro Paese. Deve fare da aprifila a una generazione di narratori terrorizzata e terrorizzante. Una nuova leva che non abbia paura alcuna. Paura di superare i vecchi modelli. Di bruciare l’edificio della tradizione. Di affrancarsi con una lacerazione necessaria. Brutale, spietato, inesorabile: in Italia non c’è nessuno come Bati. Il suo romanzo lo divorerete e intanto lui, con la sua lucida follia, con la sua geniale efferatezza, divorerà voi.