Ep o Lp? Non importa. Con Bad Witch i Nine Inch Nails sono davvero tornati e questo basta. Non per suonare ma per rompere equilibrati silenzi e svegliare menti complici e indifferenti. Il capitolo finale della trilogia nata nel 2016 con Not the actual events e proseguita nel 2017 con Add Violence, ha riportato la rabbia e la determinazione dei NIN al centro della scena, fuse in un vortice di paura e disprezzo per le convenzioni, per il mondo, per la politica, per la società americana, per l’era trumpiana, per tutto ciò che si appiattisce alla passività intellettuale e fisica. Non servono i testi, è sufficiente la musica che governa sola ben due dei sei pezzi, per capire che quell’energia che nel 2009 si temeva fosse finita con un’annunciata uscita temporanea dalle scene è riesplosa. E l’obiettivo è chiaro: restare autentica, senza allinearsi.
Ben lontano dallo standard di durata di un Lp completo, infatti, Bad Witch mira a esserlo per importanza. Nei circa 30 minuti di viaggio, Mr Self Destruct, o meglio Trent Reznor, anima solitaria e completa di un gruppo che ha attraversato 30 anni di storia statunitense, affiancato da Atticus Ross, è riuscito a condensare lo sguardo attuale su un’era che delude. E se ne è fatto portavoce. «The disregard for decency and truth and civility is what’s really disheartening», (“L’indifferenza nei confronti della decenza, della verità e civiltà, ecco, queste sono le cose davvero avvilenti”) aveva confessato solo pochi giorni fa al New York Times, additando le tante Taylor Swift perché stanno alla larga dalle tematiche calde per non scottarsi.
In Bad Witch non c’è alcun tentativo di nascondersi, nessuna illusione che sia l’ennesimo rifugio figlio di un’arte che protegge. L’oscurità rabbiosa è svelata dalla prima strofa di Shit Mirror e traccia la linea di un lavoro, tanto più laconico quanto più dirompente degli Ep precedenti: «Got a new face and it feels all right / Power and strenght and appetite / I eat your loathing hate and fear / Should probably stay awat from here», («Ho una nuova faccia e ci si sente bene / Potere e forza e appetito / Mangio il tuo odio detestabile e la paura / Probabilmente starò lontano da qui»). Lo canta, lo suona, lo sussurra. Anche nell’apocalittico ritornello che conferma che non è uno scherzo: «New world, new times, mutation, feels all right». Quel che rimane incerto è capire se muoversi al ritmo delle sonorità elettroniche e dei synth o irrigidirsi sull’austera trama industrial metal che si blindano in questo pezzo, arrabbiato e prepotente.
Non si ha il tempo per riprendersi, che la mascella torna a serrarsi e la mente vola sotto al palco mentre parte la batteria contagiosa di Ahead of Ourselves. Il sipario si alza su dei NIN sudati, pronti a placare il pubblico in attesa, con una scarica di adrenalina dritta al corpo. «We’re on the precipice (…) And we Just can’t help ourselves», ripete Reznor. Per poi lasciare, senza il sostegno di alcun testo, la riflessione al pezzo successivo Play the Goddamned Part: un flusso torbido, strumentale e paranoico che irrompe in un motivetto che incessante, come una vocina, si infila nella testa.
E si lascia silenziare solo dal sax che fa partire il quarto pezzo, God break down the door, gridato, pregato perché “non ci sono risposte qui”. E ci si ritrova subito cullati in un rave party in qualche fabbrica abbandonata, pronti alla grande chiusura – dopo una lunga pausa strumentale di 6 minuti con I’m not from this world – di Over and out. Poche parole, dopo un intro intenso, «Time is running out/I don’t know what I’m waiting for» anticipano. «I’ve always been 10 years ahead of you/Over and over again». E poco più.
A quel punto capisci che se è aperta la questione di come etichettare questo lavoro nella carriera dei NIN, per alcuni un nono album della band, per altri un pugno di pezzi riusciti, ma pur sempre un pugno, verrebbe da dire: chissenefrega. Chi voleva ritrovarli, potrà essere soddisfatto di non sentire più così lontani i tempi di The fragile o del caposaldo dell’industrial rock The Downward Spiral. Chi, invece, per avere argomenti di discussione vuole unire i puntini dello storytelling nella trilogia, ha tanto materiale e potrà farlo in silenzio così da goderselo di più. Perché se qualcuno si chiedeva, «La copertina e i titoli lasciano ben sperare in qualcosa di pesante». Beh può stare sereno. È proprio così.