L’atipicità di Nils Frahm al Jazz:Re:Found 2023

Ho scoperto Nils Frahm nella primavera del 2017, quando – dopo due anni di attesa – anche nelle nostre sale venne finalmente distribuito il film “Victoria”, di Sebastian Schipper. Una pellicola one-shot, un intero piano sequenza che segue la folle notte di una ragazza spagnola che incontra un gruppo di berlinesi con un discreto talento per i guai. Il compositore e polistrumentista di Amburgo ne curò la colonna sonora, che contribuì a rendere il film tedesco uno dei miei preferiti di sempre.

Ricordo i suoni di scena farsi sottili, vaporosi, lasciando il posto alle note di un pianoforte ammaliante, ipnotico. I protagonisti ballavano la techno, avvolti dalla fredda luce blu dei neon di un club sotterraneo, ma era la musica extradiegetica a dettare il ritmo, il tono e l’intensità della scena. Era la prima volta che sperimentavo il genio di Nils Frahm restandone immediatamente rapito e da allora, purtroppo, ho mancato varie occasioni di vederlo dal vivo in Italia, ma non questa. Non al Jazz:Re:Found 2023.

Il contesto è stupendo. Il Jazz:Re:Found prende il concetto di “festival boutique” sul quale l’Italia intera costruisce le sue estati di musica dal vivo e lo porta al suo stadio finale, quello in cui persone, territorio e direzione artistica si fondono in un mix di qualità assoluta. Siamo nel Monferrato, terra che fa parte del Patrimonio UNESCO e che da qualche anno sembra stia uscendo dall’ombra delle Langhe per lasciarsi scoprire di nuovo, sotto una luce inedita. In questo percorso di riscoperta il JZ:RF (questo il nome stilizzato del festival) ha un ruolo fondamentale e primario.

In questa quindicesima edizione, oltretutto, si respira un’aria diversa. Una crescita del progetto? Sì, ma non solo. Arrivando a Cella Monte, piccola perla in provincia di Alessandria, si viene investiti da un’epifania: come tanti altri eventi, più della loro maggior parte, Jazz:Re:Found è prima di tutto una comunità, che quest’anno è in lutto. Ha perso Alessandra, una donna la cui straordinarietà viene trasmessa da chiunque l’abbia conosciuta ed è misurabile nell’energia e nell’emozione che il suo ricordo genera in tutto lo staff. “Per Alessandra Vigna”, si legge su tutti i badge dei pass forniti alla stampa. Questa quindicesima edizione è tutta dedicata a lei.

Il paese brulicante di vitalità, musica, balli, cibo e vino piemontese converge verso il Main Stage, quando mancano pochi minuti alle ore 20. Il palco è talmente pieno che sembra debba ospitare una band progressive rock, invece si presenta solo lui: Nils, con la sua coppola e i suoi modi gentili. Niente di ciò che riguarda Nils Frahm è convenzionale. Un esempio? Non lo si trova sui social. Vuoi taggarlo in una storia di Instagram mentre suona quel suo stranissimo strumento – ribattezzato dalle prime file come “il kebab luminoso”? Non puoi.

E la sua voce. Vogliamo parlare della sua voce? Sembra quasi distorta, alterata da chissà quale effetto speciale partorito dal suo armamentario. E invece no, è proprio così, naturale. Non la usa nei suoi pezzi, tutti interamente strumentali, ma si limita a rivelarla timidamente per ringraziare il pubblico e invitarlo a prendere parte attiva alla sua esibizione, campionando le voci dal vivo. Nessuno si stupisce: Frahm ha da sempre abituato a pratiche e tecniche atipiche. Avete mai sentito parlare di quel pianista che aveva l’abitudine di mettere del feltro tra i martelletti e le corde del pianoforte per avere un suono più morbido, smorzato? Ecco, quel pianista è lui.

La platea che fino a poco prima era dispersa a ballare per le strade e davanti ai palchi di Cella Monte, ora è ferma sul posto, fronte palco, a contemplare. Tra tutte le esibizioni della giornata – forse del festival? – quella di Frahm è la più incorporea e indefinibile. Seguendo questo flusso emotivo chiudo gli occhi e mi ritrovo di nuovo in sala. La poltrona è nuova, ma appartiene ad un cinema storico di Torino, aperto da 110 anni. Sullo schermo vedo una ragazza spagnola e tre ragazzi berlinesi ballare, mentre io resto immobile, rapito dalla musica che loro, in quel club di cellulosa, non possono sentire. Chiudo nuovamente gli occhi e torno al presente, sul prato del Jazz:Re:Found, appena in tempo per vedere Nils Frahm salutare il suo pubblico, con la stessa delicatezza con la quale l’ha intrattenuto per un’ora e mezza.

Mi chiedo se qualcuno, in questo momento, non sia a sua volta seduto su una poltrona di un cinema storico, a guardarmi proiettato su uno schermo, mentre mi allontano dal Main Stage e cammino per le strade di questo borgo del Monferrato, ancora suggestionato. In tal caso, vorrei che la mia colonna sonora, il collante di questa matrioska, fosse ancora una volta la musica di Nils Frahm.

 

Fotografie di Alessia Naccarato , Nils Frahm live 2018

 

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