Se dovessi decidere come invecchiare, lo farei decisamente come i New Order. Considerata la media delle età dei componenti che fanno ormai l’occhiolino ad un reparto di geriatria NHS qualunque, se mi dessero la certezza che a oltre 50 anni potrei spaccare culi random come loro, accetterei la proposta ora.
I ritorni sono sempre difficili. Mi piace molto dirlo. Ma i New Order, band che dal principio ha fatto dei “ritorni” il proprio stile di vita (reinventarsi come Joy Division acefali è stata sicuramente la più grande intuizione della storia della musica negli ultimi 60 anni), ce la fanno di nuovo. A dieci anni dal loro ultimo album da studio, “Waiting for the sirens’ call” che mi aveva lasciata così, un po’ sì, un po’ nì, ritornano. Arzillissimi.
Abbandonate major sputtanatissime (il precedente album era uscito con Warner), persino la scelta della label è indovinata: Mute Records, che nel suo catalogo vanta Yazoo, Throbbing Gristle e un sacco di altri nomi esageratissimi per noi nostalgici in velluto e lacca Blitz. Anche la definitiva mandata affanculo di Peter Hook, l’uomo più odioso dello showbiz che si starà godendo le royalties dei Joy Division in dispendiose camicie di sartoria, è sicuramente un punto in più su questo album.
Finalmente gli anzianotti New Order hanno deciso di smetterla di affiancarsi a produzioni dal vago sapore brit-popparo (amo il brit-pop, ma cazzo nel 2015 è decisamente troppo!) come John Leckie, e per questa nuova fatica hanno deciso di mettersi nelle mani di gente che ha davvero altri gusti. Parlo di Tom Rowlands (per gli amici non addetti ai lavori, Chemical Brothers, signori) e Stuart Price (diggei, produttore, wannabe). E la loro mano, Deo gratia, si sente. Tantissimo.
Altra stella di merito per questo album, il ritorno di Gillian Gilbert. Sicuramente acquisto che compensa la perdita “artistica” di Peter Non-ho-mai-abbastanza-soldi-in-banca Hook, nonché glorioso sodalizio artistico interrottosi nel 2001.
“Music Complete”, questo il nome dell’album, si apre con Restless. Singolone, sing-along, opening bello facile facile. Intro che altro non è che il giro di basso troncato di Crystal, mi fa storcere un po’ il naso, ma bridge e chorus sono dei maledetti inni. Ti perforano il cervello dopo un secondo. Il testo è quello che è, ma i New Order, dopo Power, Corruption and Lies, non si sono mai voluti rendere cantori di una generazione che poi di fatto a loro non appartiene. Nel ritornello allitterano un hopeless, restless ecc ecc dopo l’altro, laddove anche il più italico degli ascoltatori non può far altro che cedere e canticchiare. Dopo la commercialissima hit di cui sopra (non c’è peccato nelle hit, ricordate!), si apre Singularity. Apertura con ritmiche da New Order di Movement (Alleluja Alleluja!) fino al minuto 1:00, quando ogni nostalgico è già lì a cotonarsi i capelli, ecco che si sente TUTTA la mano della produzione di Rowlands. Beat degni della migliore Hacienda, bpm altissimi. Stenteresti a riconoscerli, eppure Bernard Sumner ci ricorda che sono ancora loro.
E sempre loro sono nella traccia numero tre, Plastic. Non ti meraviglieresti di sentirla suonare da dentro mentre vieni rimbalzato per l’ennesima volta all’ingresso del Berghain (noto locale techno di Berlino) perché sei vestito come un coglione. Drum machine e synth sensualissimi, beat degni dei migliori anni ‘90 acid house, un’altra traccia indovinata e perfetta, che, nonostante voglia, pretenda disperatamente di essere un pezzo da dancefloor, si tradisce col solito riff di chitarra lamentoso di Sumner. Quarta Traccia. Tutti Frutti. Ripeto, si chiama Tutti Frutti. E’ il non plus-ultra della genialata e dell’idiozia mescolate insieme. È la prova registrata ed incisa su vinile che sì, noi siamo i New Order, e voi non siete un cazzo e noi possiamo fare quello che ci pare, anche mettere un pezzo del genere in un album dopo dieci fottutissimi anni di silenzio. Coup de théâtre. Chapeau. Francesismi a parte, qualsiasi tipo di espressione esistente per dimostrare il mio rispetto e la stima per una band che si porta dietro un’eredità pesante e che non ha alcun timore di incidere un pezzo del genere. Era da quando ho ascoltato Moroder di Daft Punk feat. Giorgio Moroder, che non avevo la sensazione di trovarmi davanti ad un’opera musicale. Schifosamente dance. La stessa durata epica del pezzo (6:22 minuti) la dice lunga. Si apre con un beat affettatissimo, molto groove, sul quale è incisa una traccia vocale in italiano, assolutamente nonsense. Potrebbe essere persino Gianni Drudi (Ehi, ci stai fiki fiki con me, facciamo fiki fiki insieme? Per gli amatori, in prestigioso formato youtube) a cantare questo breve ma quanto mai incisivo parlato, ma dopo gli strani inviti che questo tizio propone in perfetto italico (indagherò su chi è, ve lo prometto), entrano in scena i synth. E capisci, di nuovo, che sono sempre loro, ancora loro. I New Order. Una sola parola per questo pezzo: EPICO. “Non mi interessa la vita reale, e tu sei TUTTI FRUTTI”, solo con una frase del genere può concludersi un’opera frutto del genio. In due parole, ITALO-DISCO.
Sarà che Tutti Frutti è quanto di più assurdo siano mai riusciti a partorire in anni di attività, ma il pezzo successivo, People on the high line, fila liscio, groove di basso terribilmente funk e tastierine che non sfigurerebbero accanto alle Casio dei Righeira. La traccia fila, ma niente di che. Stray Dog è qualcosa di completamente diverso: spuntano archi e un parlato d’eccezione, con un cameo di (SPOILER ALERT!) Iggy Pop. Bella? Brutta? Non lo so, so solo che in questo album, un pezzo del genere è come un broccolo photoshoppato sulla foto del matrimonio dei vostri genitori, insomma è completamente sconclusionata e fuori luogo all’interno della tracklist. Non me ne vogliate: a me Iggy Pop sta pure sul cazzo.
Academic, e sono ritornati i New Order. Finalmente. Ed udite udite, ogni tanto spunta una chitarra very brit-pop, sembra quasi che Noel Gallagher abbia deciso di fare irruzione in studio. Senza spoilerare troppo, seguono tre tracce in cui i New Order fanno i New Order, senza nessuna accezione dispregiativa dell’espressione (anzi). Music Complete si chiude con un pezzo che ne è la degna conclusione, Superheated è una traccia super pop e stra-prodotta (non a caso a Rowlands si affianca il dj Stuart Price). Peccato, solo, nella iper-produzione, aver snaturato la voce di Bernard. Shit happens.(O cazzo, sbaglio o sento anche delle arpe?).
Stavolta i New Order hanno voluto strafare. Strafare a tal punto che il loro ritorno in studio è un prodotto molto in bilico tra l’epicità e la più becera delle figure di merda. Io credo sia quasi epico, sembra di essere tornati a Techinque, senza l’odioso Peter Hook. Si sente che è un prodotto mosso principalmente dalla necessità di ricavarne del danaro per potersi assicurare una buona pensione dopo il “ladrocinio Hook” (lo odio), si sente tutta la paraculagine elettronica di Tom Rowlands che vuole svecchiare un sound riconoscibilissimo, si vede dalla copertina che la scelta di rivolgersi a Peter Seville per l’art work è una paraculata pure quella, ma è sicuramente un album che bisognerebbe comprare. L’ho comprato persino io, che non compro mai niente.
In definitiva, non ho bisogno di ascoltare altro quest’anno: miglior album 2015.