New-Fi Talks #1: ENNE

Ormai da qualche anno stiamo assistendo alla formazione e crescita di una nuova generazione di artisti italiani, definiti sin dall’inizio in maniera direi grossolana con l’etichetta di indie italiano, nonostante all’interno di questa compagine di artisti, si sia sempre sperimentato parecchio con esperienze che vanno dal cantautorato all’elettronica: ognuno con la propria idea differente di musica. Questo clima di fermento, l’attenzione dei media anche mainstream e la potenza dei social network hanno fatto sì che si creasse un clima prolifico per molte realtà differenti sparse per l’Italia. Tra queste si inserisce ENNE che con il suo primo singolo San Junipero ha avuto discreto successo, finendo per settimane nella playlist Viral 50 Italia, lui che era partito totalmente a sorpresa da un video su Youtube.

In occasione dell’uscita del suo ultimo singolo Al centro di una guerra, abbiamo fatto una chiacchierata con Nicola (ENNE) Togni riguardo al mondo indie, la sua musica che, parole sue, piace tanto alle ragazzette”, progetti futuri e il rapporto coi social networks sui quali è molto attivo e che stanno decisamente cambiando il modo di emergere.

Intervista a cura di Pier Iaquinta

 

 

Ciao Nicola, per cominciare presentati, chi o cos’è ENNE?

ENNE è quel Nicola Togni che decise un po’ per gioco di iniziare a fare musica una sera di giugno sotto l’effetto di qualche vodka tonic. Ancora non si è capito se sia stata una buona o una cattiva mossa, ma direi che da lì è iniziato tutto.

Decisamente una buona mossa direi… Generalmente che cosa ascolti e cosa ti influenza nella produzione e nella scrittura?

Cercherò di essere breve e non ci riuscirò: ascolto tanto di tutto. Diciamo che mi sono avvicinato alla musica indipendente, soprattutto straniera, in tenera età e sono passato a tutti i vari sottogeneri del rock, per poi affezionarmi molto all’electro-pop e all”hip-hop. Ti direi così su due piedi che le mie band preferite sono Sigur Ròs, Arcade Fire, Radiohead, Talking Heads e Pink Floyd; mentre come artisti degli ultimissimi anni sceglierei Kendrick Lamar e James Blake. In Italia adoro Bluvertigo, Verdena, Iosonouncane, Cosmo e i grandi cantautori (Lucio Dalla su tutti).
Per quanto riguarda il progetto ENNE invece c’è una piccola parentesi da fare: nella prima metà del 2017 mi sono concentrato tantissimo su retrowave, synthwave e chillwave, per settimane ho ascoltato playlist giganti su YouTube e Spotify con i maestri del genere (Kavinsky, FM Attack, Miami Nights 1984, Neon Indian, College etc.). Ho pensato che ci fosse poco o quasi nulla qui da noi cantato in italiano…ed eccoci qui.

 

Come ti poni nei confronti di questa ondata nuova di indie all’italiana? Scena che da precursori come potevano essere I Cani o i primissimi Thegiornalisti, si è trasformata in ITPOP diventando un genere ormai mainstream, anche o soprattutto grazie ai social…

Vuoi sapere una roba? Il termine ITPOP l’ha coniato uno dei due admin di Diesagiowave, la community della pagina Indiesagio, che – spoiler! – uscirà presto con il suo singolo d’esordio, quest’estate. Ne parlavamo da vari mesi e poi abbiamo deciso di esportarlo nella community, da lì nelle ultime settimane sta facendo il giro delle webzine e da qualche giorno è addirittura sulla playlist Indie Italia su Spotify! Quindi la mia risposta sta nel termine stesso: penso che ci sia una generale rinascita dell’interesse nei confronti di sonorità pop provenienti dal sottobosco dell’indie, con il superamento di quella dicotomia che caratterizzava molto di più i 90-00s. A quel tempo se facevi indie dovevi per forza sperimentare e guardare male chi finiva in classifica, ora invece siamo all’opposto. La musica si è mescolata con internet, ottenere certi riscontri sta diventando un obiettivo lodevole, l’attenzione mediatica sta tutta su questa scena (e quella trap, che poi è la faccia hip-hop della stessa medaglia se vogliamo), anche con mezzi diversi, con i meme e le battute ricorrenti, con gli aneddoti e con forze che vengono sempre più dal basso. Insomma in Inghilterra c’era il britpop capitanato da Noel Gallagher, qua l’itpop con Calcutta. E per quanto io venga da territori molto diversi, molto meno pop, riconosco un fatto estremamente positivo a questo fenomeno, che è quello di aver riportato la gente ai concerti, a cantare, ad interessarsi, che è quello di poter arrivare a riempire palazzetti o finire in classifica senza dover per forza di cose farsi scrivere le canzoni dai soliti 3-4 autori delle major o passare dai talent. Da questo tipo di gente che fa il botto traggono beneficio anche personaggi come Iosonouncane, che viene scoperto e apprezzato da molti ragazzini che nel 2010 non esistevano, quindi ben venga.

Un fenomeno, quello di internet, di cui sei parte anche tu in un certo senso, ti aspettavi tutto questo clamore dopo la sola San Junipero? C’è da dire che è stato il brano catchy giusto al momento giusto, tant’è che è stata una delle puntate di Black Mirror più amate ed in seguito premiata…

San Junipero è andata da dio e no, non me lo aspettavo minimamente, o almeno non in queste dimensioni. Essendo stato sempre nell’ambiente e avendo buttato fuori tutto “a sorpresa” sapevo avrebbe generato stupore ma solo tra miei amici e le persone che mi seguono. Da lì a fare decine di migliaia di views su YouTube, fare settimane nella ‘Indie Italia’ e in Viral 50 su Spotify, più tutto il chiacchiericcio ce ne vuole. Non penso sia stato solo il titolo in sé del pezzo comunque, moltissimi a cui è piaciuto manco l’avevano vista la puntata di Black Mirror. Diciamo che come in tutte le cose un buon mix di canzone che funziona e fortuna hanno portato a questi risultati, che spero di confermare nel tempo.

E sempre “a sorpresa” o quasi, hai fatto uscire Al centro di una guerra, parlaci un po’ di questo passaggio da Outrun per Nintendo al Risiko…

Io odio quanto gli altri mi fanno sorprese, ma adoro farle agli altri, quindi sì altro giro altra corsa e videoclip fuori una domenica mattina di gennaio! Al centro di una guerra è la primissima canzone che ho scritto, parla fondamentalmente di odio e lo fa con un approccio, secondo me molto personale ma anche generazionale, se vogliamo. Vuole elencare tutta una serie di categorie di persone “odiate” sotto forma di sfogo, ma contemporaneamente prendere atto di quell’assurdità che è dettata dall’hating ai nostri tempi, del social, della viralità e del fatto che in fin dei conti tutti quanti noi finiamo prima o poi per essere ciò che odiamo e finiamo per sentirci incompresi, per sentirci repressi e nell’odio troviamo una di quelle più primitive forme di coesione.

 

 

Tra l’altro il videoclip è divertente quanto particolare, come ti è venuta l’idea dell’istant viral video?

Nel videoclip ho cercato di rappresentare questo aspetto di attualità, di viralità e digitalizzazione. Allora ho pensato di far collaborare tanti amici nel mondo della musica (tra artisti, dj, pagine, locali e serate) e di montare il tutto con un’estetica che fosse quanto più vicina a quello che faccio, musicalmente parlando. L’acquisizione video di tutte queste clip, arrivate pressoché contemporaneamente il sabato notte da tantissimi posti diversi, in un ambiente simil Windows 95 è stata l’idea più calzante che è venuta a me e i ragazzi di No Elevator Studio, che hanno girato e montato il videoclip. Alla fine aver fatto after fino alla mattina è servito a qualcosa. Sono molto contento del risultato.

Questo dei social per te è un tema ricorrente, sei molto attivo, qual è il tuo rapporto con Instagram, Facebook…e cosa pensi dei social che stanno diventando sempre più preponderanti anche nel mondo della musica? Le views, i likes, gli ascolti di Spotify…

[domanda infame, dice…]

Il mio rapporto con i social è quello di tantissimi altri giovani e millennials, mentirei se negassi di essere dipendente da internet come tutti noialtri. Trovo che in un qualche modo rappresentino la nostra vita e la società in cui viviamo, forse nella sua più totale superficialità e apparenza, con tutte le solite sfaccettature positive e negative. Io la vivo in modo molto ironico e degradante, con il sorriso, però ho sempre cercato in questi anni di sfruttarle per conoscere gente con interessi simili ai miei e per diffondere idee, pensieri e, ovviamente, stronzate. Per quanto riguarda la musica, beh, il cambiamento in questi anni è stato gigante e irreversibile. Da un lato forse questo accesso universale ha svilito tentativi di nobilitazione della musica in quanto arte, dall’altro ha permesso a chiunque di fare e di dire la sua. È un costante trade off tra qualità e quantità. La speranza è che prima o poi la situazione si riassesti, si trovi un equilibrio in questa sfrenata corsa verso il mero numero e si recuperi in un qualche modo la centralità della “sostanza”, del “contenuto”. Sono comunque dell’idea che se uno vuole le cose belle le può trovare, solo il disinteresse e la passività portano al degrado culturale. Non solo nella musica, ma nell’arte in senso lato e perfino nella politica, nell’etica e quant’altro, il discorso si fa infinito oltre che spinoso.

E invece per quanto riguarda progetti e collaborazioni future? Puoi rivelarci qualcosa o vuoi sorprenderci ancora?

Vedo che le sorprese funzionano parecchio bene, ma qualcosa te lo anticipo dai. Sto ovviamente scrivendo roba nuova. Un paio di settimane fa ero in studio con Kenobit, un artista spettacolare della scena chiptune che se ne va in giro per l’Europa a fare musica con il suo Game Boy, verrà fuori un feat molto figo. Sul versante live invece sono ancora fermo, voglio preparare tutto per bene e aspettare di avere pronto un disco. Al momento sono ancora senza etichetta, senza booking, senza ufficio stampa, mi piacerebbe continuare a fare quello che faccio molto liberamente e senza vincoli particolari. Poi si vedrà.

 

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