L’Uomo ha sempre avuto, insita e congenita, la volontà di primeggiare. Forse perché, in natura, l’ordine stesso a cui appartiene è quello dei primati e quindi, già nel nome, porta con sé l’insopprimibile pulsione a essere primo, a ribellarsi all’omologazione, a voler per forza svettare sopra i propri simili. Quando non può manifestare direttamente questo anelito alla superiorità con guerre, soprusi, politica e affini, l’Uomo si rifugia nel più quieto ambito della classificazione, con la fisiologica necessità di cavillare e discutere su chi sia il migliore in questo o quell’ambito. Il risultato è sempre l’emergere di un solo nome, che fagocita tutti gli allori disponibili lasciando ai perdenti null’altro che le briciole.
Nel caso specifico dei gialli in lingua francese, un nome su tutti si è imposto a partire dal 1929: quello di Georges Simenon, il cui commissario Maigret ha goduto fino a oggi di una incrollabile popolarità, ispirando a sua volta iconici funzionari di polizia nostrani come Salvo Montalbano. Ma un secondo autore, contemporaneo di Simenon, gli ha lungamente conteso lo scettro di maestro del noir d’oltralpe. Il suo nome è Léo Malet e per lui, a lungo messo da parte in Italia, è arrivato il giusto momento per essere riscoperto.
Con Nestor Burma e il mostro, nelle librerie da oggi per la collana Darkside di Fazi Editore, le avventure del detective privato Nestor Burma pubblicate in Italia arrivano a diciassette, a dimostrazione di una seconda consacrazione ormai definitivamente avvenuta. Il personaggio nato dalla penna di Malet è un classico rappresentante della scuola hardboiled. Per intenderci, un tipo alla Humphrey Bogart, con lo stile di vita che ucciderebbe anche Luca Carboni a fisico bestiale raggiunto: dieta liquida a base di alcol, scazzottate facili e notti in bianco condite da piombo nella carne. Burma è a capo dell’agenzia investigativa Fiat Lux, un’agenzia nata più che altro per dare ricetto al detective tra un inseguimento e l’altro. Clienti, infatti, se ne vedono pochi, e soldi di conseguenza. Navigando sul confine tra legalità e illegalità, gli introiti di Burma e dei suoi sparuti collaboratori derivano prevalentemente da scommesse clandestine, bustarelle omaggio di malavitosi di bassa lega e affini attività rientranti nella categoria delle “simpatiche canagliate”. Insomma, Burma è costruito per piacere, con il suo fascino da outsider, la sua ironia, il suo sorriso stropicciato che stende le pupe di tutta Parigi.
In questa nuova avventura, il mostro a cui il titolo fa riferimento è un avvelenatore seriale quanto casuale. Circola per tutta Parigi una partita di cioccolatini al ripieno di arsenico, che ovviamente miete vittime soprattutto tra i bambini. Le misteriose morti non sembrano avere alcun collegamento tra di loro. Ma se così non fosse? Se dietro a questi avvelenamenti all’apparenza fortuito ci fosse in realtà una sola mente con un piano ben preciso?
Il vero avversario di Dinamite – Bruma in questo racconto, però, non è tanto il “mostro”, bensì un rampante giornalista d’inchiesta, René Galzat, che con le sue indagini intende soffiare al detective il titolo di “colui che ha messo k.o. il mistero”. Anche qui, tra le pagine della fiction, è il primordiale istinto a primeggiare ad animare le azioni dei protagonisti. Il testa a testa investigativo porterà Burma e Galzat a infastidire malavitosi marsigliesi, poliziotti ufficiali e la tranquilla vita bohemienne-borghese in cui sonnecchia Parigi. Ma, alla fine, a mettere k.o mistero e mostro, potrà essere soltanto uno di loro.
Il grande merito di Malet, pur aderendo a diversi cliché della scuola dei detective duri e cazzuti, è di non snaturare il contesto in cui ambienta le sue storie. Parigi non è Los Angeles, non è l’America delle periferie sterminate e degradate, e non c’è nessuna forzatura per cambiare questo stato. Lo sfondo è una città autenticamente francese popolata da personaggi smaccatamente francesi. La tranquilla borghesia in cui si muove Maigret non è dissimile da quella di Burma. Anche qui, criminali, strilloni, operai e ragazzi di strada hanno un aplomb tutto europeo. E la stessa cosa vale per il detective, che al whiskey on the rocks preferisce di gran lunga un buon bicchiere di bianco in qualche Café.
Questa Parigi così riconoscibile e placida anche quando è teatro di morti non è l’unico tratto che accomuna Maigret e Burma. Oltre alla pipa, che per entrambi costituisce un oggetto feticcio che stimola la riflessione, a renderli simili è anche il fatto che il loro successo editoriale sia dovuto allo sconfinamento in altri generi. Al grande pubblico Maigret è arrivato grazie alla Tv, declinato in Italia con il volto di un colosso (fisico e artistico) come Gino Cervi. Bruma, invece, è stato rilanciato dai fumetti creati a partire dal 1982 da Jacques Tardi, avvicinando al detective un pubblico più giovane. Sia Maigret che Bruma, quindi, possiedono un carisma tale da spingere a proiettarli oltre la carta stampata, appetibili anche per un pubblico diverso da quello dei bibliofili.
In conclusione: Nestor Burma spicca di originalità nell’ambito dei detective hardboiled? Probabilmente no. I meccanismi dell’intreccio risaltano nel panorama della letteratura noir? Non più di tanto. Cedendo all’istinto classificatorio, Léo Mallet può competere con Simenon? Forse sì, forse no. Ma la risposta giusta, e che anche Burma sputerebbe a mezza bocca, è: chi se ne frega! Dall’albero siamo scesi, dall’età della pietra ci siamo evoluti, e non è sempre necessario scegliere il rappresentante migliore di un genere per apprezzare un buon libro. Nestor Burma e il mostro è una lettura arguta, piacevole, scorrevole e divertente. Cosa si può volere di più? O siete tra quelli che pensano la letteratura debba per forza avere anche una funzione educativa? Be’, niente di più facile allora: non accettate cioccolato dagli sconosciuti. Consiglio di mamma e di Nestor Burma.