NESSUNO TOCCHI <s>SAVIANO</s> GODANO, cap. 2

Siamo un gruppo che ha sempre cercato di non precludersi la possibilità di sperimentare nuovi approcci, assecondando la curiosità piuttosto che il calcolo. Andare a Sanremo per certi versi ha a che fare, anche, con la curiosità di cimentarsi in qualcosa di nuovo che ci potrebbe divertire […]
Esattamente come qualsiasi gruppo si può imporre di non fare certe cose perché potrebbero rovinargli una carriera: cosa ampiamente ragionevole, se si pensa se un giorno noi desiderassimo, ad esempio, fare delle canzoncine allegre, del tutto pop, commerciali, argute o meno che fossero, per puro divertimento: perché no, se non per il fatto che il tuo pubblico letteralmente ti massacrerebbe?”, poi riposa nervosamente l’indice sulla rotella del mouse, risale la pagina e “Siamo un gruppo che ha sempre cercato di non precludersi la possibilità di sperimentare nuovi approcci”, poi scende rapidamente verso il fondo del testo, “Ma non è forse più marchettaro fare ciò che il tuo pubblico si aspetta da te per puro calcolo?”. “Che cazzo abbiamo fatto”, dice a mezza voce. E’ chiuso in un elegante cubo in cemento arredato in stile moderno. Si gratta la barba, si alza di scatto da quella pagina html consumata con gli occhi da ore e si butta all’indietro sul letto. “Che cazzo abbiamo fatto”, ripete. Si volta a cercare il telecomando, lo punta verso il lampadario e poi il buio. In quel freddo febbraio 2012, neanche un graffio di luna nel cielo della città dei fiori era lì a dargli il proprio cordoglio per l’eliminazione definitiva dal Festival della Tortura.

Tre uomini di mezza età, provati da una cattiva digestione e rinchiusi da ore in un sala prove, stanno provando a reinventarsi. Sempre se uno scantinato può definirsi sala prove.

“No, aspetta, riproviamo! Vai con la batteria, Bergia!”

Suoni di percussioni rispondono lesti. E una chitarra egocentrica stride.

“Cazzo, Tesio! Ho detto batteria, non chitarra! E vammi a fare una tisana depurativa, ché non ho ancora digerito quella parmigiana”

“Oh, stai calmino Godano! Pensi che io stia bene dopo ieri sera?”

“Hai ragione, è stata una giornataccia per tutti”.

Il Godano, caricandosi di produttività, si passa una mano tra i capelli, come per raccoglierli. Certi tic son duri a morire. Soprattutto se viziati dalla nostalgia. Di quando non c’era twitter. Di quando MK voleva dire rock alternativo e basta. Di quando capelli lunghi più barba incolta non erano uguali ad evoluzione metrosessuale del genere alternativo. Di quando l’appellativo hipster, almeno in Italia, non significava nulla: come incontrare per caso un compagno di sesso occasionale e triste e domandargli “come stai”. Peraltro, queste circostanze – caso, compagno occassionale e sesso triste – sono da sempre malgradite e scongiurate come le piattole. E il Godano conosce queste sensazioni. E non deve seguire molliche di pane mentali tra gli anfratti del suo glorioso passato per trovarle. Sono più fresche dell’ultimo autoscatto fuori fuoco di Sara Tommasi su Facebook (Notizia flash: il team di Facebook tutto ha dato il triste annuncio, la pagina di Sara Tommasi è stata oscurata). Sono più decadenti degli scavi di Pompei, più insidiose della Salerno-Reggio Calabria e più navigate dello yacht di Briatore. Queste sensazioni hanno due occhietti color nocciola infossati tra i solchi di una vecchiaia irridente, una frangetta dorata e maliarda e due labbra sottili e beffarde che, quando schiuse, riproducono i canti strazianti delle sirene di Ulisse. Figurarsi il Godano, secco e spelacchiato com’è, travolto da questa sorte infausta per un anno, sferzato in un rituale sadomasochistico dalla coda squamosa della domina della discografia italiana: Caterina Caselli. L’ultimo, fresco ricordo che il Godano ha della donna, è rosso: rosso come i suoi sguardi avidi e i suoi ricatti poco velati, tra un boccone di parmigiana rossa e un sorso di vino rosso, durante la cena della sera prima. E, ancora una volta, “Cosa cazzo abbiamo fatto”, si chiede il Godano. Poi si ripete nel suo tic e così, sotto un pesante tendone rosso del sipario, sfumano i flashback e con loro il reflusso della parmigiana.

“Dai su! Riprendiamo”, alza la voce per convincersi.

Intanto il Tesio rumoreggia con pentolini e vasetti di vetro in quello spazietto arrangiato a cucina che è la stanza accanto. Sempre che uno scantinato umido e in penombra, nella periferia di Cuneo, possa considerarsi una sala prove con cucina. Cade a terra un pentolino. Poi il secondo e subito il terzo. Il Godano inizia rovinosamente a spazientirsi e, come ogni volta in cui perde la pazienza che mai ha conosciuto, si intreccia nervosamente i peli della barba, sempre secondo quel rituale mistico e a memoria di una vecchia gloria. Ma stavolta sono solo le dita a intrecciarsi e schioccare, come una specie di monito, o di violento riprecipitare nel reale di uno scantinato e di una nuova melodia che è quella della caldaia dell’inquilino del terzo piano che ha appena aperto il rubinetto della doccia.

“Anche la caldaia, adesso”, borbotta.

“Basta, dai”, gli dice paterno il Bergia mentre prende in mano le bacchette e si produce in imitazioni di stacchi in puro stile ’80-’90 come per introdurre il presentatore o l’atteso ospite della serata. Qui non c’è nessuna trasmissione televisiva però. Ci sono tre uomini fiaccati e sotto sequestro da ormai 24 ore. In uno scantinato.

In quel momento si apre dall’esterno l’unica porticina in quello spazio saturo di sugo al pomodoro e melanzane. Un uomo, che sembra sia stato travasato dal primo incontro tra Don Abbondio e i Bravi, si avvicina minaccioso e lento ai tre. Indossa un cappello a visiera larga, che gli cela gran parte del viso, lasciando alla vista solo un paio di baffi arricciati a punta. Come i Bravi. Come gli hipster. Dalla cintola dei pantaloni che patiscono il sovrappeso, spunta una pistola, dove le sue grosse dita picchiettano come manganelli su scudi antisommossa. L’effetto sortito è quello voluto. I tre si guardano nervosamente tra di loro poi, a turno, fermano gli occhi sulla lampadina sospesa in quella stanzetta umida, quasi a cercare un’illuminazione o a simulare tanatosi. Ma la concentrazione teatrale è tradita dall’età. E dagli sfinteri del Tesio. Il Bergio trattiene un sorriso, mentre il Godano prova a nascondersi dietro il microfono – ha sempre invidiato Kate Moss per il grande numero di illusionismo che regala agli eventi pubblici. Il Bravo intanto continua la sua avanzata intimidatoria, finché, a pochi centimetri dal Godano, si arresta, estrae a forza la pistola incastrata nella cintola e dice: “Questo singolo s’ha da fare entro il sorgere del sole, non un’ora dopo. Altrimenti, la Caterina, non vi darà nemmeno il tempo di pentirvi”. Don Abbondio Godano fa un passo indietro, abbassa la testa, fa un gesto di assenso. Il Bergio e il Tesio ci riprovano con la tanatosi, stavolta fissando un punto nella penombra. Non si sono mai distinti per coraggio. Il Godano sì e twitter ne è testimone.  Oggi però non può permettersi colpi di testa, o di caldo, o di frusta.

Poi la porta si richiude dietro quella minaccia da 100 Kg.

“Oggi è il giorno più lungo della mia vita”, dice il Bergio affondando su un divanetto malmesso.

 “E domani arriva l’estate“, sogghigna il Tesio.

Eh, già.

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