Era diventata famosa per un post che diceva semplicemente: “Esiste un cane gemello?”. Tutto qui. Esiste un cane gemello? Negli ultimi tempi aveva raggiunto la fase di penetrazione nella quale dei ragazzini le mandavano emoji che piangevano dal ridere. Erano liceali. Avrebbero ricordato “Esiste un cane gemello?” anziché la data del trattato di Versailles, che, ammettiamolo, non sapeva nemmeno lei.
È così che Patricia Lockwood introduce la protagonista di “Nessuno ne parla”, il suo primo romanzo, in Italia edito da Mondadori nella traduzione di Manuela Faimali, in cui un’anonima scrittrice subisce la fama arrivata per caso con alcuni post virali. Più di un’influencer, meno di una celebrità in quello che nel romanzo è chiamato “il portale” metafora, con ottima approssimazione, Twitter. Un romanzo che parte claustrofobico per velocità nell’avvicendamento dei temi e nella scrittura, riflesso diretto di quanto la protagonista sia completamente calata in una realtà virtuale che crede di saper gestire, ma che invece la soffoca occupando l’intera quotidianità. Si parla spesso di cultura della performance nei social network come sono strutturati adesso, ora che il loro linguaggio è stato invaso dal marketing e dalle sponsorizzazioni, ma in “Nessuno ne parla” la performance assume un contorno più esistenziale che fa coincidere vita e online in un unico binario. E quello che risulta dall’esposizione continua a opinioni, consigli e confessionali non richiesti, è una vita instabile all’inseguimento del prossimo aggiornamento di stato che può diventare una hit e buchi il muro del virale. La contemporaneità che vive la protagonista è simile alla nostra non solo per la presenza dell’analogo di Twitter e i suoi meccanismi, ma nel portale c’è lo stesso dibattito politico: un “dittatore”, cioè un ex Presidente americano dipendente dal portale e dai suoi aggiornamenti, un analogo della Brexit e tutto quello che di distruttivo le conversazioni politiche e complottiste hanno portato negli ultimi anni.
Questa rappresentazione del reale è supportata da una scrittura furba e compatta appositamente sviluppata da Lockwood per simulare uno scambio di battute concise su Twitter; capoversi compressi e la protagonista che, come un oracolo, elargisce opinioni con addosso la pressione di mostrarsi pungente e sveglia per colpire il suo audience. La successione di capoversi e paragrafi brevi si intensifica e racconta il bombardamento di contraddizioni e opinioni tipico di Twitter, la mancanza di oblio in un web sempre pronto a distruggere, le performance per generare numeri, unico strumento per rendersi visibili e, nella percezione distorta del virtuale, amati.
A differenza della sua generazione, che aveva trascorso gran parte del tempo online imparando a programmare per poter aggiungere grossolane animazioni di farfalle agli sfondi dei blog, la generazione successiva aveva trascorso gran parte del tempo online facendo battute incredibilmente tolleranti per ridere degli idioti tanto stupidi da credere che facessero sul serio. Solo che a un certo punto avevano iniziato davvero a fare sul serio, e alla fine, chissà come, erano diventati nazisti.
Sono questi paragrafi che sorreggono la prima parte del romanzo: monadi di pensiero e linguaggio veloce costellati di avverbi, similitudini e metafore – la formazione poetica di Lockwood che si fa sentire – e, più avanti, anche di linguaggio crudo e scurrile. E con questa immediatezza, e senza mai pronunciare nomi, Lockwood ritrae una cultura del web che è talmente frenetica da privare di significato le parole stesse dopo averne abusato più e più volte. Gli utenti vivono in un tremendo e vorticoso incubo collettivo, anzi, in una distopia che loro stessi hanno generato e alimentano in nome della libertà di espressione.
Nel pieno del rimuginio sui mezzi virtuali, il loro linguaggio e i codici di comportamento moderni, il romanzo cambia orizzonte all’improvviso, quando un evento della vita della protagonista sconvolge la sua realtà. La nascita della nipote, neonata con la sindrome di Proteo, direttamente ispirata alla vicenda reale di Lockwood, stravolge le dinamiche familiari e ricorda alla protagonista, e a chi le è intorno, che c’è ancora una vita reale da vivere. Quando sarà il momento di scegliere vivranno attraverso gli occhi ciechi e i sensi diversi della neonata destinata a essere con loro solo di passaggio. E qui Lockwood, la sua scrittura e la protagonista, dimenticano il virtuale per un’immersione totalizzante nel presente e la rabbia e il dolore che questo genera. Lockwood diventa politica, parlando di aborto e diritti riproduttivi e le leggi statunitensi insensate a proposito, facendo cenno a una perdita di libertà che si è rivelata predire il futuro, quello in cui siamo noi (il libro è del 2021, la discussione sul diritto all’aborto negli Stati Uniti sta toccando il suo apice adesso). Nella seconda parte del romanzo la lingua diventa più poetica perché solo con metafore ardite si può raccontare una nipote eterea, fragile e amatissima; non si placano, però, i voli pindarici tra capoversi, come se la protagonista, allenata ai ritmi del portale, fatichi a sintonizzarsi sulla lentezza della bambina. È il web che l’ha cresciuta a solleticare un latente Disturbo da deficit di attenzione – il TikTok del 2022 è pieno di autodiagnosi in questo senso -, in cui niente cattura l’attenzione per più di dieci righe. Un esempio:
[…] la bambina, come un tenero machete rosa, fendeva e colpiva per aprirsi un varco tra le foglie della vita. Un sentiero era un sentiero era un sentiero era un sentiero. Un sentiero era una persona e un sentiero era una mente, cammina, colpisci, cammina, colpisci.
Rimpiangeva di avere letto quell’articolo sull’intelligenza dei polpi, perché adesso ogni volta che tagliava un tentacolo abbrustolito in mezzo a delle innocenti patate novelle pensava: Sto mangiando una mente, sto mangiando una mente, sto mangiando una buona conoscenza dell’argomento in questione.
Pur nella rabbia e nel dolore, questa bambina ha una funzione salvifica e più si avvicina il suo destino, più il pensiero della protagonista si fa astratto e straziante, ma l’imprinting del web rimane e tutti gli avvenimenti vengono, scanditi dal portale – che in questa fase del romanzo consulta senza essere attiva -, dalle sue polemiche, follie, inezie e confessioni. È questa, secondo Lockwood, la vita futura che va a delinearsi? I social network hanno cambiato a tal punto la mente umana da non modificare solo le parole, i meccanismi della comunicazione e del riconoscimento del reale, ma anche il modo di scandire gli eventi delle nostre vite e, nel caso di “Nessuno ne parla”, l’elaborazione del lutto. Se nel dibattito italiano siamo ancora fermi a individuare le peculiarità delle singole piattaforme, a indignarci per challenge e meme mal interpretati dalla generazione più adulta e a indagare, con superficialità, gli effetti della fama, Lockwood è già oltre e dimostra che il cambiamento è ben più profondo. In un’intervista con scrittore e poeta John Lancaster per London review of books del 2021, poche settimane dopo l’uscita del romanzo nel mondo anglosassone, Lockwood discute la capacità di Twitter di stimolare la scrittura poetica e concisa (lei stessa è stata un fenomeno virale per la poesia “Rape Joke” del 2013), ma allo stesso tempo il portale l’ha modificata e questo cambiamento risulta evidente anche nell’elaborazione del lutto presente nel romanzo. Il dolore e la rabbia, le emozioni centrali nella seconda parte, faticano a trovare una modalità di espressione e la protagonista li analizza con ciò che le è più congeniale: concetti brevi, cambi repentini di argomento, voli pindarici nei ragionamenti. È quello che le ha insegnato il portale ed è quello che lei riproduce al meglio. Il paradosso dietro “Nessuno ne parla”, però, è ancora più potente del suo messaggio: la velocità del progresso lo rende già un libro storico, perché è evidente il soccombere di Twitter a nuovi linguaggi – si pensi all’enorme successo di TikTok. Il nostro destino sarà, allora, aggiornare comunicazione e linguaggio reale e letterario all’arrivo di ogni piattaforma? Non c’è risposta al momento. Se i paragrafi contratti e immediati sono ricorrenti in letteratura (si pensi a Notti insonni di Hardwick e Tempo variabile di Jenny Offill) e quindi non una pura novità, in Lockwood emerge comunque qualcosa di nuovo, furbo come detto all’inizio perché apparentemente più facile, ma molto più corposo quando si ritorna nella vita reale e si ha a che fare col lutto e il dolore. Non c’è nessuna morale in “Nessuno ne parla”, solo una preoccupante e poetica rappresentazione dei nostri tempi schiavi dell’essere online a tutti i costi. E molto in fondo appare una pallida consolazione: forse tutta questa distruzione che abbiamo intorno non è colpa dei singoli individui, ma di strutture a più teste complesse difficili da controllare. Per una volta possiamo attribuire la fatica di ognuno nell’affrontare questi tempi disumani a qualcosa di cui non abbiamo il controllo, il primo passo verso il perdono.