C’è l’estate nel nuovo singolo di Oriana Lippa, Baby. Uno struggimento azzurro, innervato di luce, come il primo giorno della stagione più bella. Napoletana dell’Arenella, naturalizzata “quartierana”, dei Quartieri Spagnoli restituisce l’immediatezza ruvida, il bene con la scorza dura, la veracità del dialetto che da Liberato ai Nu Guinea prima che trend è possibilità, nuova, di disegnare la città di mare con abitanti. Ex voce delle Delirious Luminal, formazione rock al femminile scioltasi nel 2011, Oriana Lippa si reinventa con un progetto di cantautorato, una sfida nella lingua madre che si avvale della collaborazione di Alessia Maturi per tradurre in immagini il movimento, silenzioso, del talento che rifiorisce, della voce limpida che prende corpo e si fa strada. Il video realizzato per la cover di Cosa mi manchi a fare di Calcutta ricalca ambientazioni e atmosfere di quello originale, a cura di Francesco Lettieri: il remake è stato apprezzato e condiviso in una story Instagram dal cantautore di Latina. Domani, ad aprire l’estate, il primo concerto nel cuore antico della città, al Riot Studio di via San Biagio dei Librai, e poi il 23 giugno, nell’ambito della rassegna Poesia Militante a Montemiletto, un altro concerto al tramonto. A raccontare tutto, entusiasta, a L’Indiependente: Oriana Lippa.
Il 14 giugno su Spotify e sulle altre piattaforme digitali è uscito “Baby” il tuo primo singolo ufficiale registrato presso lo Snap Studio di Napoli e prodotto da Enzo Foniciello, in arte Phonix. Baby è una canzone struggente e fresca, abbastanza da farne un tormentone estivo. Come è nata la canzone?
“Baby” l’’ho scritta l’estate scorsa, ed è chiaramente una canzone d’amore non corrisposto, ma che allo stesso tempo t’invita a godere della bellezza che ci circonda. Ho affidato questo brano a Phonix, che è un musicista ed arrangiatore geniale, con il quale ho collaborato anche in passato, e sapevo che ne sarebbe uscito super valorizzato.
Il pezzo ha infatti una chiara identità: all’immediatezza del tema, supportato dal calore della lingua napoletana, coniuga un sound deciso e raffinato. Che lavoro c’è dietro?
La lavorazione è partita in effetti da un’idea abbastanza chiara. Ho dato a Phonix indicazioni sul sound che desideravo, con riferimenti agli anni ’90 ed all’indie contemporaneo. Un mix di suoni acustici ed elettronici che rispettasse il mood nostalgico, ma allo stesso tempo solare del pezzo. Ne è uscito fuori un tormentone estivo di quelli che riascolteresti in loop! Ed allo stesso tempo non è per niente banale, anzi! Sono felicissima e fiera di questo primo singolo. E spero di collaborare anche per il futuro con Phonix, che per me è in assoluto uno dei migliori producer del Sud Italia.
Questo nuovo progetto segna una svolta assoluta con il tuo passato. Racconta.
Sì. Il mio percorso artistico inizia nel 2007 con una rock band tutta al femminile: le Delirious Luminal. All’epoca scrivevo e cantavo soprattutto in inglese, ed a volte in italiano. Sono stati 4 anni bellissimi e molto intensi. Era l’era di myspace; Facebook era in fasce ed Instagram non esisteva ancora. Registrare un disco o fare un video non era così accessibile. Per cui farsi conoscere e girare per i club di musica live o per i festival non era semplice, quindi ogni piccolo risultato era una grande conquista: come suonare sul palco del Primo Maggio a Piazza Dante a Napoli, o l’opening agli Almamegretta a Villa Ada a Roma, o l’apertura ai Ministri a Casa della Musica a Napoli, oppure esibirsi prima di Morgan sul main stage del Meeting del Mare a Marina di Camerota. Poi quest’avventura si è conclusa agli inizi del 2011 per divergenze artistiche, ma sono rimasti dei ricordi indelebili ed un tatuaggio dietro il mio collo.
Com’è stato il post- Delirious Luminal, cosa è stato in questi anni?
Non è stato facile staccarsi da quel periodo. Avere una band e condividere un progetto ed un sogno così grande, è un po’ come avere una storia d’amore. E quando finisce ti lascia un vuoto enorme. Questa, insieme ad altre motivazioni più personali, è stata una delle ragioni per cui per un po’ di anni mi sono fermata musicalmente. Nel frattempo non ho smesso di dare un ruolo centrale nella mia vita alla musica, ascoltandola prima di tutto ed aggiornandomi costantemente, poi continuando a comporre ed a sperimentarmi, ed anche organizzando concerti per altri artisti. Dal 2011 ad oggi l’industria musicale è cambiata tantissimo, così come la fruizione da parte del pubblico, ed anche l’approccio di molti musicisti. Senza dilungarmi troppo sulla questione, se da un lato per chi fa musica ci sono molte più opportunità, dall’altro ci si può perdere nella continua ricerca di like e followers. Rimettermi in gioco adesso, ad un’età più matura, è una grande sfida per me. Ed è una grande sfida farlo in napoletano. Cosa che non avrei mai immaginato fino a qualche anno fa.
Rispetto a qualche anno fa la scena musicale napoletana è cambiata molto, quanto ha influito questo sulla tua rinascita artistica?
Tanto, ha influito tanto. Napoli negli ultimi anni è in pieno fermento musicale, soprattutto di cantautorato in dialetto. E questo sicuramente è stato uno stimolo. A livello compositivo ho capito che esprimersi nella propria lingua ti dà una libertà ed una immediatezza impagabili. In questo caso il napoletano lo sento come la lingua del cuore, dello stomaco, come se avesse un filo diretto con le emozioni, passando poco per il cervello. Non è una lingua intellettuale o sofisticata, forse la ricercatezza viene sacrificata a favore della spontaneità, ma la poesia e la musicalità vincono nettamente. Credo che questo concetto stia arrivando finalmente oltre i confini della Campania e dell’Italia, grazie a progetti come quello di Liberato e dei Nu Guinea, che hanno saputo dare nuova vita al dialetto napoletano, slegandolo dal solito immaginario musicale, e non solo. Attraverso gli straordinari video di Francesco Lettieri, le canzoni di Liberato, per me, hanno dato a luoghi e persone della mia città una fascinazione cinematografica ed artistica molto più contemporanea, oltre il solito folklore.
Proprio Francesco Lettieri, oltre che Calcutta, hai voluto omaggiare con la tua cover/ remake di “Cosa mi manchi a fare”. Come è nata l’idea?
Cercavo un brano da riscrivere in napoletano, per non fare la solita cover scontata di qualche successo nostrano del passato. E dato che tra le mille cose che ascolto, ascolto anche tanto indie italiano, ho iniziato a canticchiarmi il ritornello del primo singolo di Calcutta, e incredibilmente le parole in napoletano sono uscite con una fluidità inaspettata, risuonando con maggior enfasi e malinconia del brano originale. Quindi ho pensato che sarebbe stato perfetto adattarla al dialetto. Poi con le mie amiche Alessia Maturi e Carmela Puca, abbiamo pensato di rigirare il video identico all’originale, in location napoletane e con me al posto del bimbo srilankese. Ci sono voluti giorni di ricerche in giro per la città, giorni di studio della regia originale, e due giorni di riprese, ma il risultato ci ha soddisfatto molto. Siamo state maniacali, ma vi accorgerete da soli, guardandolo, che il video è identico in ogni sua scena ed inquadratura.
Ho letto che la lavorazione del video è stata molto “colorata”, molto napoletana. Com’è andata?
Ci siamo molto divertite, prima di tutto perché i commercianti napoletani che hanno messo a disposizione i propri negozi, dalla lavanderia all’autolavaggio, dalla barberia al pub, sono stati molto disponibili ed entusiasti. Anche troppo! Racconto un piccolo aneddoto: il secondo giorno di riprese faceva molto freddo, ed io dovevo girare in t shirt e pantaloncini. Mi muovevo in tuta e poi sotto avevo gli abiti di scena. Quando è arrivato il momento di girare davanti al negozio del fruttivendolo mi sono dovuta spogliare davanti a tutti, ed i simpatici commessi hanno iniziato a cantare la soundtrack di “Nove settimane e mezzo”, ed uno di loro ha anche accennato uno spogliarello di fianco a me togliendosi la camicia e restando a torso nudo! (ride molto)
A giudicare dal risultato, pare ne sia valsa la pena.
Sì. Lettieri è stato orgoglioso di noi, e Calcutta, inaspettatamente, ha condiviso il video in una story di Instagram dal suo account ufficiale. Cosa che ha dato grande visibilità anche ai video dei miei inediti che avevo già pubblicato: “Mai” e “C’avit’ rutt’ o’ karma”.
La cover di Calcutta, oltre che essere originale, è stata anche una scelta coraggiosa, che scopre il fianco alle critiche. Ce ne sono state?
Devo dire che ho ricevuto tanti complimenti per questa cover, però sì, anche tante critiche. Ovviamente scegliere un pezzo così famoso di un artista che in questo momento è tra i più acclamati e seguiti, è stato un rischio. Rigirare il video in maniera identica, poteva anche rasentare la parodia. Oltretutto in questo periodo politicamente controverso, trasformare un brano italiano in un brano nella lingua dei “terroni” è una cosa che non risulta gradita a tutti. Per fortuna la maggior parte degli utenti ha compreso ed apprezzato il nostro lavoro, e la soddisfazione più grande è stata essere apprezzata dai diretti interessati. E poi tante testate giornalistiche ne hanno parlato. Insomma, è stata una scelta che non ha destato indifferenza!
Domani, 21 giugno, al Riot Studio di via San Biagio dei Librai, ci sarà il debutto, il tuo primo live di questa nuova vita artistica. È un luogo significativo per te? Che effetto ti fa iniziare dal centro di Napoli, dalla tua identità partenopea così presente nelle tue nuove canzoni?
Ci tenevo a cominciare proprio da Napoli e da un posto in particolare, il Riot Studio. Per me è un luogo speciale, in cui ho ascoltato tanti bellissimi concerti, gestito da persone adorabili, con cui ho anche lavorato, ed in questi anni ho sempre sognato di suonarci. Finalmente il 21 giugno questo piccolo grande sogno si realizzerà. E’ la prima volta che porto avanti un progetto musicale da sola, per cui la paura è tanta, ma anche l’emozione e la determinazione.
Che tipo di concerto presenterai domani?
Sarà un live intimo, voce e Telecaster. Ma ci saranno anche 4 featuring per 4 canzoni differenti.In ricordo del mio passato musicale, anche stavolta sarò accompagnata soltanto da donne: Federica Ottombrino (Fede ‘n’ Marlen) ; Simona Coppola Boo (Cultural Boo Team); Ludovica Muratgia (Soul Core); Antonella Bianco e Daniela Capalbo (Coma Berenices). La mia stima musicale nei confronti di queste ragazze è altissima, ma ancora più grande è il bene che ci lega. Sono, infatti, tutte amiche e, a prescindere dalla musica, fanno parte della mia vita e del mio cuore. Non avrei potuto desiderare sostegno e condivisione migliori per il mio primo live. Non vedo l’ora!