Neil Young – Hitchhiker

Nella notte di luna piena dell’11 Agosto del 1976 Neil Young registra Hitchhiker, insieme al suo produttore David Briggs agli Indigo Ranch Studios in California. La luna a volte li chiama lì entrambi, e insieme registrano, si divertono, lasciano suonare gli strumenti. Quella notte viene fuori Hitchhiker, un disco che oggi ha quarant’anni, ed è arrivato qui nelle nostre orecchie direttamente dal passato, con furore ci riporta indietro a quei tempi, a quella voce di Neil Young che amiamo, a quei fantasmi dei Settanta.

Look at Mother Nature on the run / In the nineteen seventies“, canta Neil in After The Gold Rush, una delle perle che ci ha regalato nel corso della sua carriera. Disco che esce proprio all’inizio dei ’70, terzo album di Neil Young in solo, dopo essersi emancipato da Buffalo Springfield e gli amici Crosby, Stills e Nash. Sono di questi anni After The Gold Rush ed Heart of Gold, dove l’eco dell’uomo del Sud si fa sentire avvolto in atmosfere folk-rock. Eppure Neil è canadese, nasce nel Nord più Nordamerica di tutti, ma ci sono geografie che sfuggono all’orientamento talvolta.

Karl Ove Knausgård, scrittore norvegese, ci tiene a ripetere che è la Norvegia il vero Sud della Scandinavia, di contro a una Svezia che si comporta da paese più a Nord, preciso e senza i grandi slanci passionali e triviali norvegesi, anche se la Svezia è geograficamente più a Sud. Così Young, pur venendo dal Nord del Canada, ridiscendendo negli Usa, nelle sue distese al rifugio nei suoi ranch, riesce a essere un’anima del Sud, e a cantarlo quest’uomo del Sud [che poi ci siano tanti tipi di uomini del Sud lo sappiamo bene, divisi tra stereotipi di uomini coraggiosi, burberi, ospitali, disincantati e razzisti, ma non necessariamente sempre consapevoli di ogni contraddizione]. Il canto disperato di Southern Man è un’invocazione all’uomo del Sud da parte dell’uomo del Nord.

Uomo del sud
è meglio che non perdi la testa
Non dimenticare
cosa dice la Bibbia
Il cambiamento al sud
Alla fine arriverà

Ma i Settanta sono anche gli anni dei sogni infranti. Per uno degli eroi del palco di Woodstock, e dei grandi sogni pacifisti che avevano animato il festival, sbattere contro la realtà diventa amaro, e così viene fuori un periodo cupo, da cui vengono fuori i tre album della cosiddetta Trilogia del Dolore di Young, tra il ’73 e il ’75. Sono gli anni che seguono la morte di Danny Whitten, amico e collaboratore di Neil vittima dell’eroina. Stessa sorte per Bruce Berry, che collaborava con CSN&Y. Tre dischi che sono il grido di dolore di Neil Young: Time Fades Away, On The Beach e Tonight’s The Night. Così, quando sul finire del ’75 esce Zuma l’allegria del disco sembra sorprenderci.

La notte di session di Hitchhiker viene fuori l’estate dopo, passata la disillusione e la sbornia di dolore. Con una magnifica title-track che racconta le sorti dell’autostoppista sulla strada, che è anche una dolorosa discesa agli inferi della droga, tra anfetamine e allucinazioni. C’è la chitarra, c’è la voce di Neil Young che amiamo, c’è l’armonica, c’è il cuore del nostro cantautore, e la paranoia naturalmente.

L’album perduto. L’album acustico. Lo abbiamo atteso per tutta l’estate, mentre la data di release veniva posticipata di settimana in settimana, poi è venuto fuori a Settembre, sul finire dell’estate con il sapore in bocca della nostalgia che grazie al disco si amplificava, perché diventava nostalgia d’altri tempi, di chitarre acustiche, di jamming session e improvvisazioni da cui nascono bei ricordi, come il pezzo d’attacco Pocahontas, in cui Neil evoca pure Marlon Brando (“Marlon Brando, Pocahontas and me” – che bel trio).

La soffusa ballata al piano conclusiva di Old Country Waltz riempie il nostro spirito, come se fossimo finiti in un vecchio bar a bere qualcosa in astinenza di tutto ciò che è perduto, ma custodito dentro di noi, nella giacca da cowboy youngiana che riesce ancora a parlarci attraverso gli anni a ritmi blues. Siamo insieme in questo bar, con Marlon Brando, Pocahontas e Neil Young, e tutta l’America probabilmente, a chiederci che fine hanno fatto le grandi ritirate nel ranch dei Settanta. Chi abita oggi il ranch, e a quale uomo del Sud credere. Intanto lui ci fischietta un Captain Kennedy, come la ballata di un vecchio marinaio.

Così, per un attimo, siamo sulla Human Highway di Young, “How could people / get so unkind“, avvolti nel misterioso percorso dei mostri della mente del grande cantautore americano (sì, americano, perché l’America è grande e sconfinata, e va da Nord a Sud attraverso terre e confini arbitrari). Per un attimo siamo nel ranch, anche noi a trovare rifugio dalle dolorose battaglie che si consumano lì fuori, a cantare, a bere o dormire, in fondo dimenticare.

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