Neil Young + Devendra Banhart @ Rock in Roma

Avere quasi 70 anni e non sentirli non è da tutti, soprattutto se negli ultimi 45 anni si è fatto, in tutti i modi possibili e immaginabili, la storia del rock’n roll. E un tipo come Neil Young lo sa bene.

L’atmosfera che si respira all’Ippodromo delle Capannelle è quella dei grandi eventi, il pubblico vanta quel mix generazionale che solo i veri grandi sanno mettere insieme: c’è chi vuole avere almeno una volta l’onore di vedere dal vivo un mostro sacro e chi invece lo segue ogni volta che passa, come un impegno da onorare, perché in fondo si sa, potrebbe sempre essere l’ultima volta. L’apertura della serata è affidata a Devendra Banhart che, per 45 troppo pochi minuti, stempererà lo stress dell’attesa. I brani di “Mala” sfilano uno dietro l’altro con i loro ritmi latini e cadenzati, suonati quasi per gioco. E’ bella la voce di Devendra, profonda e nostalgica anche quando, come durante il suo live set, l’atmosfera malinconica dei pezzi viene sfumata da una resa più rock e meno intimista. Bella la scaletta, che trova anche spazio per qualche ripescaggio dal passato, come Carmensita. Non deve essere certo facile aprire un concerto di sua maestà Neil Young e Banhart lo fa notare pubblicamente, minimizzando la sua posizione all’interno della serata a quella di semplice passatempo in attesa del vero protagonista. Fossero tutte così le attese, così piacevoli e sensuali come il suo psych-folk sognante, ringrazieremmo molto.

Prende poco più di mezz’ora il cambio palco, tempo nel quale sfilano amplificatori Fender d’epoca e bizzarri orpelli come una sorta di mummia di nativo americano posizionata a lato dello stage, una bandiera dei pirati che addobba la batteria e il logo con il gigantesco uomo a cavallo che sovrasta la scenografia del palco. Nessuno si stupirebbe se ora si presentasse così zio Neil, cavalcando un purosangue e con indosso i suoi stivali speronati e sporchi di polvere. Tuttavia la realtà è un po’ diversa e il nostro si presenta semplicemente con un cappello, al calar delle luci, nella maniera più semplice in assoluto, quella che gli riesce meglio: suonando la sua fedele Les Paul. Love and Only Love apre il concerto, con l’entusiasmo alle stelle e i lunghi assosoli delle chitarre che si intrecciano. Neil Young e i Crazy Horse sono sul palco e per le successive due ore abbondanti non esisterà nient’altro.

Che si fotta l’elettronica, che si fotta il post-punk, che si fottano il pop e tutte quelle robe moderne, che si fotta tutto, stasera esiste solo il rock’n’roll. Quello vero, in cui la durata di un brano è semplicemente un dettaglio perché a parlare sono le valvole infuocate degli amplificatori e la voce di uno dei più grandi miti di sempre, quella voce che il tempo non ha minimamente scalfito e che continua a cantare rauca e bellissima e a fare emozionare. Powderfinger focalizza ancora di più l’attenzione dei presenti ed emoziona, mentre il vento sconvolge i suoi capelli bianchi sotto il cappello. Tutto si ferma mentre Young masturba la sua chitarra, si ferma perché capisci, e capirai nei minuti a venire, che tutta la storia del rock moderno viene da quelle dita e da quella voce. Tutti i brani acustici, l’hard rock, il noise di scuola new-yorkese, perfino l’heavy metal passa per quella chitarra lì.

La scaletta alterna momenti di psichedelia furiosa, come durante la riproposizione delle suite chilometriche dell’ultimo album “Psychedelic Pill”, ad altri ben più intimi ed acustici, come quando armato di armonica a bocca e chitarra acustica, sovrasta il palco da solo esibendosi in Red Sun, l’immensa Heart Of Gold e una bella cover di Blowing in the wind, che ti sembra davvero di star vivendo negli anni 70. C’è spazio anche per qualche brano nuovo come Singer Without a Song  e per la lunghissima e meravigliosa Ramada Inn, prima della chiusura rock dura del set ufficiale con Surfer Joe and Moe the Sleaze e la sempiterna ed evocativa Rockin’ in The Free World, suonata per quasi venti minuti con abbondanti e sentitissimi reprise. Ma il clou del live è sicuramente il bis, con quella inaspettata ed emozionante Cortez The Killer, che spiazza proprio tutti, e dopo puoi anche morire. Cinnamon Girl chiude il concerto e ti è improvvisamente sembrato sia durato un attimo. La storia del rock è passata per la Capitale, è entrata nelle nostre teste e nei nostri corpi, ci ha trafitto con i suoi assoli e ci ha fatto rivivere quei momenti intimi vissuti dietro i solchi di un vinile.

Ha quasi settant’anni Neil Young e non li dimostra, perché oggi come allora, la sua musica suona esattamente come 30 o 40 anni fa e resta vivida ed eterna. Come lo spirito più vero del rock’n’roll.

Foto e video a cura di Ila Sonica

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Setlist:

  1. Love and Only Love
  2. Powderfinger
  3. Psychedelic Pill
  4. Walk Like a Giant
  5. Hole in the Sky
  6. Red Sun
  7. Heart Of Gold
  8. Blowing in the Wind (Bob Dylan cover)
  9. Singer Without a Song
  10. Ramada Inn
  11. Sedan Delivery
  12. Surfer Joe and Moe the Sleaze
  13. Rockin’ in the Free World

Encore

  1. Cortez The Killer
  2. Cinnamon Girl

 

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