Naomi Mitchison e “Il viaggio Halla”, una lettura femminista

Scrittrice, scienziata, attivista e femminista: queste le identità di Naomi Mitchison, autrice scozzese rivoluzionaria dalla lunghissima carriera letteraria. Ha scritto romanzi storici, fantasy, saggi, autobiografie, articoli e ha dedicato la sua vita all’attivismo politico e femminista anticipando temi nodali per i futuri movimenti: l’aborto, la contraccezione, la libertà sessuale, l’impatto devastante della cultura dello stupro e il conseguente giudizio misogino sulle vittime. Come spesso succede per le autrici del passato, la riscoperta della sua produzione letteraria passa per dettagli non fondamentali; nel caso di Mitchison la lunga amicizia con J.R.R. Tolkien, conosciuto nel 1915, quando entrambi pubblicavano poesie per l’Oxford Poetry, e che aveva aiutato nella revisione de “Il Signore degli Anelli” come prima lettrice. Nota anche per l’appartenenza ad una influente famiglia scozzese, gli Haldane, e le frequentazioni altrettanto altolocate, questo non le ha impedito di delineare la sua identità senza vincoli esterni. Naomi Mitchison è stata un faro per la letteratura scozzese e britannica tutta, autrice di una vastissima quantità di pubblicazioni, all’incirca novanta, che esplorano i generi letterari e li plasmano rendendoli terreno fertile per diffondere il suo pensiero. Ed è con il genere fantasy che torna nelle librerie italiane dopo molti anni: “Il viaggio di Halla” (Fazi editore, tradotto da Donatella Rizzati) è una rivisitazione della favola, ma alla maniera di Mitchison. Halla, la protagonista, è una ragazzina che sfugge ad un destino infausto, grazie ad una tata lungimirante, e viene allevata da orsi prima e draghi poi, che la rendono sapiente e potente, sottraendola alla logica degli eroi. Questa la prima peculiarità della “favola” secondo Mitchison: gli eroi fanno parte della razza degli uomini e, in quanto tali, sono prepotenti e inaffidabili.

Si potrebbe verificare che a nessuna principessa sia mai stato chiesto se voleva essere salvata e portata via da un massacratore di draghi, verso un destino (senza dubbio) peggiore della morte.

Gli eroi sono, nelle parole della autrice, «orribili» e «tentano immediatamente di rubare tutto quello che indossi e di portarlo via con sé e, probabilmente, anche di ucciderti». Questo capovolgimento di fronte ridimensiona gli eroi e restituisce libertà e potenza ad una giovane protagonista che non vestirà i panni della principessa, ma parlerà la lingua degli orsi, penserà come un drago e sceglierà di viaggiare a modo suo, senza che nessuno possa imporle un destino che non vuole. “Il viaggio di Halla” (“Travel Light” il titolo originale) è una epica in cui la protagonista è sempre fedele alla sua natura pure evolvendo con grazia e maturità. «Halla terrore degli Eroi», «Halla Dono di Dio», «Halla cercatrice di sentieri»: sono solo alcune delle identità che le attribuiscono durante il suo peregrinare, ma Halla è senza dubbio una pensatrice indipendente, protagonista di un romanzo che persino Ursula K. Le Guin, la maestra della letteratura fantastica statunitense, riteneva un classico fantasy per lettrici e lettori di ogni età. L’avventura di Halla, autrice del proprio destino, è quella che si può chiamare una “favola dell’età delle eroine”, ispirata dalla storia medievale, le mitologie antiche e piena di paesaggi magici e creature leggendarie. Una anticipazione della donna come artefice del proprio destino che si vedrà circa venti anni più tardi ne “La camera di sangue”, il racconto di Angela Carter.

A pensare che “Il viaggio di Halla” sia stato pubblicato per la prima volta nel 1952, due anni prima dell’epico fantasy di Tolkien, si percepisce a fondo come Mitchison, all’epoca cinquantacinquenne, fosse in anticipo con i tempi del fantasy, come già lo era stata, del resto, negli altri suoi romanzi in materia di emancipazione e autodeterminazione delle donne. Già nel 1935 aveva dovuto fare i conti con i pesanti interventi della censura per il suo romanzo più controverso e autobiografico, “We have been warned”, inedito in Italia, che segue le vicende delle sorelle Phoebe e Dione Galton in quella che si trasforma nel romanzo storico in una Europa alla soglia dell’avvento dei totalitarismi e l’esigenza di emancipazione e modernità delle donne che racconta. Mitchison spiega la maternità, le relazioni extraconiugali e, soprattutto, le eterne controversie che l’aborto e lo stupro comportano, e il risultato è un romanzo che verrà rimaneggiato per superare lo scoglio della censura e un pentimento tardivo per il suo carattere personale, perché quella di Phoebe e Dione, in realtà, era la vita di Naomi stessa.

La produzione letteraria di Naomi Mitchison è stata specchio della sua vita progressista e d’avanguardia, reinventata ogni volta che se ne presentava l’esigenza. È stata scienziata, coinvolta nelle pubblicazioni mediche sulla genetica che scriverà col fratello, poi infermiera e volontaria durante la Prima Guerra Mondiale. Il suo matrimonio con l’avvocato e politico britannico Gilbert Richard Mitchison fu definito in più frangenti da entrambi i coniugi “aperto” e vissuto in contemporanea con altre relazioni molto significative per la sua vita. Quando decide che il suo futuro è nella scrittura, dà il via alla produzione letteraria affiancando, ad essa, l’impegno politico nell’antifascismo e una attitudine cosmopolita che la porterà a viaggiare molto in Botswana, Africa, in cui sarà nominata persino “madre” della tribù Bakgatla. Nel 1981 il riconoscimento ufficiale della sua grandezza: viene nominata Commendatrice dell’Ordine dell’Impero Britannico, uno dei massimi riconoscimenti della cultura britannica, e fino ai 90 anni scrive e porta avanti il suo personale dialogo sul femminismo esponendosi per i diritti riproduttivi delle donne e la libertà nelle relazioni amorose e sessuali. Mitchison aveva vissuto in prima persona i movimenti suffragisti e maturato sin da giovane età la sua convinzione nelle battaglie per liberare le donne dai vincoli della società Edoardiana che aveva conosciuto. È stata poi capace di ritagliarsi il suo spazio nell’epoca d’oro della letteratura scozzese con la sua unicità e l’enorme potere immaginativo del suo talento d’avanguardia. Il viaggio di Naomi come autrice e donna del suo tempo è stato sempre guidato dall’istintiva ricerca della sua identità poliedrica e cangiante, attraversando il Novecento con volontà di ferro e spirito rivoluzionario per scrivere e andare oltre il ruolo predefinito nella società.

 

Exit mobile version