Io Nai Palm, al secolo Naomi Saalfield, non la conosco di persona. L’impressione però che ho sinceramente da sempre è quella di una donna straordinaria. A partire dalle indiscutibili doti artistiche, voce d’angelo (con tecnica impressionante) e chitarra creativa, così come per l’originalissimo senso della moda e dello stile o dell’attivismo nei campi più disparati, da quello ambientale a quello LGBT. Ma la cosa che più di tutte me l’ha sempre fatta percepire in quest’ottica è il suo onnipresente sorriso, non stupido od imbambolato, ma sincero e vero, costruito e forgiato da battaglie personali che nella sua vita non sono mai mancate.
La leader degli australiani Hiatus Kayote, uno dei gruppi che sta riscrivendo le regole del gioco negli ultimi anni, è rimasta orfana a undici anni. La madre, una ballerina di danza contemporanea e coreografa che aveva fino ad allora cresciuto da sola lei e i suoi cinque fratelli incoraggiando fortemente la loro creatività, morì di cancro al seno. Ognuno di loro dovette andare quindi a vivere con un membro diverso della famiglia in parti diverse del paese. Naomi rimase con la sorella della madre, che sfortunatamente era immersa in una relazione abusiva ed aveva un figlio appena nato. La piccola Nai quindi fu improvvisamente sradicata dall’ambiente in cui era cresciuta, e soprattutto subito dopo quello che è probabilmente il trauma peggiore che un bambino (o chiunque) possa affrontare, e data in affido ad una famiglia sconosciuta, in un’altra parte dell’Australia.
A questo punto in genere si prefigurano due scelte: lasciarsi travolgere pienamente dal dolore e la rabbia, alimentando una spirale negativa che è lì pronta ed è la via più semplice ed apparentemente ovvia; oppure aggrapparsi a qualcosa che ci aiuti a tirare la testa fuori dalla melma e a prendere una boccata d’aria a pieni polmoni. Per sua (e nostra) fortuna Naomi sceglie la seconda via, che non è in prima battuta la musica come si potrebbe pensare, ma l’amore per il mondo animale. Di animali meravigliosi in Australia ce n’è abbondanza, e la piccola comincia a stringere un rapporto particolare e strettissimo con molti di loro, fra cui un Dingo ed un corvo, che diventato suo animale di compagnia le ha lasciato il tatuaggio che porta sul mento, un graffio che una volta liberato l’animale si è fatta ripassare con l’inchiostro. Probabilmente cercare uno stretto rapporto con la natura ed il mondo animale le è servito per realizzare che il mondo in generale, ma soprattutto il suo personale, poteva ancora essere pervaso di amore e sentimenti sinceri ed in una qualche misura “puri” com’è l’amore di una madre per un figlio; le ha fornito quell’empatia e comprensione che le erano necessari, senza le scocciatura e le difficoltà dei rapporti con le persone. Una passione così totalizzante da ritrovarla in praticamente tutti i testi dei suoi pezzi.
“My beauty is my understanding of the world and that permeates through me as a person; it’s a gift because its an opportunity to evolve”: we are here to experience, adapt and evolve”
La musica comunque, anche grazie al lavoro della madre, è sempre stata presente nella sua vita. All’inizio soprattutto i grandi classici del soul, come anche il re del pop Michal Jackson e più in là il Jazz. Ed infatti Naomi inizia da giovane, verso i 16/17 anni, ad esibirsi nei locali di Melbourne, suonando da subito composizioni originali per sola chitarra e voce che poi diventeranno proprio i pezzi degli Hiatus Kaiote. La dimensione binaria fra la sei corde e la voce è quindi quella originale, e non stupisce che Nai vi sia tornata in questa prima uscita da solista “Needle Paw”. Per sua stessa ammissione l’intento è proprio quello di un ritorno alle origini, un tentativo di rimettere la voce al centro e riscoprire le strutture originali delle canzoni: troviamo infatti alcuni pezzi della band assieme alle composizioni originali che compongono l’album. Forse è una reazione istintiva all’attenzione mediatica derivata dalla decisione di Kanye West, Drake e Kendrick Lamar (in ordine temporale) di campionare frammenti di brani come “Atari” o “Building A Ladder”, un modo di riscoprire e –di nuovo- riappropriarsi del proprio suono, della propria musica, gettata in pasto al mainstream ed al calderone zeppo di altri suoni delle produzioni dei suddetti artisti. Un processo che ovviamente arricchisce in modo pazzesco i pezzi dei rapper ma in un certo modo spersonalizza e non valorizza in pieno la musica di Nai Palm.
Ma c’è un’altra grande motivazione dietro alla scelta di comporre e registrare un album del genere, che nel 2017 potrebbe sembrare quasi controproducente, una decisione un po’ naif o datata. Ce la fornisce ancora una volta la stessa Nai Palm, affermando come finito l’ultimo tour della band, i suoi compagni d’avventura fossero tutti volati a casa dalle famiglie per rilassarsi e ricaricare le batterie. Ecco, questo Naomi purtroppo non può farlo e avendo nel tempo trovato il proprio equilibrio in una vita dallo spirito nomade ed in costante movimento, piuttosto che nel focolare di una casa di riferimento, ha semplicemente deciso di continuare il tour da sola.
Ricordo che in quest’occasione fece tappa anche a Roma in quel del Monk, un paio di anni fa, suonando una scaletta praticamente invariata rispetto a quella dell’album (compresa la cover di Hendrix). Era una sera d’inizio estate, e quindi il concerto si tenne nell’ormai celeberrimo giardino del Monk, a titolo gratuito, con veramente tantissime persone sotto il cielo romano a lasciarsi incantare dal fascino di Nai Palm. Un fascino composto in primis da un talento straripante, con una voce personalissima ma in cui allo stesso tempo è possibile rintracciare sprazzi dei grandi. Un talento il suo che però non era motivo di allontanamento dal proprio pubblico, ma anzi di avvicinamento, grazie ad una fragilità intrinseca sia alla sua voce da cantante durante la vera e propria esibizione, sia a quella da “persona” nelle battute scambiate con il pubblico.
Che i pezzi siano arricchiti da arrangiamenti complessi e raffinati come quelli degli Hiatus Kayote, o che siano semplicemente suonati accompagnandosi con una chitarra classica non messa troppo bene, la magia rimane praticamente la stessa e ciò indica quanto la sua musica valga in sé e per sé stessa, a prescindere dal contesto in cui è inserita.
Una musica ed una musicista che affondano le loro radici nel dolore più acuto, ma che come risultato finale provocano sensazioni esattamente opposte. Una carriera fin qui ricca di soddisfazioni, di cui questo album “Needle Paw” non è una tappa da sottovalutare, bensì una dichiarazione d’intenti, uno “statament” come si dice in inglese che recita a chiare lettere “Io sono Nai Palm, sono fiera di essere me e questo è solo l’inizio”.