Su twitter il topic trend #Muslimsarenotterrorists si diffonde a macchia d’olio in questi giorni confusi, e si mescola alle iniziative che in diverse città hanno lanciato l’appello Not In My Name. Anche stavolta esiste un forte richiamo internazionale a non confondere gli attacchi di Parigi con la religione musulmana, basterebbe far caso anche alle vittime dell’Isis tra la popolazione musulmana. Gli attacchi in Siria, Nigeria, Yemen, Libano, Somalia, Sudan, Iraq ce lo confermano: l’Isis non è l’Islam, anche se difficilmente il concetto penetra l’immaginario popolare. Sulle pagine del The Independent lo scrive a gran voce una ragazza musulmana, Miqdaad Versi: come musulmana sono disgustata dal modo in cui l’Isis è violento e pretende di rappresentare la mia fede. Si intralegge, nelle sue parole, anche una certa paura a proposito delle conseguenze future sulla convivenza nelle società occidentali multiculturali.
Non dovrebbe aver senso soffermarsi su certe distinzioni, né dovrebbero averlo iniziative di dissociazione come Not In My Name, tuttavia è necessario quando il mondo tende ad arrabbiarsi e il clima si altera. Ribadire mille volte il concetto forse non ci aiuterà a combattere il pregiudizio totalmente, ma in parte almeno qualche effetto lo avrà.
Sad reflection that we even need a #MuslimsAreNotTerorist hashtag.
— Wajahat Ali (@WajahatAli) 14 Novembre 2015
Provate a contare 1,6 miliardi di persone (quanti sono i musulmani nel mondo), a dire ad alta voce i numeri, uno due tre fino a 1,6 miliardi, e vi renderete conto di quanto sia esasperata la questione dei musulmani e del terrorismo di ispirazione religiosa nel nome di Allah. Il presidente del Muslim Public Affairs Council Mariyati, a proposito degli stereotipi e della confusione sulla questione ha detto, ”i politici conservatori usano i musulmani americani come un sacco da boxe, e credono che otterranno più voti e soldi usando noi come capro espiatorio”. Questa stanchezza la avvertiamo anche da queste parti, e abbiamo una buona occasione per cominciare a ignorare i politici conservatori che usano questi discorsi in modo strumentale. Fare il gioco di questa parte di politica ci aiuta solo ad alzare il livello dello scontro che abbiamo di fronte.
Per capire quanto sia ridicola l’equazione musulmani/terroristi (e per natura lo è già), basterebbe osservare le diverse nature di questo Islam, per esempio la divisione interna all’Islam tra sunniti e sciiti. L’Iran, la Siria, il Libano e l’Iraq hanno una tradizione sciita, l’80% della restante popolazione musulmana è sunnita. Esiste anche un altopiano che è entrato con prepotenza nell’attenzione internazionale negli ultimi anni che si chiama Kurdistan, e che si estende nei territori turchi, iraqueni, siriani, iraniani e armeni, e ospita i curdi, di cui avrete sentito parlare (resistenza all’Isis, sterminio dei curdi da parte di Saddam Hussein). Davvero è possibile credere che l’Isis sia un unico blocco di ispirazione religiosa, che si arroga il diritto di parlare in nome di Allah e di tutti i musulmani?
Semplice: no. Ma in fondo è una cosa che sappiamo tutti. Chi uccide usando il nome di un dio come pretesto va condannato, in modo chiaro e forte. Chi è costretto a dissociarsi in queste ore va aiutato e sostenuto, perché la sfida che abbiamo di fronte è davvero enorme. Dalla parte degli innocenti della storia bisognerà pur stare.
Foto copertina: proteste dopo l’attacco a Mumbai, Anuradha Sengupta Flickr CC