La scena elettronica germogliata dall’underground londinese negli ultimi 15 anni ha rappresentato uno dei fenomeni musicali più importanti della storia della musica recente. La nascita e lo sviluppo della dubstep, che vede le sue radici intorno al 2000 come deriva della garage e della 2step, hanno portato all’affermazione di artisti come Burial, Scuba, SBTRKT, James Blake che hanno fatto del fenomeno dubstep uno spunto per portare la concezione di musica elettronica su derive nuove e proiettate a 360 gradi verso gradini evolutivi estremamente eterogenei. Tutto ciò sotto l’influenza del brulicante e prolifico panorama elettronico londinese che nasceva e si sviluppava attorno a loro, sotto forme innovative ed attraenti: dalla folktronica di Four Tet, alla downtempo 2.0 di Bonobo, dall’electro-dreampop dei Darkstar a quello minimale dei The XX, per citarne solo alcuni.
Pensare, ideare, creare musica in un contesto così stimolante e produttivo è terreno fecondo per menti fresche ed ispirate. Fresche ed ispirate come quelle di Dominic e Kai, in arte Mount Kimbie.
Nel 2010 i Mount Kimbie tirarono fuori l’acclamato Crook & Lovers, chiaro esempio dell’universo in piena espansione di cui sopra, un frutto scintillante e succulento, firmato guarda caso da una delle etichette londinesi che per prime hanno portato avanti il rinnovamento post-dubstep, la Hotflush.
A tre anni di distanza e questa volta sotto la guida dell’autorevole Warp, i Mount Kimbie tornano con Cold Spring Fault Less Youth e lo fanno col piglio di chi si rende conto che il centro al primo tentativo può voler dire talento così come culo. E allora in questi tre anni non hanno perso tempo a cazzeggiare e a godersi la fama, di questi tempi quanto mai effimera, dando vita a collaborazioni e remixes vari con buona parte di ciò che pulsa in quel di Londra da Blake ai The XX, ciò che ne è venuto fuori sono pezzi che trasudano sinergie nuove e interessanti.
Sfruttando al meglio questi intrecci artistici i due hanno affinato i mezzi e le idee e complice una produzione qualitativamente superiore rispetto alla precedente tirano fuori un album di spessore.
Una descrizione del disco ce la fornisce lo stesso Kai Campos in un’intervista su Soundwall: “Noi nel produrre un album scriviamo musica e poi la mettiamo insieme cercando di dare un ordine ed un senso. Non decidiamo a priori il tipo di linea da seguire. Le canzoni in questo album sono diverse e pure le parole usate nei titoli delle canzoni sono entità separate, poi unite insieme, con un senso a seconda di come le consideri, se insieme o separate. Io intendo l’album come se le canzoni fossero diverse città su una mappa, disposte in modo casuale ma tutte collegate fra loro”.
Così si passa dalle soffici pendici soul di Home Recording ai vicoli suburbani di You took your time, ritmati dall’aggressiva vocalità di King Krule, dalle periferie industriali di Blood and Form al pieno centro metropolitano di Made to Stray; in So many times, so many ways sembra di percorrere lunghe highways notturne, mentre in Slow ci catapultiamo in asfittici club di qualche decennio fa.
Prova di maturità pienamente superata per i Mount Kimbie, il talento c’è eccome e in questo disco lo tocchiamo con mano. Probabilmente se da un lato l’estrema frammentazione tra i vari pezzi dell’album ci permette di assaporare gusti diversi ed evoluzioni tecnico-compositive d’avanguardia, dall’altro gioca un po’ a sfavore, non permettendo di dare un peso specifico all’album ed una sua personalità definita.
Poco male, c’è ancora tanto da aspettarsi da questi due e non vediamo l’ora.
Warp, 2013