Morte e vita uniti dalla poesia in Permafrost di Eva Baltasar

Foto di Margo Ovcharenko

Mi sono collocata in un limite, ci vivo dentro, aspetto il momento di abbandonarlo questo limite, la mia dimora provvisoria. Provvisoria come tutte le dimore, infatti, o come un corpo.

Questo è uno dei passaggi su cui si torna più spesso, per assorbirlo, sottolinearlo, consegnarlo a un futuro sé lettore. Scritto in una delle prime pagine e che subito dà un’immagine e un senso al titolo: Permafrost – esordio nella forma di romanzo di Eva Baltasar (classe 1978) e da poco pubblicato da Edizioni Nottetempo nella traduzione di Amaranta Sbardella.

La protagonista è infatti una donna catalana di quarant’anni che ripercorre in una sorta di flusso di coscienza la sua gioventù, i suoi studi, le sue relazioni quasi per spiegare – ma mai a giustificare – lo strato di gelo che si è creato tra lei e le cose; e di come questo non sia mai stato vinto dai titoli di studio, dai rapporti familiari e sentimentali.
Entriamo in contatto con lei in modo improvviso, ad altitudini non precisate – dove l’aria è più pura e ci costringe quasi alla vita – nel pieno del suo lavoro mentale sullo stato delle cose e della propria esistenza.

Nonostante il titolo, infatti, scorrere con lei attraverso il racconto filtrato del suo vissuto e delle sue percezioni è come abbandonarsi a un’avventura incosciente all’interno di una mente brillante. La protagonista raccoglie gli eventi di circa vent’anni della sua vita e ce li restituisce, in modo spesso non continuativo, marcati dalla sua intelligenza sottile, il black humor, il sarcasmo. Come se questi fossero spesso un modo per rispondere – l’unico – a una certa idea di sé e ridicolizzare ciò che invece nel tempo ha contribuito in parte a crearla, a non darle respiro.

I rapporti familiari sono i primi a essere presi di mira: il confronto con la sorella, le preoccupazioni ansiogene e giudicanti dei genitori che vogliono rinchiuderla in una gabbia di sicurezza pur di stare tranquilli – e questo è soprattutto il caso della madre:

Per quanto riguarda la mia attuale occupazione, credo che mia madre ne sia soddisfatta. Soddisfatta di avermi incasellato, finalmente. La figlia maggiore le era uscita sfuggente come un’anguilla, ma per fortuna sembra che si “sia centrata”. In verità, se essere centrata è solo questo, penso che avrò bisogno di molte droghe, e molto forti, per tenere la testa a cuccia e in silenzio, dentro la sua gabbia.

Poi il percorso accademico, la creatività mozzata dalla presa di coscienza di essere mediocre (rispetto a chi e cosa?) e il successivo viaggio in Europa come ragazza alla pari. E se per la madre il muoversi e lo spostarsi sono sempre in funzione di un lavoretto con cui mettersi al riparo dagli imprevisti della vita; per la protagonista trasferirsi vuol dire assaporare porzioni di libertà, e soprattutto conoscere donne e nutrirsi dei piaceri del sesso. Sono tante le donne con cui la protagonista intesse delle relazioni sentimentali, il cui collante fatto di passione e amore però finisce sempre per esaurirsi a causa del contatto stridente tra diverse visioni sul mondo.

Tutto, di lei, gridava alla vita. La mia vita, invece, gridava alla morte.

In Permafrost la narratrice non ha peli sulla lingua, né quando ricorda i rapporti sessuali né quando ci rivela le sue paure, il suo strisciante desiderio di morte. Anzi, lo fa quasi con un desiderio di catarsi, lasciando intuire che dopotutto c’è qualcosa che va oltre lei – e oltre noi – a essere sbagliato.

Eva Baltasar fotografata da David Ruano

Eva Baltasar inoltre dedica questa sua prima prova nel romanzo alla poesia – da cui viene – “perché lo permette”, ed è infatti impossibile non ritrovarsi rapiti dalle pagine di Permafrost e non pensare a tutto un patrimonio poetico dell’autrice riversato qui e plasmato in altra forma. C’è poesia nella forma spezzettata della prosa e quindi del ritmo; nella potenza immaginifica di certe parole e del loro studiato posizionamento in grado di aprirti le porte di un mondo buio ma in fondo anche così affamato.

A ventitré anni credi che sia troppo tardi per tutto. Solo a quaranta ti accorgi che sei ancora in tempo, se non proprio per tutto, almeno per quello che ti sta a cuore.

Secondo alcune dichiarazioni dell’autrice, Permafrost sarà il primo di una trilogia ideale: non ci resta che aspettare gli altri.

 

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