Nessuna madre racconterebbe la storia di Moana Pozzi alla propria figlia. Alcune non racconterebbero neanche quella di Grace Jones e di Moira Orfei, forse neanche di Tonya Harding e di Caterina da Siena. Donne complesse e difficili, da far paura agli uomini e alle donne stesse, alle femministe convinte che tanto femministe poi non sono. È difficile immaginare quale possa essere il filo conduttore che lega queste donne l’una con l’altra: una pornostar con una santa o la regina del circo con le sorelle Brontë; sono tutte delle Morgane, la strega o fata – la scelta è vostra – del ciclo arturiano. Secondo il mito, Morgana è potente, pericolosa e imprevedibile e così sono le donne i cui ritratti sono stati scritti e raccolti da Michela Murgia e Chiara Tagliaferri nel libro Morgana.
Morgana, edito da Mondadori, della coppia Murgia-Tagliaferri, nasce da un progetto ancora più ambizioso: nel 2018 Michela Murgia pubblica sulla piattaforma di audio streaming storielibere.fm il podcast Morgana, in cui in ogni episodio si racconta la storia di una donna fuori dagli schemi. Per la versione stampata, le due scrittrici hanno scelto di portare alla luce le complessità di dieci donne che iniziano i loro percorsi in maniera differente, ma li vivono secondo gli stessi dettami: sono tutte self-made, per usare anglicismi che vanno tanto di moda, donne che si sono fatte da sole, nel bene e nel male.
La prima Morgana che ci viene presentata è Moana Pozzi, icona e regina del porno. Moana vive la sua sessualità a pieno: per quanto possa essere difficile da accettare, Moana non è mai oggetto della bramosità dell’occhio maschile, ma ne è consapevolmente il soggetto. Come viene descritta nel libro, Moana diventa “la Giovanna d’Arco del sesso libero”. Una Bocca di Rosa moderna che ha generato molteplici scandali, in primis per la sua spregiudicatezza in un paese sostanzialmente conservatore come il nostro e per il modello di donna libera, sfrenata che smonta l’immagine della vergine sacrificale, da preservare a tutti costi perché la castità femminile è l’unico valore da mantenere. La seconda Morgana, invece, della castità ne ha fatto la sua vita: stiamo parlando di Caterina da Siena. Vi sarà capitato di vedere nell’iconografia religiosa una donna con un giglio in mano e un libro nell’altra, simboli della purezza e della dottrina; Caterina da Siena nasce in Toscana nel 1347 e ha vissuto fuori da ogni tempo possibile e immaginabile. A chi la voleva dare in moglie, ha risposto digiunando e a chi la voleva zittire, imponeva la sua forza e influenza arrivando a essere una delle consigliere papali. Rivoluzionario nel 2019, figuriamoci nel 1300.
Continuano i ritratti di donne incredibili come Grace Jones e le sorelle Brontë. Definire Grace Jones è un’impresa ardua, protagonista indiscussa delle passerelle degli anni 70, domina con la sua musica le classifiche di tutto il mondo. Fu una delle prime donne a esprimere a pieno il legame tra estetica e identità, non si preoccupa di essere bella o elegante, ma plastica e mobile: vuole assumere tutte le forme possibili convinta che possa trovare la propria (il concetto di identità sessuale è ancora lontano, ma a Grace Jones si può ricollegare un primissimo esempio di gender fluid). A differenza della lucciola Jones, chiamata così da bambina per la luce che emana, le sorelle Brontë sono tutto eccetto che esibizioniste. Emaciate e tendenti all’auto-segregazione, eppure Anne, Emily e Charlotte hanno rivoluzionato la letteratura vittoriana. Anne delle tre è quella meno fortunata, schiacciata dal genio di Emily e Charlotte che con Cime tempestose e Jane Eyre hanno sdoganato completamente la figura femminile del romanzo ottocentesco. Sono state capaci di esprimere l’amore in senso assoluto anche senza viverlo.
E proprio al quinto racconto che Murgia e Tagliaferri hanno completamente catalizzato la mia attenzione. Con la quinta Morgana si entra in un mondo, apparentemente vicino a quello dei comuni mortali, che è quello circense e chi più di Moira Orfei può ergersi a simbolo di questo. Moira conosce il potere del desiderio e lo sfrutta per costruire il suo impero, dove lei è regina indiscussa. È monumentale nelle azioni e nell’aspetto e a differenza degli animali di cui si circonda, lei non è addomesticabile. Il rapporto circo (e dunque domatore)-animale esplica bene l’immaginario che per secoli ha dominato l’ottica maschile sul rapporto con le donne: rinunciate alla libertà per il ruolo che la società impone e in cambio riceverete cura e affetto. In un rapporto di sudditanza così ben strutturato, è ovvio che non c’è spazio per le lamentele. Perché lamentarsi quando si presuppone comunque un rapporto d’affezione, seppur decisamente sbilanciato nelle dinamiche di potere? Come le tigri del circo, il ruolo della donna assumeva rilevanza in base alla relazione che avevano con gli uomini. Moira no.
Le due autrici hanno dichiarato che alla base di questo libro vi è la volontà di smantellare un dogma vicinissimo anche alle più moderne, la “sindrome di Ginger Rogers”, ovvero l’idea che le donne siano migliori degli uomini in quanto tali e dunque devono saper fare tutto quello che fanno le loro controparti maschili, ma con livello difficoltà 10+ e possibilmente sui tacchi e con tubino addosso. Questa visione altamente misogina appartiene tanto agli uomini quanto alle donne. Due di queste, invece, che questa sindrome non l’hanno vissuta ma hanno dovuto fare i conti con la brutalità del tritacarne mediatico sono la sesta e la settima Morgana, Tonya Harding e Marina Abramović. Due fuoriclasse – una nel pattinaggio e l’altra in performance artistiche inimmaginabili – che hanno elaborato le violenti esperienze personali e le hanno trasformate in arte. Accomunate dalla grandezza e dal talento, ma non dal trattamento del grande pubblico. Marina acclamata, Tonya disprezzata e lasciata nell’oblio dei grandi.
Rapporto ben diverso con la fama e il denaro è quello che ha avuto la riccioli d’oro di Hollywood, una bambina che grazie al suo sorriso innocente e ai 56 boccoli che ogni mattina le faceva la mamma è stata capace di salvare una multinazionale in crisi – Fox vi dice niente? – l’unica e la sola Shirley Temple. La prima bambina prodigio che ha guadagnato milioni di dollari piangendo a comando, simbolo e paladina del sogno americano. Contro di lei, però, un nemico invincibile: il tempo. Col passare del tempo, le controversie sulla figura di Temple aumentano: da esserino innocente inizia a prendere le forme delle ninfette di Nabokov, una piccola Lolita che per lavorare un anno in più sposta la sua data di nascita dal 1928 al 29. Ma Shirley Temple è caparbia e l’età non la scalfisce, dopo un passato da star assumerà ruoli importanti in politica e sarà la prima a parlare in pubblico di cancro al seno.
I risultati raggiunti dalle ultime due Morgane – Viviene Westwood e Zaha Hadid – spingono oltre tutti i pregiudizi e gli archetipi dei lavori “pensati” per le donne. Vivienne Westwood è la madre della moda punk, fu la stilista dei Sex Pistols ed è solo lei da ringraziare se adesso il tartan e gli anfibi sono così instagrammabili. Si reinventa ogni volta, così come la moda dovrebbe essere, sempre mantenendo lo sguardo fisso sull’etico e il sostenibile. Hadid, d’altro canto, è la prima “archistar”. La sua visione di architettura è stata criticata per il suo astrattismo ma alla base della sua filosofia non c’è l’edificio, ma il concetto. Uno spazio che capovolge gli spazi già esistenti e se ne appropria dettando le proprie regole. Questo è in realtà quello che fanno un po’ tutte le Morgane, ridefiniscono i termini con cui la storia viene scritta. Solo che non lasciano agli altre le parole da scegliere.