Il presente che conduce al futuro | Momentum dei Calibro 35

Due anni fa l’uscita di Decade aveva rappresentato per i Calibro 35 l’occasione di autocelebrarsi in un anniversario importante e allo stesso tempo di sperimentare – in grande – le nuove possibili direzioni da percorrere. L’uscita di Momentum – il 24 gennaio per Record Kicks – era atteso, dunque, fin dal suo annuncio, come un importante, nuovo tassello nella discografia di una delle formazioni tanto derivative quanto – per contrasto – originali del panorama italiano, e non solo, di questi ultimi anni del nuovo secolo.

Momentum è stato presentato attraverso una citazione di Albert Camus – del quale proprio questo gennaio ricorrono i sessant’anni dalla prematura scomparsa – “La vera generosità verso il futuro consiste nel donare tutto al presente” a voler quasi sottolineare come la realizzazione di questo nuovo disco nasca da un’immanenza necessaria, che sia un modo per fermare su un’istantanea i tempi attuali lungo un orizzonte che abbraccia il mondo, la scena musicale e, va da sé, l’hic et nunc di una sola band.

Tutti i componenti dei Calibro 35 vengono da recenti esperienze che ne hanno, se possibile, ulteriormente ampliato il loro già vasto bagaglio culturale, musicale e privato grazie ai molteplici progetti paralleli – I Hate My Village, Arto, The Winstons, le produzioni di Fatoumata Diawara, C’Mon Tigre e Africa Express di Damon Albarn, i dischi solisti di Massimo Martellotta, i tour del progetto di musica “colta” 19’40’’ e Mike Patton, la realizzazione di Pictures at an Exhibition di Modest Musorgskij solo per restare a questi ultimi due anni.

E fin dal primo ascolto appare chiaro il peso specifico che tali percorsi hanno avuto in questo che, per la prima volta, non è esagerato definire il nuovo corso dei Calibro. Momentum, infatti, pur restando certamente fedele a un universo sonoro ancora del tutto riconoscibile, è un disco in cui appare netto lo scarto – sonoro e musicale – rispetto al passato. Un lavoro che prova a far dialogare – riuscendoci – una musica di stampo black – che spazia moltissimo dentro i solchi della propria storia, dai riferimenti alle colonne sonore dei film Blaxploitation fino a raggiungere sonorità ritmiche immerse dentro l’hip hop e di molti dei migliori tentativi crossover – e certe esperienze elettroniche senza mai, però, ricorrere – è bene ricordarlo – a preset, campionamenti o parti registrate. Musica nera, quindi, che però inizia ad abbandonare l’ossessione funk per tessere trame affascinanti dentro un universo variegato che tiene insieme hip hop, soul, elettronica, post rock; i Tortoise con Morricone, i Mogwai con i The Roots.

Momentum – frutto di “un collettivo di esploratori sonici”, come si sono autodefiniti – è un disco che nella sua complessità poggia molto le basi sull’indiscutibile centralità della sezione ritmica affidata alla coppia Rondanini/Cavina. Ed è, infatti, proprio sui tempi sghembi e sincopati di un pezzo firmato da Rondanini – Glory-Fake-Nation, che risente fortemente degli influssi della musica africana che già arricchivano Decade – che si apre il disco, prima di lasciare campo a Stan Lee, primo singolo estratto, un brano che suona come il perfetto punto d’incontro tra uno scenario sonoro da quartieri newyorchesi degli anni settanta e un hip hop di stampo più classico grazie alla collaborazione con Illa J., su testo dello stesso rapper di Detroit (fratello minore del compianto J Dilla, morto nel 2006 a soli trentadue anni). Stan Lee è un approdo per certi aspetti naturale per una band già campionata da rapper come Jay Z e Dr. Dre e, contemporaneamente, prova d’autore(i) che si diverte a giocare con materiali musicali diversi – in parte – da quelli utilizzati in passato.

Segue uno dei pezzi che è già facile annoverare tra i migliori della loro carriera: Death of Storytelling – un nome che appare quasi come un manifesto programmatico per una band abituata certamente pochissimo a far passare il proprio racconto attraverso la parola scritta o cantata – è frutto del miglior Gabrielli, autore di un piccolo gioiello di composizione tra suggestivi arpeggi, colpi di rullante e grappoli di note che, come cascate, arrivano a spazzar via un paesaggio cinematografico di grande malinconia e notevole impatto.

Il corpo centrale del disco – composto da Automata, Tom Down e Thunderstorms and Data sembra quasi una lunga suite in tre movimenti. Sorprende – per la compattezza del suono e per una certa idea di composizione – che i tre pezzi abbiano firme diverse, rispettivamente quelle di Luca Cavina, Enrico Gabrielli e Tommaso Colliva, a dimostrazione del fatto che lo stile Calibro 35, anche nella sua evoluzione nel tempo, appartiene a una reale collettività più che alla somma degli estri dei singoli.

Il trio di brani è un crescendo d’intensità e, rispetto al resto dell’album, si mantiene maggiormente ancorato al passato come nei suoni attraversati da echi western morriconiani di Automata, sorretta, manco a dirlo, dall’ossessiva linea di basso del suo autore o nell’incedere iniziale di Tom Down o, ancora, nelle atmosfere alla Piero Umiliani capaci di rievocare paesaggi sonori da soundtrack cinematografica, ora con passaggi più leggeri ora più grevi.

Ma è soprattutto nella conclusiva Thunderstorms and data, con il suo inizio robotico che chiude il cerchio aperto con S.P.A.C.E. (in fondo il primo momento di passaggio nella ricerca di un suono differente) che la tripletta raggiunge il suo culmine. Colliva mette a segno un brano affascinante che costruisce il finale perfetto di questa parentesi dal suono più classico, grazie a continue chiusure e riaperture, improvvisi cambi di tempo, alternanze di scenari dentro a un caleidoscopio psichedelico.

Black Moon è un pezzo che tiene insieme un funk molto leggero mescolato ancora una volta con l’hip hop e arricchito qui dalla freschezza del cantato di MEI, seducente nel suo flow dal timbro zuccheroso che si fa fatica a non tenere incollato alla mente. La successiva Fail it til you make it – ancora affidata alla scrittura di Rondanini – tiene insieme hip hop, breakcore, jazz elettronico come se venisse fuori dalle sperimentazioni di Mark Guiliana e dal quintetto di Donny McCaslin – per i meno attenti la band voluta da Bowie per l’opera testamento Blackstar – e che spinge le sonorità del gruppo dritte dentro tutto l’universo dell’alt jazz che sta poco a poco conquistandosi le platee di mezzo mondo.

4 x 4 di Massimo Martellotta è, invece, un affascinante prog house psichedelico che sembra mutuare alcune tra le migliori idee dei Daft Punk in termini di chitarre e distorsione dei suoni, un pezzo elettrico ed elettronico tra le cose più belle del disco. Mentre a chiudere l’album ci pensa, infine, ancora una composizione – One Nation Under a Format – di Gabrielli, qui con un brano più morbido impreziosito da una pioggia di note al pianoforte che ci conduce fino al silenzio finale.

Con Momentum, dunque, i Calibro 35 proseguono il percorso degli ultimi lavori, senza strappi ma alla ricerca di un continuo cambiamento. Da S.P.A.C.E., passando per Decade fino a questo lavoro, i cinque manifestano ormai in maniera più che programmatica il bisogno personale di percorrere strade diverse da quelle battute agli esordi.

Momentum pur nella sua dimensione black è, infatti, un disco lontano dal suono sporco di pezzi come Broccolino Funk o Bushwick, Nigeria e in molti passaggi la band a cinque teste – nata come super gruppo di matrice indiscutibilmente funk – sembra aver cambiato rotta verso una forma di ensemble dall’idea quasi zappiana. Ma quello che a cui si rinuncia in termini d’immediatezza e “fame” è guadagnato nel riflesso di un disco che “suona” molto più rilassato – prima ancora nei suoni nelle intenzioni – grazie a una nuova attitudine che vuole arrivare a costruire bei pezzi senza la costante necessità di stupire con la straordinaria perfezione tecnica cui ci hanno abituati.

Ma non ci illudiamo, sono solo piccoli indizi di un percorso che sarà destinato a cambiare tante volte ancora e che, proprio in virtù di una grande libertà creativa, continua inesorabilmente ad affascinare e, soprattutto, a sorprendere – come in un gioco – i suoi stessi autori e interpreti.

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