Per il sottoscritto, come per tanti altri, l’uscita di To Pimp A Butterfly è stata una sorta di rivelazione. È stato il campanello che è squillato a convincerci definitivamente che stava per succedere qualcosa di molto importante, musicalmente ed anche socialmente, è sembrato in un certo senso tre cose tutte insieme in egual misura, il punto di arrivo di un percorso precedente, il punto di partenza di una nuova via e l’evoluzione di ciò che già c’era. A distanza di quasi due anni dall’uscita dell’album Kendrick Lamar ha messo d’accordo praticamente tutti, fans della prima e dell’ultima ora, critica, il business musicale vero e proprio e anche la politica ed i politici. È difficile non riconoscerlo come uno degli album più importanti degli ultimi vent’anni, sicuramente come il primo capolavoro riconosciuto da parti così eterogenee fra loro, il primo degli anni ’10 del ventunesimo secolo.
Proprio per questo quando il rapper losangelino circa un anno dopo, ovvero il 4 Marzo dell’anno che ci ha appena lasciato, ha rilasciato in sordina (esclusa un’esibizione dal vivo al Tonight Show di Jimmy Fallon) untitlted unmastered ci sono state due reazioni immediate ed in rapidissima successione fra loro. La prima di euforia estrema, ancora sull’onda lunga di TPAB, la seconda di leggero disappunto perché effettivamente il disco, dal titolo alla copertina passando per il nome delle tracce, era stato presentato come i b-sides di To Pimp A Butterfly. Lì per lì dunque l’approccio al lavoro è stato influenzato da questo pensiero, e del disco si è smesso di parlare molto in fretta come fosse un’appendice estrema del capolavoro, quindi un gran bell’album ma che però non brillava abbastanza di luce propria, non aveva la carica rivoluzionaria del precedente.
Ora, se è innegabile che sotto molti punti di vista è proprio così, ci sono altri elementi che meritano di non passare inosservati. Prima di tutto una cosa: la musica e, di conseguenza, i musicisti. È noto come uno dei maggiori punti di forza di TPAB sia stata la collaborazione di Kendrick con le punte di diamante del jazz contemporaneo, Thundercat, Kamasi Washington e Terrace Martin che fra il 2015 ed il 2016 hanno anche trovato conferme personali con lavori di rara bellezza e freschezza. In questo disco che fa della grezzezza della produzione il proprio motivo di esistere, l’apporto di Thundercat e Terrace Martin è semplicemente devastante, il basso del primo è perfetto, oscuro e sensuale, il sax e le tastiere di Terrace Martin sono sempre distribuiti nei momenti perfetti e regalano ancor di più quell’atmosfera da sala prove fumosa che è una costante su quasi tutti i pezzi. Insomma in untitled unmastered gli strumenti in un certo senso prevalgono sulla produzione e non sono solo più delle aggiunte eccellenti ad essa, di conseguenza è interessante sentire l’amalgama che si ottiene con il sempre ispirato Kendrick e le sue acrobazie lessicali.
È interessante ascoltare l’album anche perché forse ci può guidare nell’immaginare come suonerà il prossimo progetto dell’artista preferito dall’uscente presidente Barack Obama. L’atmosfera del lavoro è decisamente molto cupa, eccetto in un paio di eccezioni, ed i temi trattati dalle liriche sono quelli soliti di Lamar, sociali e politici oltre che molto introspettivi. Il tutto scaturisce quindi in un’atmosfera generale discretamente pesante, e non è affatto detto che Kendrick torni a sonorità più “radio friendly” visti anche gli avvenimenti della recente storia americana. Ho letto il commento di un eroico anonimo sotto un video che annunciava in via ufficiale l’elezione di Trump, costui cercava di vedere il lato positivo della faccenda, individuandola proprio nel panorama artistico/musicale, sostenendo che con un uomo del genere al potere gli artisti si sarebbero “ribellati” tirando fuori grandi album. Potrebbe sembrare il tentativo disperato di vedere il cosiddetto bicchiere mezzo pieno, ma effettivamente non mi viene difficile pensare nel prossimo futuro ad un Kendrick Lamar chiuso nel suo studio a riempire taccuini su taccuini di testi al vetriolo, e che alla estrema mediocrità ed ignoranza che sembrano aspettare gli Stati Uniti da qui a breve contrapponga un lavoro oscuro, potente, di denuncia sociale ed artistica, che risulti quasi barocco nella forma e nei contenuti.
Insomma questo forse è il momento perfetto per risentire meglio untitled unmastered, per apprezzarne le qualità che ci sono sfuggite e per ingannare l’attesa del nuovo disco di Kendrick Lamar, che speriamo non si faccia attendere troppo dato che nei prossimi mesi ce ne potrebbe essere un disperato bisogno.