Ci sono alcuni album musicali che semplicemente arrivano al momento giusto: bussano alla porta, li fai accomodare in salotto e loro rimangono a farti compagnia qualche giorno, anche una settimana. Ce ne sono altri – le relazioni mancate, mi piace chiamarli – che magari avrebbero avuto tutte le armi giuste per sedurti, ma ciccano clamorosamente il timing e tu li guardi allontanarsi mesti, da dietro la finestra. E poi esiste una terza categoria, composta da pochi eletti, che se ne sbattono di essere sincronizzati con la tua testa e il tuo cuore perché sono loro a dettare i ritmi e nessun muro li tiene fuori. Atomic rientra a pieno titolo nell’ultima definizione.
Non nuovi a questo genere di produzione (si tratta del terzo lavoro di soundtrack, dopo quello del film Zidane: A 21st. Century Portrait e quello della serie televisiva francese Les Revenants), i Mogwai rielaborano la musica registrata per la colonna sonora di Atomic: Living In Dread and Promise, il documentario del regista Mark Cousins sugli albori dell’era atomica, andato in onda la scorsa estate su BBC Four.
Il disco, concepito in seguito ad una visita della band al parco della pace di Hiroshima, si snoda attraverso dieci tracce che racchiudono in sè allo stesso tempo l’incubo del nucleare e la fascinazione onirica che questo ha rappresentato e rappresenta ancora. La forma è quella di una catabasi, una discesa negli inferi: si apre con i toni epici di Ether, maestoso portale d’ingresso, ma fin da subito appare evidente come fermarsi sulla soglia –moderni Odisseo – non sia una possibilità. Sono l’aliena ed allarmante SCRAM e l’energia cinetica di Bitterness Centrifuge a scortarci giù, lungo la ripida scala che conduce al vero nucleo: il dittico centrale composto da U-235 e da Prypiat.
Diametricalmente opposti ad un primo impatto, i due pezzi si rivelano ben presto essere inscindibili, due lati della stessa medaglia: parti distinte, ma legate da un unico motivo ispiratore, l’atomica appunto. Il primo freddo, impersonale, intriso di vintage-synth; la seconda una marcia funebre attraverso una landa desolata (Prypiat è la città abbandonata per sempre dopo il disastro di Chernobyl) contaminata da drone-music. Un caleidoscopio attraverso il quale guardare contemporaneamente l’energia e la distruzione, il sublime e l’orrore.
Si cerca una faticosa risalita attraverso l’eterea Are You a dancer?, impreziosita dal violino di Luke Sutherland, ma solo per giungere ormai senza fiato all’ultima Fat Man ( nome della bomba sganciata su Nagasaki) ed arrendersi al suo assordante silenzio. Incapsulati in una bolla dalle pareti insonorizzate, si assiste alla conclusione di questa catarsi, spettatori di una verità svelata dalla violenza della colonna sonora. Atomic è un disco da ascoltare seduti, perché c’è seriamente il rischio di cadere durante il viaggio.