Modeselektor – Who Else

Che si trattasse di una sfida, copertina e titolo dell’album lo avevano lasciato intendere senza troppi fronzoli, ancor prima di ascoltare i pezzi. Alla grafica retrò a tinte psichedeliche di forte impatto e all’irriverente domanda da spot pubblicitario mancava, forse, solo far recitare ad un George Clooney, ansimante e sudato al Tresor, sotto i colpi dei bassi del duo berlinese: “Modeselektor. Who else?” per un’operazione commerciale di sicuro successo. E sì che la volontà di un ritorno alle origini e la ripresa di un percorso messo in stand-by dopo il disco-capolavoro Monkeytown sarebbero stati di per sé obiettivi di notevole portata. Senza scordarsi gli otto anni trascorsi fra i due lavori, in un clima di crescente successo grazie ad uno dei matrimoni elettronici più riusciti -quello con Apparat- ad alzare l’asticella delle difficoltà.

Tutto da perdere, quindi? Questione di prospettive: probabilmente dopo un lungo ed estenuante viaggio era arrivato il momento di tornare al punto di partenza e riesplorare l’ecletticità del più puro suono Modeselektor. E, infatti, l’iniziale One United Power è un limpido manifesto di intenti: synth schizofrenici e tamburi violenti urlano a gran voce che Gernot Bronsert e Sebastian Szary si sono lasciati alle spalle le melodie oniriche dei Moderat-days. Il tentativo di riappropriarsi delle radici riparte da quella che potrebbe essere a pieno titolo la colonna sonora di una Love Parade di fine millennio, coinvolgente ma con un retaggio che va a pescare fin troppo indietro nel tempo. Le scimmie si sono risvegliate dal lungo torpore e paiono decise, anche se non proprio a ballare, di certo a riprendere a muoversi.

 

Tuttavia, con Wealth c’è un brusco cambio di direzione e sulle rime della giovane grime artist Flohio si viene sbalzati in avanti di vent’anni. Si tratta di una strizzatina d’occhio ad altro genere musicale per nulla isolata. Prelude, infatti, alle altre due collaborazioni all’interno del disco: da un lato quella con il rapper estone Tommy Cash in Who, palese tentativo di creare un ponte sonoro tra la techno berlinese e l’hip-hop, e dall’altro quella con OVS in I Am Your God, mano tesa senza troppa convinzione all’industrial-hardcore. Bassi, rullanti, e frustate elettroniche sono la parodia di un tempo che fu, e la rabbia, la frenesia e la forza cinetica che i tre pezzi pretenderebbero di trasmettere, si sostanziano in poco più di un malinconico sorriso.

Va meglio con le strumentali: Prügelknabe oscilla in modo convincente tra pad morbidi e selve di battiti ansiogeni, mentre Fetanyl è una tisana d’acido che si gusta volentieri. Ma in generale, è forte la sensazione che vi sia un enorme sforzo, sotteso a tutto il lavoro, nel voler dimostrare che Berlino non è solo abbigliamento monocromatico e techno retrò. La contaminazione incessante ad opera di un mix confuso di influenze estranee in sole otto tracce risulta tanto asfissiante, che alla fine i Modeselektor perdono di vista il loro marchio di fabbrica da sempre ispirato al “less is more” e relegano in secondo piano quello che meglio sapevano (e sanno, sicuramente) fare: battere, per dirla con consapevole ignoranza. Anche la conclusiva Wake Me Up When It’s Over suona incompleta, fantasma sconsolato del periodo appena trascorso, a cui manca la straziante voce di Apparat.

 

Il duo indossa nuovamente quei panni che erano stati accartocciati in un angolo a lungo, e per l’occasione li lustra e li stira a nuovo. Nulla da dire riguardo alla padronanza della tecnica e all’abilità con cui gestiscono il processo creativo, così come per l’ineguagliabile capacità di non produrre un beat uguale ad un altro. Ma, in questa caccia al mix perfetto e alla ricerca del ritmo-ancora-mai-prodotto, qualcosa odora di artefatto nuovo, invece che di piacevole riscoperta. Dov’è finito lo sporco, quell’artigianalità ruvida che ha il sapore di sudore e polvere, e di autenticità non troppo lucidata? Se voleva essere un calcio alla noia e alla formalità, Who Else è troppo pulito per riuscirci. O forse siamo noi, romanticamente aggrappati ad un’idea di techno, e di una Berlino, che non esistono più.

 

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