In questa storia ci sono un lui – Frank Lloyd Wright, architetto, ideatore del Guggenheim di New York, otto delle sue opere fanno parte del patrimonio dell’umanità, e una lei – Mamah Borthwick, traduttrice, femminista, sostenitrice dell’idea che le mogli e le madri siano anzitutto donne, con una personalità, un’indole, dei desideri. La loro relazione, dal 1907 al 1914, ha scandalizzato Chicago e ogni luogo dove i due hanno messo piede. A rimetterci, davanti al tribunale dei benpensanti dell’America alla vigilia del primo conflitto mondiale, è soprattutto Mamah, che paga il prezzo di voler vivere una vita fuori dai copioni imposti dalla società.
Lei e Frank Lloyd Wright si conoscono in Illinois, ad Oak Park, sobborgo di Chicago. Mamah Borthwick e suo marito Edwin Cheney sono clienti di un giovane architetto, Frank Wright, un rivoluzionario per i tempi, noto per progettare case e spazi tenendo conto della personalità dei committenti e della natura. Frank è sposato, ha figli, contempla ed insegue la bellezza, rifiuta l’approssimazione. Mamah, madre a sua volta, è impegnata per la diffusione del movimento femminista. In America ed in Inghilterra nei primi anni al Novecento il movimento è incentrato quasi esclusivamente sul diritto di voto, mentre in Germania ed in Svezia si focalizza sulla realizzazione della donna e dei suoi bisogni, dentro e fuori il nucleo familiare. Mamah, traduttrice di Ellen Key negli Stati Uniti, è interessata a quel che le massaie americane non hanno l’ardire di raccontarsi: il diritto al voto è sacrosanto, ma lo è anche la noia che decine e decine di donne provano, indugiando in matrimoni che le esiliano. La conoscenza delle lingue avvicina Mamah agli scritti di Goethe e di Ibsen: studia alla ricerca di fonti che avvalorino la caducità delle relazioni e riconoscano il divorzio come diritto. Il Sessantotto è lontano, ma il dibattito sociale sul femminile e sui temi che vi ruotano intorno è già il grido debole di qualcuna. Frank Wright non sa nulla di femminismo, ma ascolta appassionato i racconti di questa donna inconsueta, brillante, diversa da sua moglie, con cui trascorre molto tempo per consegnare a lei e a suo marito una casa unica, come tutte quelle a cui si dedica. L’architetto accampa scuse per vedere Mamah, si presenta da lei senza avvisare, la frequenta insieme ai rispetti consorti in occasione di feste o serate a teatro. Lo ha già ammesso a sé stesso: si è invaghito di questa quarantenne dagli occhi verdi, ammantata di grazia ed energia: un’energia che ha fonte nella capacità di creare un ponte tra le cose che legge e la vita quotidiana. Nel momento in cui Frank Wright posa gli occhi su Mamah ne resta ammaliato, si rende conto di poter chiacchierare con lei come non fa con altre. Per lei la scoperta è la stessa: al cospetto di Frank vede i limiti del rapporto con il marito, per il quale l’accesso al subconscio della moglie, animata da ricordi, aspirazioni e parole, è limitato. Il passo verso una relazione amorosa è breve e a leggere Mio amato Frank (Loving Frank, tradotto in Italia da Carla Palmieri per Einaudi) dalla scrittrice Nancy Horan, premio per la fiction storica, anche inevitabile.
La Horan racconta una storia realmente accaduta con il linguaggio della fiction. Si imbatte nella vicenda di Mamah e di Wright per caso: vive ad Oak Park e qui è impossibile sfuggire al mito del celebre architetto. Ma non è il punto di vista dell’architetto che la Horan vuole approfondire. Il suo obiettivo è Mamah, della quale si sa poco o nulla. Per raccogliere particolari utili alla costruzione del libro, la scrittrice si getta a capofitto nei giornali locali dell’epoca, cerca notizie nella biografia di Wright (senza troppa soddisfazione), tra le chiacchiere della gente, nella corrispondenza di Mamah con Ellen Key. Per scrivere il libro impiega sette anni: ha dalla sua l’esperienza di collaborazioni giornalistiche ma non si è ancora cimentata con un’espressività che mixa realtà e finzione. L’esperimento riesce bene e riceve un’accoglienza calorosa. La storia d’amore offre all’autrice l’input per descrivere una donna coraggiosa, felice e sofferente insieme, che ha vissuto senza cedere a compromessi. La sua tragica fine è stata interpretata da tanti come il prezzo inevitabile di tanto coraggio, per altri è stata solo una casualità: era nel posto sbagliato al momento sbagliato. I testi degli articoli presenti nel libro sono quelli apparsi sui quotidiani al tempo dei fatti e questo assegna al romanzo la potenza di una testimonianza.
Il processo mediatico e la risolutezza di Mamah
Frank Wright e Mamah Borthwick lasciano Boston nel 1909, scappano insieme. Raggiungono Berlino, poi Firenze e Fiesole. A volte si separano per lavoro. Lei non fa che porsi la domanda che l’assillerà per anni, fino al giorno del suo omicidio, nell’agosto del 1914 per mano di uno squilibrato: è più giusto sacrificare la propria femminilità in nome dei figli e segnarli con l’infelicità o essere felici e segnarli con l’assenza? La società risponde per lei, gridando allo scandalo e dipingendola come una raggiratrice, ladra di mariti. I giornalisti tampinano la coppia in tutti gli spostamenti: la fuga dell’architetto più promettente d’America con la moglie del suo cliente è un argomento succulento per la gogna mediatica. Il tormento continuerà anche quando i due andranno a vivere in Wisconsin, località di Spring Green, a Taliesin, una tenuta ideata da Wright. In questo assedio Mamah traduce, tra le altre opere di Ellen Key, il saggio L’arca minata: Ibsen e le donne, un’analisi dei personaggi femminili creati dal drammaturgo norvegese che aveva impressionato il pubblico nel 1879 con Casa di bambola e la fuga di Nora, il personaggio chiave, dalle angherie del marito. La forza di Mamah e la risolutezza nello sfidare il pensiero dominante conquistano la Horan, che con il libro non solo offre uno scorcio della vita del noto architetto, ma anche della battaglia privata e collettiva di una donna che voleva vivere i propri sentimenti senza dover mettere da parte i figli ed essere bollata come una cattiva madre. Chi lo dice essere una buona madre equivale a rinunciare a sé stesse, alle proprie emozioni? Mamah ha cercato di rispondere nei fatti e con lo studio, la domanda però resta aperta tutt’oggi.