Miles Kane + Arctic Monkeys @ Ferrara sotto le stelle, Piazza Castello (11/07)

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Ferrara è caldissima quando arriviamo, la tensione crea un clima surreale tra le persone accorse a sentire gli Arctic Monkeys, già sold out da un mese, per la loro seconda data italiana dopo quella di Roma, e i vicoli della città emiliana che ribollono di umidità e voglia di eternità. Fuori da piazza Castello si riunisce un gruppo variopinto di giovani in fila per accedervi, con le bancarelle che vendono le magliette che dipingono i petti e le società di bagarini che cercano l’affare dell’ultimo momento. Una volta entrati, la location surreale, a fianco del castello estense, ti butta in un mondo nuovo, l’attesa diventa struggente.

Tocca a Miles Kane il difficile compito di infervorare la piazza prima del tanto atteso arrivo della band di Alex Turner. Sembra difficile poter raccoglierne l’attenzione e, invece, quel look gallagheriano e un po’ beat ci riesce benissimo, la gente si alza e inizia a cantare e a muoversi, più che un semplice riscaldamento, lo show è già iniziato. Miles Kane ci trascina dentro al suo mondo, senza dare il tempo a nessuno per rifiatare se non al momento del cambio della chitarra. A Taking Over si succedono rapidamente Rearrange e Better Than That. I cori si susseguono ma è all’arrivo di Give Up, Don’t Forget Who You Are e Come Closer che la piazza esplode e, anche chi prima non lo conosceva, difficilmente se ne dimenticherà. Un’ora passa più che velocemente, a Kane va il grande merito di essersi imposto come più di una semplice band di supporto, ritagliandosi lo spazio tra i rocker britannici che gli spetta. Non è un caso, infatti, che sia il compagno di Alex Turner nel progetto parallelo Last Shadow Puppets, per ora messo in stand-by.

Serve solo mezz’ora per il cambio di palco, la folla inizia a stringersi, c’è sempre meno spazio per respirare, le sigarette iniziano a spegnersi e accendersi ripetutamente, le birre a vuotarsi, il caldo si fa gabbia da cui, anche volendo, sarebbe impossibile sfuggire, e nessuno vuole davvero farlo. Sono le 21,30, è sceso il buio, la musica si abbassa, le luci si accendono insieme alla mani che brandiscono smartphone e macchine fotografiche, qualcuno urla, le facce si dipingono di eccitazione e di sorrisi, l’attesa è finita, gli Arctic Monkeys stanno arrivando sul palco. Le due immense AM che compongono la scenografia si accendono e il riff del nuovo singolo Do I Wanna Know? coprono le grida dei fan.

 Le cinquemila persone che affollano la piazza diventano un indistinto movimento mosso dallo stesso cuore pulsante, come soltanto un certo tipo di passione può riuscire a creare, restare immobili non è contemplato, ognuno diventa parte dello spettacolo. Brianstorm è una dichiarazione di guerra e Dancing Shoes la sua risoluzione, non c’è più tempo per rifiatare o per accorgersi del sudore che ti imperla la faccia e ti attacca inevitabilmente al fianco del tuo compagno di questa folle danza. Don’t Sit Down Cause I’ve Moved Your Chair è una sfida a restare in piedi, a rifiatare, a combattere contro l’arsura che ti rende afono, mentre tutti te la cantano a squarciagola al tuo fianco e Alex Turner sfida la città minacciandola di poter suonare tutta notte. È il momento di Teddy Picker e l’apice che credevi aver sfiorato un istante prima è già dimenticato, ogni canzone si costituisce per una propria eternità che una volta scaduta viene sostituita da una nuova. Passano rapidamente, al prezzo del cuore, altre sette canzoni a cui il pubblico risponde con lo stesso entusiasmo fino all’arrivo di I Bet You Look Good On The Dancefloor, a cui corrisponde l’arrivo di una nuova epifania. Ma non è ancora finita. Ogni canzone è annunciata da Turner con una voce aggressiva e provocatoria che invece che provocare astio carica ancora di più. Si arriva a Suck it and See, Fluorescente Adolescent e all’ultima dichiarazione di R U Mine? Tutto sembra perduto. Gli Arctic escono, si fanno acclamare ma, poi, non tradiscono.

Il ritorno sul palco di Turner, tra i giochi di luce che hanno caratterizzato tutto il concerto, è, questa volta, brandendo una chitarra acustica. Tocca a Cornerstone fare da anticipazione a Mardy Bum e senti davvero di aver dato tutto, ma uno spazio per When The Sun Goes Down lo trovi, qualcuno lancia un reggiseno che diventa coreografia per il microfono. Turner si ferma, chiama sul palco il suo compagno di avventure Miles Kane che, dopo la sua prestazione, viene acclamato con entusiasmo, inforca la sua chitarra e suonano insieme 505, a cui sarà affidato l’onere di chiudere il set.

Mentre te ne esci e percorri quelle strade strette, esausto, ti rendi conto di non aver lasciato nulla dietro ma, soprattutto, dentro di te. Ed è, probabilmente, la garanzia di aver assistito ad uno spettacolo di qualità di cui gli Arctic Monkeys si sono confermati protagonisti, senza lasciare nessuno insoddisfatto, nemmeno le autorità o il castello che, per un momento, ho creduto di sentire cadere.

Foto di Francesco Pattacini – Riproduzione Riservata


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Miles Kane

Tracklist:

  1. Taking Over
  2. Rearrange
  3. Better Than That
  4. Darkness in Our Hearts
  5. Inhaler
  6. Give Up
  7. Don’t Forget Who You Are
  8. Come Closer

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Arctic Monkeys

Tracklist:

  1. Do I Wanna Know?
  2. Brianstorm
  3. Dancing Shoes
  4. Don’t Sit Down Cause I’ve Moved Your Chair
  5. Teddy Picker
  6. Crying Lightning
  7. Brick My Brick
  8. Evil Twin
  9. Old Yellow Bricks
  10. Thunderstorms
  11. Pretty Visitors
  12. I Bet You Look Good On The Dancefloor
  13. Do Me A Favour
  14. Suck It And See
  15. Fluorescent Adolescent
  16. R U Mine?
  17. Cornerstone (Acoustic)
  18. Mardy Bum (Acoustic)
  19. When The Sun Goes Down (Acoustic)
  20. 505 with Miles Kane (Acoustic)

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