Esiste terreno più scivoloso di quello della critica cinematografica? Quante volte abbiamo visto film osannati dalla critica poi aspramente respinti dal pubblico? Quante altre abbiamo visto film detestati in patria essere celebrati da giurie internazionali? Quest’anno abbiamo scelto di abbandonare la forma classifica per dedicarci a una rassegna dei migliori film passati per le sale italiane in questo 2015. Nessuna rigida divisione in categorie ma tante suggestioni diverse che ciascuno di noi è riuscito a trovare nel buio di una sala.
MONDI DISTANTI
Fabio Mastroserio
Mustang
di Deniz Gamze Ergüven
Francia, Turchia, Germania
In un piccolo villaggio cinque ragazze orfane dei genitori al ritorno dall’ultimo giorno di scuola si tuffano in acqua (vestite) per giocare con i propri compagni di scuola. Un gioco innocente che porterà lo zio che ne ha la patria potestà a isolarle sempre di più dal mondo che le circonda. Storia al femminile che riesce a raccontare i diversi punti di vista delle sorelle tra grandi tenerezze e paure, tra silenzi complici e volontà di ribellione offre uno squarcio dolente sulla condizione delle donne nella Turchia più arretrata. Opera prima di straordinario fascino coniuga l’impegno e la poesia come raramente si è visto sul grande schermo. Musiche originali di Warren Ellis.
Much Loved
di Nabil Ayouch
Marocco
Quattro prostitute animano le notti di una Marrakech nascosta tra festini di ricchi sauditi, discoteche frequentate da europei in cerca di facili avventure, bambini che si vendono, poliziotti corrotti. Scortate da un autista che si prende cura di loro, cercano di strappare la vita a morsi: il linguaggio crudo e realistico, le risate e le litigate, l’assuefazione all’orrore di cui sono innocenti complici hanno fatto scattare in patria una vera e propria messa al bando. Opera di valore politico prima ancora che artistico nel finale sembra trovare un maggiore equilibrio capace di scavare anche nella fragilità di queste quattro meravigliose donne.
Ixcanul
di Jayro Bustamante
Guatemala, Francia
Presentato alla 65ma edizione del Festival di Berlino, Ixcanul racconta la storia di una giovanissima ragazza Maya, Maria, che vive alle pendici di un vulcano attivo in Guatemala con il padre e la madre, contadini. Una vita segnata dall’ignoranza in cui giacciono gli indigeni che non conoscono la lingua spagnola. L’amore per un ragazzo che scapperà via, un matrimonio forzato che salterà, la fatica di portare avanti una gravidanza, sono queste le storie che si svolgono all’interno di una natura grande protagonista e di volti, in primis quello di Maria, che raccontano di un’umanità primitiva e proprio per questo purissima che rappresenta un ostacolo a un mondo che vendutosi al capitalismo, fa di tutto per fiaccarla non riuscendo a inglobarla nei suoi meccanismi.
Il Racconto dei Racconti
di Matteo Garrone
Italia, Regno Unito, Francia
Garrone al suo primo film internazionale abbandona gli attori napoletani che da sempre predilige, ma non taglia del tutto il cordone ombelicale che lo lega alla città partenopea scegliendo di mettere in scena tre fiabe dal seicentesco Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile ampliandole e intrecciandole. Come sempre Garrone fa della cinematografia il punto centrale dei suoi lavori: ecco allora alcuni tra i più bei (e più nascosti) borghi in Italia tingersi di tinte fosche, illuminati di notte dalla luce naturale di torce e candele e di giorno da splendide albe e suggestivi tramonti. Venduto come fantasy il film in realtà è la messa in scena, riuscita, del cuore stesso delle fiabe antiche. Qui la morte, la vita, i legami di sangue, il desiderio e l’astuzia smettono i panni del fumetto e della consolazione e si fanno radice profonda e cupa dell’essere umano.
Junun
di Paul Thomas Anderson
Stati Uniti
Johnny Greenwood amico e collaboratore del regista (sue le soundtrack per There Will Be Blood, The Master e Inherent Vice) lo porta con sé nel Forte Mehranga, un tempo meravigliosa residenza dei sovrani del Rajasthan, dove Shye Ben Tzur musicista e compositore di musica qawwali (quella amata da Jeff Buckley) insieme ai Rajastham Express sta per registrare l’album omonimo. Anderson registra il tutto con occhio presente senza mai essere invadente, pochissime le frasi pronunciate, un documentario che è un inno al far musica stando insieme, Godrich e Greenwood che intessono la loro musicalità occidentale con quella indiana e pachistana tra architetture mozzafiato e momenti musicali di grandissima emozione. Presentato al New York Film Festival.
Kreuzweg
di Dietrich Brüggemann
Germania, Francia
Ambientato in una comunità cattolica ultraortodossa che vede nel Concilio Vaticano II l’ingresso di Satana nella chiesa, Kreuzweg è un film di una limpidezza formale accecante e di un rigore interno che è il riflesso di quello della sua protagonista. Maria, quattordici anni, una madre aspra e despota, un padre anonimo e afasico, una vita che ruota intorno agli insegnamenti della chiesa sceglie con dolore di rinunciare alla musica, al primo amore e infine alla vita per un sacrificio che possa restituire la salute al fratellino malato. Divisa in 14 capitoli (come le stazioni della Via Crucis, appunto) quasi interamente a camera fissa, è un’opera che racconta senza giudicare, che pone domande e lascia dubbi e che pone al centro di una società malata e intransigente l’innocenza come cardine ultimo per provare a trovare un senso alto e profondo.
Eisenstein in Guanajuato
di Peter Greenaway
Paesi Bassi, Messico, Belgio, Finlandia
È Peter Greenaway, o lo si ama o lo si odia. 1931, il regista Sergej Ėjzenštejn si reca in Messico per girare Que Viva Mexico! a celebrazione della rivoluzione del 1911. A fargli da cicerone il giovane e affascinante Palomino Cañedo che lo inizierà al sesso (tra mille polemiche non solo per le scene esplicite quanto per la veridicità dell’accaduto). Una gioia per i sensi, visionario, eclettico, ricco di soluzioni di montaggio, l’omaggio di un grande artista a un genio assoluto del cinema. La creatività del cineasta russo e l’ottusità del regime sovietico, la grottesca celebrazione della morte in Messico e una nuova nascita attraverso la scoperta del desiderio e del suo appagamento. Presentato al 65mo Festival di Berlino.
DEL CINEMA TRISTONE E DI ALTRI MODI PER ROVINARSI LA SERATA
Francesco Pattacini
While We’re Young
N. Baumbach
USA, 97′
Accantonato il fatto che la traduzione in Giovani si diventa sia stato solo un abbaglio per attirare i quarantenni in crisi, quella di Noah Baumbach è una produzione costante e anche parecchio poetica. While We’re Young non esce dal seminato e, anche non spiccando nella sua produzione, riesce a trattare con leggerezza e ironia la fame d’ispirazione e di giovinezza quando entrambe sembrano velocemente scomparire. È per questo che l’ingenuo e disilluso Josh Schrebnick (Ben Stiller) finisce per sentirsi vicino alla sua trasfigurazione hipsterina (Adam Driver), comprandosi la bici a scatto fisso o un cappello, quando entrambi inseguono l’idea che si sono fatta dei reciproci mondi. Perché, alla fine, i conti li devi fare con gli anni che ti ritrovi e nel modo in cui credi di più. Anche i tristoni ridono, forse.
Third Person
P. Higgis
Belgio, 130′
Ok. Il soundtrack fa stridere le orecchie, è comprensibile, ma a tutti piacerebbe conoscere le mille vite che uno scrittore finisce per trasfigurare, senza capire mai quale sia, effettivamente, quella più credibile. È questo l’aspetto che più coinvolge di Third Person, uscito nel 2013 ma arrivato solo questo aprile al cinema. Pochi soldi al botteghino, pessime recensioni e la faccia triste di Adrien Brody. È un’equazione efficace per gli amanti del genere autolesionistico, di chi cerca sempre qualche risposta anche in un B-movie, e poi se ne va dal cinema con quel sapore amaro di chi non ha capito praticamente nulla. Che poi, a dirla tutta, è anche un po’ il senso del cinema.
Louisiana (The other side)
R. Minervini
Italia-Francia, 92′
Se abbiamo un’immagine distorta degli Stati Uniti, gran parte del merito, va dato a Hollywood e ai suoi supereroi, con o senza costume. La parte marcia è sempre stata un po’ più nascosta, lasciata a pellicole che, in ogni caso, salvavano sempre qualcuno e ti facevano credere che anche nella cattiveria c’è sempre un po’ di buono. Ed è proprio questa l’altra parte che Minervini ci mette davanti, cruda e armata, violenta e drogata, da cui anche scappare non è più una soluzione. Ti marcisce dentro Louisiana, e lo fa con una dolce poesia, forse proprio perché è fatta da un occhio indagatore a cui non basta più, davvero, credere ai miti di Butch Cassidy e Gordon Gekko, ma che vuole mostrare quello che sta dietro all’ultimo cartellone pubblicitario. Non serve andare in parti remote, la Louisiana è più vicina di quando si creda.
The Lobster
Y. Lanthimos
Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi, Francia, 118′
Forse è vero che dalle crisi qualche fiore (marcio) viene ancora fuori e Lanthimos, si veda la sua filmografia precedente, non è certo uno che si tira indietro. Se ci fosse un premio per il film tristone dell’anno lo vincerebbe sicuramente The Lobster, favola decadente sui rapporti umani e del valore che tutta la società ne dà. Una linea di austerity amorosa in cui, come sempre accade, sono quelli mancanti del bene in questione a pagarne le conseguenze peggiori. Non serve troppa fantasia (o troppe parole) per trovare qualcosa da collegare con la nostra esperienza, ne si trovano tanti anche quando non sono così dichiarati. Amare è sempre stato un affare complicato, sopravvivere di più.
DELL’UMANITÀ: VARIA ED EVENTUALE
Salvatore Sannino
Sangue del mio sangue
di Marco Bellocchio
Italia
Fra i pochi vecchi registi che ancora fanno il cinema per passione e non per dovere, Bellocchio merita sempre di essere visto. Nel 2015 ci ha raccontato l’Italia vista dal suo borgo natio Bobbio prima dalla prospettiva seicentesca e poi da quella attuale. Due storie apparentemente scollegate che raccontano l’assurda violenza della religione cristiana e la mediocrità democristiana che ancora oggi affossa il nostro paese. Un film di cui si può discutere per ore, senza mai stancarsi, rincorrendo i simbolismi snocciolati nel suo corso. Per arrivare alla sconcertante conclusione che « il mondo non è grande, è piccolo. Bobbio è il mondo ». Magnifico.
Dheepan
di Jacques Audiard
Francia
Ci sono storie che sono cosi lontane eppure cosi vicine a noi che meritano di essere raccontate. Una storia di emigrazione, di fuga dalla guerra civile dello Sri Lanka, fingendosi una famiglia, rifugiandosi in un paese nuovo che, proprio perché sconosciuto, può in un certo senso rivelarsi cosi vicino al proprio. La storia di un’integrazione difficile, in una banlieu francese dove di certo non regna la serenità. Parzialmente ispirato a Lettere Persiane di Montesquieu, Dheepan è un film che sorprende per la forza con cui è girato e per la maestria di un regista (Jacques Audiard) che riesce a realizzare un’opera di grande suspence e spessore, pur servendosi di attori non professionisti. Una meritatissima vittoria a Cannes.
Inside Out
di Pete Docter, Ronnie del Carmen
USA
Si può amare un cartone animato pur essendo completamente allergici ai cartoni animati? Assolutamente sì. Provare per credere. Inside Out della Pixar è un film geniale, che riesce a incapsulare un trattato di psicologia in due ore di divertimento e commozione, raccontando il dietro le quinte delle nostre emozioni nel periodo dell’infanzia, con creatività e intelligenza. Gioia, Paura, Tristezza, Rabbia e Disgusto litigheranno per mantenere la stabilità emotiva nella vita di Riley, seguendone le azioni e guidandone i pensieri, tra fantasia e un pizzico di realtà. Esilarante.
Mon Roi
di Maïwenn
Francia
Il racconto di una passione travolgente. L’infatuazione che porta all’innamoramento e alla distruzione e conseguente perdita dell’io. Una storia drammatica e travolgente, girata con ironia e destrezza da Maïwenn in questo piccolo capolavoro che vede la presenza tra gli altri di un magnifico Vincent Cassel, un divertente Louis Garrel (chi l’avrebbe mai detto) e un’intensa Emmanuel Bercot. Incredibile come sia stato possibile girare un film di tale spessore e drammaticità lasciandolo così godibile e divertente.
I PARADISI ARTIFICIALI DEL DOLORE
Antonio Perrelli
Inherent Vice
di Paul Thomas Anderson
USA
Distribuito in Italia con il titolo “Vizio di Forma”, Inherent Vice è un calco fedele dell’omonimo romanzo di Thomas Pynchon, ricalibrato per la sceneggiatura a più tornate a partire dal 2010. Trascendendo la prova di J. Phoenix e saltando i doverosi tributi alla colonna sonora (compilata dall’ormai rodato J. Greenwood), il discorso sembra spostarsi inevitabilmente sullo scarto tra romanzo e opera cinematografica, su punti di contatto e discrepanze, sulla fedeltà contrapposta all’invenzione. C’è poco da fare: che ci piaccia o meno, Vizio di Forma è un film che sfugge a qualificazioni di genere, confronti e speculazioni di sorta.
Mia Madre
di Nanni Moretti
Italia
Lo scorso aprile abbiamo provato a sviscerarne struttura, riferimenti, stilemi. Oggi, a distanza di qualche mese, ci ritroviamo a sottoscrivere la nostra prospettiva.
Se Tarantino è il mago del citazionismo spiccio, Moretti è il portavoce della più ruvida autoreferenzialità. Particolari ricorrenti, sequenze ridondanti, vecchi personaggi che tornano per abitare nuove facce: la capacità di stupire senza rinnovarsi.
Non essere cattivo
di Claudio Caligari
Italia
C’è chi l’ha definito un crudo capolavoro e chi l’ha etichettato come banale e anacronistico. Vuoi le difficoltà in fase di produzione, vuoi la tensione naturale verso un certo tipo di cinema; quel che è certo è che la pellicola partecipa tanto della vita quanto della morte di Caligari. C’è un film nel film (splendido anche se a tratti un po’ tardivo) che racconta la testimonianza e l’eredità del più avido dei nostri fuoriclasse.
NOSTALGIA INVENTATA
Ilaria Del Boca
Operazione U.N.C.L.E
di Guy Ritchie
Gran Bretagna, Stati Uniti
Ambientato tra Berlino e Roma durante gli anni ’60, Operazione U.N.C.L.E ha come protagonisti l’americano Solo e il russo Illya, due agenti segreti impegnati a difendere gli interessi delle superpotenze nemiche sullo sfondo della Guerra Fredda. Una minaccia più grande li porterà a rincorrere lo stesso obiettivo ritrovandosi inaspettatamente ad affrontare le stesse rocambolesche avventure fino a diventare alleati e amici. Un moderno film di spionaggio che riutilizza con arguzia e ironia i clichés che contraddistinguono il genere senza mai sembrare la copia di un episodio di James Bond.
Me and Earl and the Dying Girl
di Alfonso Gomez-Rejon
USA
Tentare di essere amico di tutti al liceo spesso vuol dire essere amico di nessuno. Lo sa bene Greg, uno studente appassionato di cinema e documentari che è anche il protagonista di Me and Earl and the Dying Girl, il film vincitore del Sundance Film Festival di quest’anno. Lo studio dei rapporti sociali è messo al centro della vicenda tra Greg, l’amico d’infanzia Earl e Rachel, una compagna di scuola affetta da leucemia a cui Greg si avvicina spinto dalla madre. Non un dramma, ma neanche una commedia, la pellicola rimane sospesa tra diversi registri narrativi e stilistici, portando sul grande schermo la storia di un Peter Pan del Duemila che corre verso il mondo reale e non vola più sopra l’isola che non c’è.
She’s Funny That Way
di Peter Bogdanovich
USA
Rincorrere il successo a New York è una favola non di certo nuova, ma particolare e sempre attuale è la comicità proposta da Peter Bogdanovich che decide di schierare nel suo cast Owen Wilson nei panni di un regista e Imogen Poots in quelli di una giovane squillo che sogna il teatro e il cinema. Una storia clandestina di una notte li unisce mettendo in moto una reazione a catena fatta di una matassa di equivoci non solo tra di loro, ma anche all’interno di una rete di conoscenze comuni. Una commedia leggera, ma realizzata con ingegno, forse anche grazie allo zampino di Wes Anderson come produttore.
TITOLI DI CODA
Giovanna Taverni
Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza)
di Alejandro González Iñárritu
USA
È straordinario dover scoprire l’amara verità e imprevedibile virtù dell’ignoranza di aver visto un solo film del 2015 nel 2015, ma almeno ne è valsa la pena. Iñárritu è sempre un talento dietro la macchina da presa, e questa volta arriva addirittura alla consacrazione del premio Oscar collezionando quattro statuette come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia. Non che sia questo a rendere Birdman un bel film, a quello ci pensano il tocco delicato del regista, i richiami a Raymond Carver, la parabola di un fallimentare successo messo in scena da Michael Keaton nel ruolo di protagonista. E se anche la macchina propagandista hollywoodiana non ha nessun effetto su di voi, provate a dare una chance a questa chicca di stagione. Poi correte a recuperare tutto quello che vi hanno consigliato gli altri, io lo farò.
EXTRA
Montage of Heck
di Brett Morgen
Usa
La vita di Kurt Cobain negli ultimi anni è diventata di dominio pubblico, e forse è proprio quello che aveva cercato di evitare con il suicidio. Questo docu-film, a parte regalare qualche bella chicca per i fan dei Nirvana, scava tragicamente nella biografia di Cobain, in modo così intimo da risultare – a tratti – fastidioso, tanto che il vero protagonista della pellicola sembra essere l’egocentrismo dondolante di Courtney Love, che si occupa di gestire l’eredità del marito. Finiranno queste operazioni? Speriamo di sì, per Kurt.