Se ogni weekend assomigliasse a un lunedì sera svuotato dal frenetico disordine umano, il weekend sarebbe sicuramente uno spazio temporale migliore per tutti. A pochi passi dalla Mole Antonelliana, nel cuore di Torino, talvolta accade qualcosa di insolito e quella che potrebbe essere considerata semplicemente una stravagante fantasia a occhi aperti prende forma per diventare realtà. Immaginiamo un luogo che convenzionalmente non è solito accogliere musicisti in carne e ossa e proviamo a indovinare fin dove in questa circostanza si saranno spinti gli organizzatori dell’Astoria, artefici dell’esperimento sonoro che stiamo per raccontarvi.
Lo spazio in questione è il Cinema Massimo, famoso per ospitare numerose rassegne tematiche durante il corso dell’anno e per la proiezione quotidiana di film d’essai o di pellicole meno note al pubblico. Di recente capita poi che di notte – e sempre più spesso – si trasformi in una sala adibita ai concerti. Questa volta l’aria mite d’aprile ha portato con sé sopra il palco del centralissimo cinema di via Verdi Micah P. Hinson, uno dei cantautori americani più affezionati al nostro Belpaese. Arriva dal Texas almeno una volta l’anno sia per non farci sentire troppo la sua mancanza sia per continuare a raccontare storie meravigliose senza tempo ed età. Non ci sazierebbero comunque mai abbastanza le ore passate ad ascoltarlo, anche se Torino è la seconda tappa di un tour composto da ben sei date, dopo Milano e prima di Ravenna, Roma, Foligno e Venezia.
Ad aprire l’appuntamento sabaudo di Hinson ci pensa il cantautore romano DOLA che dalle prime note svela la sua voce chiaroscura e una malcelata timidezza. Basta una chitarra ad accompagnarlo nel preludio all’esibizione del songwriter di Abilene, che sale, invece, sul palco seguito da un batterista e da un bassista (italianissimi e di rara bravura). Ci aveva stupito l’anno scorso sulla terrazza di via Lombroso, 16 quando sul fare del tramonto lo avevamo incontrato immerso in una giungla urbana di palazzi e continua a farlo oggi mentre, con estrema naturalezza, comincia il proprio show buttando giù una golata di succo di frutta da un cartone formato famiglia del discount.
In sala non vola una mosca, centinaia di persone sono sedute in attesa di una narrazione musicale da tenere stretta tra i ricordi. Lo schermo di fronte a noi è psichedelico, una rosa che si avvita su se stessa pare infatti ipnotica come pochi altri effetti ben più speciali in questo momento. Eppure è l’intensità della voce di Hinson che permette di costruire un ponte tra palco e platea e di creare un’atmosfera intima. Grazie a canzoni dal sapore terroso come Diggin’ a grave dal sapore terroso sembra di entrare nello schermo, catapultati direttamente in un film western con la colonna sonora di Ennio Morricone o di riuscire a emozionare con un testo semplice come quello di Don’t You.
A tratti ci ricorda anche Eddie Vedder e gli intramontabili brani scritti per Into the wild. L’energia del folk passa attraverso le vene, alleggerendo le menti del pubblico. Qualche testolina si reclina dolcemente sulla spalla del vicino quando parte Close Your Eyes. Il mondo è là fuori e qui, tra le soffici poltrone di questo cinema, pare non scalfirci.
Fotografie di Alessia Naccarato