Mi ricordo è un flusso ininterrotto di ricordi scritti, annotati, vissuti, da Joe Brainard. Nell’edizione italiana pubblicata da Lindau, la prefazione di Paul Auster è la perfetta introduzione a un testo fuori categoria, mille volte pazzo e commovente per la sua sincerità. Per Auster Mi ricordo è un originale gioiello di scrittura, un concerto per molteplici strumenti.
Joe Brainard comincia a scrivere tutti i suoi mi-ricordo sotto l’effetto di una travolgenza, come un profeta sotto il dettato divino. “Mi sembra di non essere io a scriverlo, ma che sia attraverso di me che viene scritto”, confessava in una lettera ad Anne Waldman; e ancora, “penso che parli di tutti quanti, oltre che di me”.
I ricordi appartengono alla memoria di Brainard – artista, scrittore, nato in Arkansas, newyorkese di adozione – ma nulla impedisce che abbiano una portata universale; quella che leggiamo è un’altra vita che finisce per replicarsi in ogni vita.
In un frammento Brainard ricorda la prima sigaretta fumata su una collina in Oklahoma, e al lettore torna in mente la sua prima sigaretta: in questa tensione continua tra particolare e universale sta la forza narrativa di Mi ricordo.
Nella raccolta di prose brevi, collage e capoversi, ci sono l’infanzia, il sesso, gli attori del cinema, il brontolio delle strade, i locali gay, la sensazione di quando ti pulisci l’ombelico. Il corpo omosessuale di Brainard trasfigura nel corpo di ogni essere umano. È il miracolo della scrittura.
Joe Brainard è stato soprattutto un artista visivo: Mi ricordo è una mezza eccezione nella sua produzione artistica, ma anche quando scrive Brainard ti fa vedere cose – ci mette dentro il dripping, e i ricordi si stendono in un flusso di incoscienza farneticante.
Brainard si lascia andare al tempo perduto e a quello ritrovato con le sue brevi incisioni, e attraverso la tecnica della ripetizione. Il continuo ricominciare di mi-ricordo, capoverso dopo capoverso, ha una sua musica interna: se a tratti Brainard strema il lettore, ci sono momenti in cui lo travolge con ritmo, cuore e visioni. A volte sta scattando fotografie.
Mi ricordo la prima volta che incontrai Frank O’Hara. Veniva giù dalla Second Avenue. Era una serata d’inizio primavera piuttosto fresca ma lui indossava solo una camicia bianca con le maniche arrotolate. E i jeans. E i mocassini. Mi ricordo che mi sembrò molto effemminato. Molto innaturale. Decadente. Mi ricordo che mi piacque subito.
Negli anni Sessanta Joe Brainard ha frequentato il circolo di poeti e artisti della New York School. A Frank O’Hara – faro della NYS – Brainard ha dedicato frammenti di Mi ricordo, e alcune visioni artistiche. Per John Ashbery ha illustrato con disegni il volume di poesie The Vermont Notebook. Brainard era più giovane di O’Hara e Ashbery, più inquieto. Non gli importava di cercare versi. Disegnava a braccio. Nel suo macchinario di ricordi ha raccontato perlopiù esperienze comuni di vita.
Mi ricordo il gabinetto esterno e un catalogo Sears & Roebuck per pulirsi.
Mi ricordo la sedia a cui appiccicavo le caccole.
Mi ricordo quante volte ho mangiato da solo al ristorante per una sorta di piacere perverso a cui ora preferisco non pensare. (Perché lo faccio tuttora.)
Mi ricordo ha ispirato poeti, giocatori di parole, scrittori, avventurieri. Il francese Georges Perec prese a modello i graffiti nella memoria di I remember per il suo Je me souviens – “Je me souviens que l’avenue de New York s’appelait l’avenue de Tokyo”.
Mi ricordo porta con sé anche un mistero: come mai a un certo punto Joe Brainard abbandona l’arte e la scrittura. L’arte era stata la giovane vocazione di Brainard, ma poi si scopre insoddisfatto, disinteressato, smette di dipingere, disegnare, assemblare, e rimane in uno stato di dormiveglia creativa fino alla morte, nel 1994 per una polmonite causata dall’AIDS. Un mistero irrisolto, che forse va lasciato irrisolto. Noi ci ricordiamo lo stesso di Joe Brainard.