Mezzo secolo dopo Luigi Tenco

Ciao Luigi,
una notte di cinquant’anni fa prendevi una pistola e davi il tuo commiato al palco e alla vita così, in aperta contestazione al mondo. Vorrei poterti dire che da allora le cose sono cambiate, che è scoppiata la primavera e i poeti hanno ripreso a cantare, il festival si è completamente rinnovato, le radio passano ancora le tue canzoni come simbolo di quella rivoluzione del ’67, e le parole – soltanto le parole – sono al centro della scena. Vorrei poterti dire che avevi ragione, qualcosa sarebbe cambiato, forse non sarebbe stato l’indomani, ma prima o poi qualcosa sarebbe davvero cambiato. Hai azionato un ordigno a distanza nel tempo, lontano lontano lontano.

Ma non è andata proprio così. Abbiamo continuato a sbranarci, a farci a pezzi, a innamorarci per noia, e a mandare Io, tu e le rose in tutte le finali possibili. Comunque sia fa niente, forse ci vorranno altri cent’anni per capire l’atto di protesta. Per ora ne sono passati solo cinquanta. Vedrai che un giorno cambierà.

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Però non è vero che niente è servito a niente, le tracce sono rimaste vive, e alcune anime continueranno a coglierle. Basta cercarle.


Luigi Tenco sui capelloni


La mia non è una protesta che nasce intellettualmente, con il fatto di dire adesso io protesto contro Tizio o contro Caio. È una protesta che nasce al di fuori della propria volontà. Nasce dal fatto che uno si sente estraneo a un dato meccanismo… Cioè io insomma le canzoni come le fa Morandi, non le so fare. Succede che a un certo punto mi salta la gomma e dico… ecco, io il militare non lo so fare. Non voglio, non so andare a morire… E questo è uno sfogo spontaneo, una protesta sincera. Non è stata studiata al tavolino. Così le parole di quasi tutte le mie canzoni esprimono questo senso, come dire, di malessere. Si può protestare in mille modi, in mille forme. Questa è la maniera mia, e viene dal mio carattere.


Nella trasmissione di Giorgio Gaber 


Che il cantante sia simpatico o antipatico, conta molto poco. Ma una cosa è certa: un cantante vero non può accettare le “mode”, sapete cosa intendo: non basta comporre un tango perché è il momento del tango; se si fa, è perché si è convinti che sia il miglior tango. Sono una pecora tanto nera davvero se nutro queste convinzioni?


Da Incontro con Luigi Tenco


Il giorno in cui si deciderà di lanciare un nuovo genere, non saranno necessari solo i manager. Ci sarà bisogno della collaborazione di tutti: cantanti, autori, case discografiche, giornalisti. Fino a oggi in Italia sono stati tutti vittime del provincialismo. Perché apprezzare solo quello che viene dall’estero è provincialismo, e per di più appoggiato dalla stampa, dalla radio e dalla televisione. Nessuno fa niente per la “nostra” musica.


Al sax con Ornella Vanoni


Un cantante che mi piace è un mio amico di Genova, un certo Fabrizio.


Lontano nel tempo


Se avessi saputo fare il violinista avrei fatto il violinista oppure, non so, il giornalista, lo sciatore. A questo punto quando viene a galla la personalità di un individuo sappiamo che ci sono individui accomodanti e individui non accomodanti. C’è chi fa il ragioniere di banca e non è accomodante, c’è chi fa il poeta ed è accomodante. Ma questo è un fatto secondario. Cioè, io canto non perché mi interessa protestare e poi quindi lo faccio cantando. Io canto, ripeto, perché mi piace la musica. Da bambino prima ancora di sapere che cos’era la protesta, io avevo una chitarra in casa con la quale suonavo.


Dal film La Cuccagna


Il mondo di domani è quello che importa! Perché il mondo di oggi evidentemente non va bene, e si cerca di correggerlo. Altrimenti avremmo tutti ottant’anni e ci preoccuperemmo solo del mondo di oggi. Mentre tutto ciò che facciamo, lo facciamo – spero e mi auguro – pensando al mondo di domani!


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