“Se non ci fossero stati i Black Sabbath non ci sarebbero stati i Metallica. Se non ci fossero stati i Black Sabbath, l’hard rock e l’heavy metal che conosciamo oggi sarebbero stati molto differenti. Se non ci fossero stati i Black Sabbath, io sarei rimasto un distributore di giornali.”
Così Lars Ulrich, batterista dei Metallica, assegnava tempo fa la sua personale palma di autenticità alla band capostipite del genere metal. Genere che poi genere unico non è. Non a caso Claudio Kulesko e Gioele P. Cima portano alle stampe, grazie a D Editore, un volume polifonico, che attraverso un certo numero di saggi prova a scandagliare le diverse anime racchiuse sotto la grande insegna: METAL.
La pluralità delle voci è, forse, l’unico modo plausibile per arrivare (da diversi punti di vista) ad una grande narrazione di quello che significa il Metal per chi lo vive da dentro e che quindi si trova in una posizione privilegiata per (provare) a spiegarlo anche a chi è fuori. I capitoli vanno dai tentativi di indagine sociologica, come quello di Rosalba Nodari a tentativi di esplorare la poetica di un gruppo, come fa ad esempio Gioele Cima coi Neurosis, o di navigare un genere come Mortdecay West col death metal, Irene Sottile col black metal, Milena Quaglini col goregrind e Paolo Berti col drone.
Lorenzo Marsili e Giulia Scorsino si dedicano ad una delle band più conosciute per la loro estetica come i Korn e la rappresentazione della mascolinità, fino ad arrivare a pezzi schiettamente narrativi come quelli dello stesso Claudio Kulesko, Nicola Zolin e Davide Tolfo intorno ai Black Sabbath, che mettono nero su bianco il capitolo più convincente del volume. Non è un caso se abbiamo cominciato questa recensione proprio con una citazione che rende omaggio ai grandi padri del Metal.
La varietà di questi punti di vista è resa necessaria dalla vastità della materia, ma anche dalla sua irriducibilità a un discorso univoco. Uno dei grandi dibattiti attorno al Metal è proprio quello tra verità e finzione. Discorso applicabile, probabilmente, a tutte le grandi categorie musicali che hanno segnato gli ultimi cinquant’anni di musica, specialmente da quando il mercato, i social e il progressivo prosciugamento delle risorse economiche attorno alla musica hanno preso il sopravvento.
Chi è davvero degno di potersi dire appartenente alla comunità Metal, chi con la sua musica è prosecutore e difensore della purezza del genere. Quale genere è il vero cuore di questo movimento. Le domande sono tante e la soluzione, a ben guardare non c’è, o se c’è non è una verità unica e monolitica.
Il libro di Kulesko e Cima ci porta su questo pendolo che oscilla tra innovazione e tradizione, tra riproduzione di stilemi consolidati e piccoli spiragli che permettono di portare avanti il discorso musicale pur provando a perpetrarne i codici di riconoscimento.
L’originalità di questo libro probabilmente, oltre che nell’approccio diviso per Documenti, sta proprio nel tentativo di portare il Metal nella speculazione filosofica. Se siamo stati abituati, grazie a una serie di blog di settore, a leggerne di tutti i colori su generi musicali più diffusi come il grunge, il jazz o l’indie, forse non eravamo preparati ad affrontare questo genere di percorso anche col Metal. Ma dove tutti pensano che una cosa sia impossibile sono arrivati Claudio Kulesko e Gioele P. Cima insieme a D Editore ad aprirci gli occhi, dopo le orecchie, radunando una serie di firme in grado di rendere il discorso più colorato di una semplice scala di grigi o di neri. Per questo Metal Theory apre una strada nuova per uno dei generi più antichi e resistenti della cultura musicale moderna.