Lo scorso 17 gennaio, pubblicato dall’etichetta 42Records, è uscito il primo disco di Tutti Fenomeni, Merce Funebre. L’album, prodotto da Niccolò Contessa, ha piacevolmente sorpreso e dopo una settimana possiamo dire anche che sta riscuotendo un discreto successo tra il pubblico giovane e attento alle novità. Questo, per prima cosa, perché è un bel lavoro: si ascolta e si canta con piacere. I testi di Tutti Fenomeni uniti alle musiche di Contessa creano un suono nuovo, che prende a piene mani e cita dalla musica classica alla trap recente passando per i campioni del cantautorato nostrano ciò di cui ha bisogno, lo rielabora e lo sintetizza in un qualcosa che è altro rispetto ai suoi componenti ma che allo stesso tempo ne mantiene i caratteri. Infatti, per questa sua natura il disco non si lascia afferrare con passività ma, anzi, si mostra quasi come una specie di linguaggio in codice da decifrare. Tutti Fenomeni è molto bravo nel creare tante immagini sparpagliate e apparentemente scollegate, che però si uniscono le une con le altre, come tessere, fino a restituire ad un livello più alto un immaginario tutto suo, che però è anche nostro, generazionale quasi.
Ma intanto chi è Tutti Fenomeni? All’anagrafe è Giorgio Quarzo Guarascio, romano, nato nel ’96, laziale. In alcune interviste dice di aver scelto casualmente questo nickname all’inizio per sostituire il suo vero nome su Facebook, e che una volta iniziato a fare musica se l’è tenuto; che si voglia credere alla storia della casualità o meno, il nome non nasconde una provocazione ironica verso quella tendenza della nostra società ad esaltare ogni personaggio del mondo dello sport, dello spettacolo, dell’arte facendone subito alla prima esibizione di talento un fenomeno. Tutti speciali, tutti normali in fondo.
D’ altra parte l’ironia, lo sberleffo, la voglia di sgravare sono ben presenti nelle sue canzoni fin dai primi singoli usciti. Infatti all’inizio Giorgio si muove esplorando i vicini ambienti della trap dove trova gli amici Tauro Boys con i quali collabora in varie occasioni, e pubblica alcuni singoli (Per quanto ti amo, Modigliani Ultras, Troppa Vendetta) che si sintonizzano bene sulle frequenze del genere che più va di moda e lo fanno con un atteggiamento che oscilla, senza mai sbilanciarsi, tra il serio e il lol. Già in questi primi pezzi ci sono in nuce quella frizzantezza e imprevedibilità che caratterizzano Merce Funebre: spiega il cantante che il suo processo creativo consiste nel rimaneggiare e inserire in un nuovo contesto le numerosissime note che si appunta sul telefono. Una sorta di collage di citazioni filosofiche e calcistiche, artistiche e luoghi e situazioni comuni dei nostri giorni, su cui Tutti Fenomeni crea una melodia di giochi di parole e di suoni e significati a costituire un suo stesso metalinguaggio.
La storia vuole che un giorno Giorgio abbia ricevuto un messaggio da Niccolò Contessa, il quale oltre a fargli i complimenti per i lavori pubblicati fra YouTube e Soundcloud, poteva dargli contatti, e da qui è nata la felice collaborazione che ha portato a Merce Funebre.
Il nome stesso dell’album è frutto di un gioco di parole per cui il titolo originario, Marcia Funebre, è stato distorto in quello che è ora. Anche qui stando a sentire le parole di Giorgio tutto viene ricondotto alla casualità delle scelte autoriali, ma non è difficile, forse nemmeno sbagliato, leggere dietro questo nome, Merce Funebre, una nota polemica, un leggero sbeffeggiare l’ideologia della merce. Non è sbagliato, dico, perché all’interno del disco sono numerosi i riferimenti critici alla società di oggi, alla sua brama di successo, alla sua completa estetizzazione e contempo alla sua pochezza culturale, alla tristezza intrinseca che ci pervade e alla superficialità che ricerchiamo come mantra. Tutti Fenomeni canta la marcia funebre (in apertura e in chiusura) di un paese e una generazione condannate, senza reali e visibili vie di fughe se non un affrontare la realtà dietro lo schermo dell’ironia. Una delle cose più sorprendenti è che mentre lo fa assume i toni leggeri e a tratti spensierati di una canzone d’amore, di una canzone pop disimpegnata. In un paese di luci e musichette dove fuori c’è la morte cosa resta da fare se non cantarne l’arrivo mentre col sorriso sulle labbra ci abbandoniamo ad un compiaciuto, terribile e frenetico ballo di gruppo? In questo senso Tutti Fenomeni, volente o nolente, è riuscito a realizzare un acuto immaginario congeniale e riconosciuto dalla sua generazione: chi non ha mai pensato dopo l’ennesima manifestazione di che carrozzone sia quello in cui viviamo: “adesso faccio un casino e mi faccio esplodere” come si augura nella hit dell’album, Qualcuno che si esplode?
Non bisogna credere, però, che Merce Funebre sia un album politico, o comunque socialmente impegnato almeno, non solo. Questi riferimenti critici sono spesso allusivi o se anche diretti e chiari, vengono subito superati e quasi passano in secondo piano, come se fossero solamente pretesti su cui costruire il disco. E lo stesso si potrebbe dire anche delle tantissime citazioni letterali, allusioni, tributi al mondo della cultura alta che Tutti Fenomeni cuce nella sua tela. Sono numerose le tinte che hanno posto nel disco, ma nessuna è così forte da oscurare le altre ed essere dominante. Omero e Proust, Karl Marx ed Enrico Fermi, Chopin e Leopardi vengono citati ed usati sia per il loro significato reale, cioè di grandi uomini della cultura, sia per il loro significato percepito, cioè feticci culturali con i quali dare un tono alle mie canzoni, o in generale alla mia vita di studente universitario. O meglio questa distinzione è ormai impossibile da fare, come quella sul confine fra serio ed ironico, ed è questo il punto forte ed innovativo di Merce Funebre: il fatto che il disco sia riuscito perfettamente ad inserirsi nello spirito dei nostri tempi, e quindi imiti (con coscienza o meno) i procedimenti che regolano il nostro modo di porci nel mondo oggi, un mondo in cui i livelli di interpretazione collettiva sono saltati e si sono frammentati in una miriade di schegge per cui una cosa è allo stesso tempo se stessa e la negazione di se stessa. In cui è impossibile riuscire a sbrogliare l’intrico dei layer e in cui Tutti Fenomeni potrebbe aver fatto un album trap-cantautorale in cui esalta il vuoto che ci circonda e che abbiamo riempito, con poca cognizione di causa, di roba artistica e filosofia perché sono genericamente belle e ci rendono genericamente persone migliori, e in cui io potrei aver mal interpretato il tutto e scritto una recensione sbagliata. Come una babele in cui italiano, inglese, francese, tedesco e autotune si mischiano e nessuno ci capisce più niente, ed è giusto così.