Memoria di ragazza: la disperazione della pelle si fa letteratura

Negli incubi in cui ci si aggira nudi in luoghi pubblici si ha la percezione- confusa ma violenta- della violazione della norma. Catapultati nella più misera evidenza della propria vulnerabilità, ciò che angoscia non è mai l’assurdo della situazione: nessuna pretesa di coerenza narrativa, lo si impara prima o poi nella vita, di sicuro e prestissimo nel sogno. Pur bruciando di vergogna, ogni passo un incendio, ogni incendio la certezza di diventare più visibili anche quando intorno non vi sia che deserto, la pena oscuramente meritata si fa unica veste possibile, l’espiazione è già risveglio. Memoria di ragazza di Annie Ernaux è un romanzo bellissimo, è un incubo riuscito, in cui “la disperazione della pelle” conosciuta in un’estate acerba e inobliabile diventa origine e fine ultimo della scrittura. L’ambizioso riscatto –quanto doloroso- dalla vergogna.

La storia, autobiografica, più volte abbozzata, tracimante materia letteraria di lunghissima gestazione, riesce a prendere forma coerente e a lasciarsi contenere dalle parole dopo 55 anni dai fatti narrati . Perché si può essere davvero crudeli e schietti, con se stessi, soltanto quando il tempo abbia smesso di fumare sulle nostre ferite. Allora ci si può raccontare la propria storia come fosse quella di un altro -perché è ormai, quella di un altro- “e il più crudelmente possibile, come coloro che ascoltiamo da dietro una porta mentre parlano di noi dicendo “lei” o “lui” e in quel momento ci sentiamo morire”. Autoflagellazione ma solo contingente: ciò che conta è la memoria come somma conoscenza, e la capacità di lasciar utile traccia di sé. Also known as: Letteratura.

 

Annie Ernaux

 

“Il tempo davanti a me si accorcia. Ci dovrà essere un ultimo libro, come c’è un ultimo amante, un’ultima primavera, ma nessun segnale per saperlo prima. L’idea che potrei morire senza aver scritto di colei che presto ho preso a chiamare ”la ragazza del ’58” mi ossessiona”

È nell’estate del ’58 che Annie Duchesne, la diciottenne figlia del droghiere, alta e robusta, con abiti da sartina e un divorante provincialismo mai affiorato dal confronto, viene scortata dalla madre fin quasi alla colonia di vacanze dove lavorerà come educatrice. “Cosa (*dire), che possa non essere considerato come una spiegazione –o non soltanto- di ciò che accadrà, e che forse non sarebbe accaduto se non avesse messo via gli occhiali, se non avesse sciolto lo chignon lasciando che i capelli le fluttuassero sulle spalle, gesti tuttavia prevedibili lontano dallo sguardo materno? Spontaneamente mi viene da dire: Tutto in lei è desiderio e orgoglio. E: Sta aspettando di vivere una storia d’amore”.

La ragazza del ’58, in un’estate “immensa come lo sono tutte fino ai venticinque anni” si lancia ingenua e urgente verso l’amore, l’amicizia, e l’estrema varietà che possono serbare in fatto di malvagità e dolore, assetata com’è di vita e giovinezza. Armata solo di imbarazzante inesperienza, finisce per diventare il bersaglio di giudizi feroci e canzonature brutali, l’oggetto di attenzioni vischiosamente fisiche: scopre il corpo per cessione di volontà, lo svende per dipendenza dall’incanto.

“Mi sembra di non potermi avvicinare alla realtà più di così. Una realtà che non era l’orrore né la vergogna. Solo l’obbedienza a ciò che accade, l’assenza di significato di ciò che accade”

Il racconto prosegue nei due anni successivi all’esperienza vergognosa dell’estate del ’58, a un mucchietto di sentimenti sprecati per anime brutte, e prosegue l’iscrizione sul corpo della pena di sentire: prima la bulimia, poi l’amenorrea. In mezzo: le belle lettere, il cinema, la musica: l’arte che le racconta di sé costruendone mattone su mattone la scrittrice, giacché “limitarsi a “godersi la vita” è una prospettiva improponibile, dal momento che ogni istante senza un progetto di scrittura è come se fosse l’ultimo”.

Annie Ernaux smuove le acque della memoria, in una scrittura fluida, quasi amniotica: una recherche che lega al senso più profondo della scrittura l’estraneità più che la conoscenza di sé, il distacco invisibile eppure incolmabile dagli altri e dalla propria stessa storia. Svuotata ormai di un peso racchiuso con eleganza nelle pagine di questo romanzo, con la straniante evidenza di tanto dolore già completamente inutile ai piedi del Tempo, scrive: “Il ricordo di ciò che ho scritto già si cancella. Non so cosa sia questo testo. Persino quello che inseguivo scrivendo il libro si è dissolto. Tra le mie carte ho ritrovato questo appunto, una sorta di dichiarazione d’intenti: Esplorare il baratro tra la sconcertante realtà di ciò che accade nel momento in cui accade e la strana irrealtà che, anni dopo, ammanta ciò che è accaduto”.

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