Parole di Erika Fiumi, Foto di Alise Blandini
All’anagrafe Ella Yelich-O’Connor ha soli 20 anni, eppure noi la conosciamo come Lorde e al suo nome associamo un album d’esordio (Pure Heroine, 2013) con oltre 4 milioni di copie vendute, vincitore di due Grammy e un Brit awards. Lo scorso giugno, a distanza di quattro anni dal debut, Lorde ha pubblicato il suo secondo album in studio, Melodrama, riuscendo pienamente a compiere il miracolo d’allineamento tra aspettative e realtà. Un’adolescente fuori dal coro, nata nel sobborgo neozelandese di Takapuna (Auckland) da padre di origini irlandesi e da madre poetessa croata, fin da piccola incoraggiata a coltivare la sua arte. Mentre i coetanei erano impegnati nei compiti in classe, a 13 anni Lorde firmava un contratto con la Universal per lavorare su canzoni scritte da altri autori e compositori. Non era ancora abbastanza, lei voleva scrivere da sé i propri pezzi e da lì a poco, in coppia con produttori come Joel Little (in Pure Heroine) e Jack Antonoff (in Melodrama) ha sfornato successi mondiali, a partire dal suo primo singolo, Royals.
Con queste premesse è facile immaginarsi il perché del sold out al suo esordio live in Italia, data unica al Fabrique di Milano. All’entrata una fila di cui era difficile intravedere la fine, con un pubblico super vario: non solo teen e ragazze, sotto al palco abbiamo visto persone di ogni età, capelli bianchi, coppiette, addirittura passeggini. Lorde esordisce con Homemade Dynamite, per un concerto che si è rivelato diviso in tre atti scanditi da video proiettati su un piccolissimo schermo alla destra del palco e dai cambi d’abito della popstar neozelandese, proprio come in quel Melodrama teatrale dove si fondono gli elementi della tragedia greca. La prima parte di live è la più dark, con Lorde vestita completamente di nero che ci ha riportato all’estetica essenziale di Pure Heroine. Assoluta protagonista su un palco che in realtà ha condiviso con altri tre musicisti, due tastieristi e un batterista, purtroppo relegati dietro alla scenografia. Dal terzo pezzo in scaletta, Hard Feelings, due ballerine l’accompagnano nella performance, ma gli occhi del pubblico restano tutti per lei. Nonostante la parlantina che sfoggia tra un pezzo e l’altro, la camminata sicura sul palco e la bellissima voce, la parte migliore di Lorde viene fuori quando decide di lasciarsi andare all’energia dei suoi 20 anni, saltando e ballando con la spensieratezza catartica che tutti abbiamo quando nessuno ci guarda. È proprio lì che la voce si spezza nel suo perdifiato e diventa imperfetta, come tutte le cose autentiche.
Nella seconda parte dello show l’atmosfera si fa più leggera e romantica. Lorde torna sul palco con un vestito chiaro e svolazzante con disegnate farfalle, e al posto dell’astronauta a led che le stava di fianco durante la prima parte del concerto compare un arco di fiori minimal al centro dello stage. Qui arrivano i pezzi più personali: Lorde si ferma per raccontare al pubblico i suoi pensieri, felice di questo contatto coi fan dopo tanti mesi chiusa in studio. Sulle dolci note di Liability si alza una distesa di cellulari per aria a illuminare il buio del Fabrique. Piano e voce bastano a toccare le corde più intime di tutti quelli a cui è capitato di sentirsi dire “tu sei troppo per me” e come Lorde hanno scelto di tenersi stretta la propria magia. Segue la terza e ultima parte di concerto, all’insegna delle notti passate a far festa, con Lorde in abito rosso lungo e luccicante à la Jessica Rabbit che canta sotto una grande stella cometa. È il momento delle hit: Royals, Perfect Places, Team una dietro l’altra, cantate anche dal pubblico a squarciagola per poi chiudere con Green Light battezzata da una cascata di coriandoli e il ritorno sul palco per l’encore, Loveless.
Un live che ci ha lasciato sensazioni contrastanti, perché questa volta aspettative e realtà non hanno combaciato perfettamente. Lorde è un successo pop, ci saremmo aspettati qualcosa di più sul versante di show e scenografia, mentre lei ha puntato su tre forme minimal illuminate da luci a led e la sola scritta Melodrama fissa sopra al palco. Del resto, la sua voce, la sua carica e la sua energia, rendono giustizia ai favolosi pezzi che ci hanno ammaliato in entrambi i suoi dischi, anche se dal vivo a volte il suono non è altrettanto pieno. La forza e il prodigio stanno nelle canzoni, negli arrangiamenti e sicuramente anche nei testi. Lorde è un diamante nero che ci ha regalato del sano pop senza struggimenti e banalità, chissà cosa verrà dopo il Melodrama dei 20 anni… David Bowie l’aveva definita “il futuro della musica”, e noi a Bowie non possiamo che credere.