Lungo viaggio Mediterraneo

L’ultimo numero di The Passenger – la rivista per esploratori del mondo edita da Iperborea – è un viaggio al cuore del Mediterraneo, questo luogo indefinito che è il mare in mezzo alle terre, babele di lingue e dialetti, incroci e scontri tra il mare e la terra, panorami di isole e penisole, rocce desolate, baie e torri saracene, luogo espanso, regno di al-Andalus, di migrazioni, abiure e crociate di conversione, colonna d’Ercole per troppo tempo, maremoto di naufragi e dolce visione di tramonti e albe. Sfogliando le pagine di Passenger ci si riconcilia con la terra e il mare. I colori ti si buttano in faccia. Le fotografie a corredo dei reportage a tratti si accendono di azzurro e blu, poi si fanno aridi, verde e bianco e giallo, colori di frutta e mercati e genti.

Tamara Saade, Prospekt Photographers

Una domanda che si insinuerà durante la lettura della rivista è se si possa parlare di una comune identità mediterranea. Perché come è inafferrabile il Mediterraneo, e quanti ci hanno provato a raccontarlo, da Braudel, a Matvejević, alle canzoni di De André, e tanto cambia decennio per decennio il modo in cui guardiamo a questo mare in mezzo alle terre che è quasi un lago. Tutto è in movimento come le onde.

Una lettura interessante in proposito è l’articolo dello storico David Abulafia, che racconta come una nuova vocazione mediterranea sia diventata il turismo di massa che affolla le città e i suoi luoghi. Là dove una volta si incontravano le culture, oggi si incontrano passanti. Intanto il mare si fa sempre più diviso tra un sud e un nord, e i diseredati della terra si spingono ad attraversarlo a costo della vita, come racconta Annalisa Camilli nel reportage “Un naufragio”; e mentre i partiti di ultradestra profondono il loro impegno a cercare di frenare le migrazioni, sembrano pure già spacciati, perché il mare e la natura e il movimento andranno sempre più avanti di loro, e perché il Mediterraneo non può rinnegare sé stesso, i suoi viaggi, i suoi orizzonti, i suoi mercati.

Foto di Alessia Morellini

Ci siamo mossi su queste terre e per questi mari di continuo, per centinaia di anni, e adesso che il mare è caldo come un brodo, il clima muta, la terra brucia e dalla costa se ne vede l’incendio come le fiamme sul corpo di Didone, e degli annegati si perde il conto, quale sarà la direzione di uomini e donne mediterranei. Esiste ancora quella luce primordiale del pensiero meridiano di cui scriveva Albert Camus, o si è perduta sotto l’arma barbara dell’alienazione e della mistificazione. “L’invincibile estate nel mezzo dell’inverno” sta imbastendo ancora la sua lotta contro lo spirito di negazione, o rischia invece di soccombere sotto il peso dei peggiori istinti e retoriche. The Passenger Mediterraneo non offre risposte – come potrebbe – ma insinua domande. Espande il territorio mediterraneo, capovolge la sua mappa, ci fa ascoltare la sua musica, le cicale, e i canti di Turchia e di Grecia – “in tutto il Mediterraneo, dalla Sicilia a Creta, da Barcellona a Mersin, nei canti risuona una malinconia tragica”, scrive il musicista e romanziere Zülfü Livaneli. Sembra quasi di sentirli i canti mentre si attraversano cento terre, colori, e cibi, la rossa salsa harissa, e fichi viola, pistacchi, ulivi, la dieta mediterranea riemersa dalle osservazioni di Ancel Keys e Margaret Haney, e a cui è dedicato un reportage speciale. Sfogliando, siamo messi in cammino, dirottati nel porto di Tangeri, o in Libano attraverso lo sguardo obliquo di Hyam Yared, sbandati dai venti di tutte le correnti, scirocchi caldi portatori di deserto e sabbia, e fresche tramontane.

Lungo il cammino mediterraneo riconosciamo la sua varietà; vari sono i suoi canti, le sue voci e le sue canzoni di gesta e protesta; vario è il colore della luce che cade alle cinque del pomeriggio. E più si cammina più si osserva che – oltre che vario – il Mediterraneo è senza frontiere. Non gliele puoi tracciare a terra. Forse per questa ragione il Mediterraneo a volte sfugge come una specie di sogno della controra.

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