“Perché non ti dimetti? Torniamo a scrivere, dipingere, sognare, volare, passare intere giornate chiusi in casa, sul letto, sul divano, io e te a morire di fame, ma una fame che ha in sé una fiamma ossidrica, un falò un incendio. Chi cazzo se ne frega del lavoro se possiamo amarci?”
C’è un movimento (nemmeno tanto) sotterraneo che scuote la società e l’arte legato al mondo del lavoro. La narrazione secondo cui il lavoro nobilita l’uomo e che pur di lavorare si possa accettare qualsiasi condizione ormai sembra aver fatto decisamente il suo tempo. Lo testimoniano molti lavori usciti negli ultimi due anni ed M.C. di Ferruccio Mazzanti è decisamente uno dei più originali. Il secondo romanzo dello scrittore fiorentino, cofondatore di In Fuga dalla bocciofila una delle più interessanti riviste letteraria italiane, riesce a sublimare molti dei temi legati alla degenerazione del mondo del lavoro in un romanzo che è un macrocosmo capace di contenere moltitudini narrative al suo interno.
Si potrebbe pensare che, in realtà, questo manoscritto pubblicato da Wojtek sia la sceneggiatura apocrifa della fortunata serie TV Scissione, in cui i protagonisti si fanno impiantare un microchip sottopelle in grado di farli dissociare dalla loro vita reale una volta entrati nei loro alienanti box lavorativi. In qualche modo, infatti, in questo romanzo tutto viene portato all’eccesso, i generi narrativi si mischiano ed anche le forme grafiche tenendo però tutto insieme nel nome del sacrificio supremo che merita l’azienda, il lavoro, il capo.
Già dal preludio la forma romanzo viene messa in discussione da un vademecum che ricorda quello che apriva Rauyela di Cortazar, ci si può muovere infatti liberamente all’interno di questo scritto che comprende microstorie che stanno in piedi da sole ma che al contempo compongono, come piccole tessere di un mosaico, un quadro molto più grande. Per poter capire cosa rappresenti questo quadro bisogna allontanarsene il più possibile, quasi scappare, come fa uno dei personaggi.
Le storie sono tenute insieme da espedienti narrativi (MacGuffin) che tengono alto il ritmo della lettura aiutati anche da espedienti grafici, ci troviamo così a seguire il viaggio di un coltellino svizzero come abbiamo seguito anni fa il viaggio di una pallina da baseball in Underwold di De Lillo o della valigetta nel film Ronin, non a caso alcuni stralci di questo libro erano apparsi in precedenza in forma racconto su In fuga dalla bocciofila che usa l’espediente narrativo di unire i racconti alle trame dei film. La scrittura di Ferruccio Mazzanti è debordante, ricca di informazioni che ricordano l’onniscienza sorniona di Foster Wallace. Il libro contiene una moltitudine di input che colpiscono a ripetizione il lettore come uno sciame di api. Sembra a tratti di perdersi tra i corridoi di questa azienda che tutto fagocita, ma alla fine si trova sempre il bandolo della matassa e quando si pensa che alcuni personaggi siano fuori posto ecco trovato il loro incastro nella grottesca dinamica aziendale che va a sovrapporsi alla vita.
Molto preziose sono le riflessioni sul mondo del lavoro e sulla triste dimensione umana subordinata al processo capitalista che troviamo disseminate nelle parole dei vari attori di questa messa in scena che pur puntando sull’esagerazione diviene più reale di quanto si pensi.
a cura di Raffaele Calvanese