L’undicesima edizione di Bruma, rassegna letteraria monografica a cura della giornalista e scrittrice Camilla Corsellini, sarà dedicata al giallo contemporaneo. La rassegna, promossa dall’assessorato alla Cultura e dalla Biblioteca del Comune di Brugherio (MB), ha esordito il 12 aprile con lo scrittore Massimo Carlotto, venerdì 20 aprile sarà la volta dei Marco Malvaldi e il 26 aprile toccherà allo scrittore partenopeo Maurizio De Giovanni, che secondo la formula consolidata di Bruma, sarà protagonista di una serata monografica che ripercorrerà tutta la sua bibliografia. A tal proposito abbiamo rivolto qualche domanda a Maurizio De Giovanni, il cui ultimo libro, “Sara al tramonto”, di recente uscita è già in vetta alle classifiche di vendita.
Perché il giallo è diventato il genere letterario più diffuso, in un contesto in cui si legge sempre meno? È un modo obliquo di affrontare la realtà italiana?
Il romanzo nero è il solo romanzo sociale dei tempi odierni. Mentre la narrativa mainstream si occupa degli appartamenti e di conseguenza delle dinamiche familiari, il romanzo nero scende in strada e rimesta nella melma. In un contesto desolante per la riduzione drastica del numero dei lettori, il noir regge, anzi cresce proprio per questo: indaga non tanto sul chi né sul come degli episodi criminali, ma soprattutto sul perché.
Nel nostro Paese il giallo è considerato dai critici un genere culturalmente minore, escluso dallo Strega e dal Campiello. Il successo commerciale è una compensazione accettabile, oppure è proprio il successo commerciale che indispettisce i critici?
Probabilmente è proprio il successo commerciale a indispettire i critici. O meglio, è il retaggio del concetto secondo cui la letteratura di genere è una letteratura di serie B. Eppure, a mio avviso, Simenon è uno dei più grandi scrittori del Novecento, se non il più grande. Credo esistano libri belli e libri brutti, indipendentemente dal genere: ma io non sono un critico letterario.
La scelta dell’ambientazione delle storie del commissario Ricciardi negli anni del regime fascista è fine a se stessa, un’esplorazione letteraria, oppure è un’allusione alla deriva del presente?
È una scelta casuale, determinata dal fatto che il personaggio è nato al Gambrinus e l’ambiente liberty del locale mi ha senz’altro influenzato nella scelta del periodo storico in cui ambientare le mie prime storie. Naturalmente avrei potuto cambiare, ma ho preferito rimanere in quegli anni. Non sopporto la polizia scientifica e i prodotti letterari e televisivi che ne esaltano i meccanismi. Mi sentivo rassicurato da un’epoca in cui era il movente il solo strumento che consentiva all’investigatore di scoprire il colpevole e tale movente era probabilmente riconducibile a due sole macrocategorie: la fame o l’amore in tutte le rispettive accezioni.
L’’invenzione dell’ispettore Lojacono, nostro contemporaneo, è stata un ampliamento, una necessità, una voglia di contrapporre e legare passato e presente?
Un modo di dimostrare a quei pochi (a dire la verità) che mi dicevano che il motivo del successo della serie di Ricciardi risiedeva nella bellezza del periodo storico che avevo scelto e che era troppo facile nascondermi dietro il manto meraviglioso malinconico degli Anni Trenta.
Il giallista e il suo personaggio: quale rapporto li lega? Una proiezione, uno sdoppiamento, una regia?
Niente di tutto questo: secondo me uno scrittore non deve mai parlare di se stesso. Sono inoltre convinto, ancorché possa sembrare un vezzo, che i personaggi facciano tutto quello che vogliono, indipendentemente dall’autore. Non sono Dio, ma solo uno che guarda dalla finestra e racconta a quelli che sono nella stanza ciò che succede fuori.
Qual è la storia a cui è più affezionato?
È come chiedere a un padre a quale figlio sia più affezionato. Ovviamente alcuni personaggi mi sono più affini, ma trovo pregi e difetti in ciascuno. Se proprio devo fare dei nomi, direi Pisanelli per la serie de I Bastardi di Pizzofalcone e Maione per la saga di Ricciardi. E naturalmente il nuovo arrivo: Sara. Ma esiste anche un mio testo autobiografico, per Rizzoli, che è Il resto della settimana. A buon intenditor poche parole.
Come nasce il personaggio di Sara Morozzi, la nuova protagonista femminile del noir Sara al tramonto?
Ho ha incontrato Sara una notte di dicembre, sotto la pioggia, mentre rientravo a casa. Sono stato incuriosito dalla presenza di questa donna ferma nell’abitacolo di un’auto in sosta da chissà quanto tempo: cosa faceva lì? Chi stava aspettando o forse spiando? Dopo una notte trascorsa insonne a pormi questi quesiti, ho trovato le mie risposte ed è nata Sara.
Perché il male affascina così tanto i lettori?
All’origine del mondo, Caino uccise Abele. Il delitto è connaturato alla razza umana. Brutto a sentirsi, ma vero.