Marmaglia è una parola che evoca una confusa e rumorosa ciurmaglia, in alcuni casi indica un gruppo di persone che si portano dietro solo guai – quel tipo di persone che non avremmo mai il coraggio di presentare ai nostri genitori. Emanuele Pittoni ha deciso di intitolare proprio così il suo romanzo edito per Castelvecchi: trascinati dalle sue parole, finiremo per essere coinvolti nelle avventure di questo gruppo di persone un po’ al di sopra delle righe.
Il romanzo racconta la storia di un uomo – il cui nome verrà svelato solo alla fine – ormai quarantenne che ricorda la sua infanzia degli anni Novanta trascorsa nel ristorante del padre, il Timone, a pulire tutti i giorni dieci sacchi di cozze e a lavare il pavimento ascoltando la “compilascion metal” che Save, l’aiuto cuoco che sogna di guidare una Harley, ha creato con tanta cura. La storia di un bambino che vive in un ambiente dove non mancano gang che fumano eroina e che rubano soldi ai commercianti. La storia di un bambino indeciso, che non sa cosa fare nella vita, che non è mai soddisfatto dei suoi percorsi di studi e che a quarant’anni non ha un lavoro fisso e suona in un gruppo reggae. Ed è proprio lui che incarna l’incertezza di qualsiasi adolescente alle prese con le prime iscrizioni a scuola, quelle che iniettano una certa quantità di ansia per aver fatto la scelta sbagliata senza avere la possibilità di correggere il tiro verso un’altra direzione perché, si sa, raramente si hanno le idee chiare e quando si è giovani non si pensa al futuro in termini pratici, come farebbe un adulto.
La Sardegna invece è il luogo dove tutto inizia e dove tutto prosegue in questa storia quasi tragicomica, la destinazione più ambita per le vacanze estive, la meta prescelta per coloro che sono emigrati alla ricerca di lavoro in altre zone d’Italia e dove i loro figli, se da un lato riescono ad accalappiarsi tutte le ragazze locali perché attratte dai loro strani accenti, dall’altro vengono presi in giro dai ragazzi che si sentono minacciati dalla loro presenza. E se vediamo la Sardegna dei giovani che si divertono con poco, dall’altra vediamo anche la Sardegna composta da persone mature, ancorate al passato, che parlano in dialetto e che pensano che l’AIDS (per gli amici ADIS) si possa contrarre solo toccando una persona sieropositiva.
«Ascoltare musica è la mia piacevole ossessione, la mia medicina, il mio “luogo sicuro”, dove posso dimenticarmi veramente di tutto. Ascolto musica di tutti i generi, tutti i giorni, se sto male e se sto bene, ne ho bisogno.» La musica ha un ruolo fondamentale all’interno del libro, ci accompagna sempre, incornicia la lettura attraverso canzoni punk ascoltate dal protagonista in età giovanile, ci fa conoscere l’ossessione di un gruppo di mafiosi per i Liftiba, ci fa partecipare a un concerto dei Marlene Kuntz dove gira un po’ di tutto, dal vino alla mescalina. La musica è anche il luogo che tutti usano per evadere dalla realtà che sembra non rappresentarli o sembra non avere spazio per loro, per sentirsi confortati in qualche modo, per superare momenti di ristagno che sembrano non passare mai.
Marmaglia è un libro scorrevole, raccontato in modo da strappare più di un sorriso. La storia di un giovane che potrebbe essere anche la nostra, alle prese con la prima cotta, gli sbagli commessi per poi tornare sulla strada giusta, in un piccolo paese costellato da persone antiquate e da quelle che ti restano amiche per tutta la vita, soprattutto quando ne hai più bisogno.
«Adesso tornavo a galla, riemergevo vicino alla riva, proprio dove si tocca, perché non ho mai imparato a nuotare. Riaffioravo in superficie, con i piedi ben piantati per terra, giusto un pochino bagnati dalla risacca. Sono un mollusco, un mitile ignoto, una cozza che si prende quello che viene, mangia quello che capita, che si aggrappa agli scogli, proprio in mezzo, tra l’acqua e la terra.» Perché quando si tocca il fondo, non è detto che non si possa più risalire. E in questa storia ci si rende conto che, in mezzo alla marmaglia, rimanere fedeli a sé stessi è sempre la cosa giusta da fare e che commettere degli errori è umano, soprattutto quando non si riesce più a mettere a fuoco l’obiettivo.