Non è molto divertente scrivere sempre le stesse cose a proposito di Mark Lanegan, e a voi sarà venuto a noia leggerle: è bravo, potrebbe cantare anche l’elenco del telefono (tranne le cover in italiano degli Afterhours), e via dicendo. Stavolta diremo solo: bentornato Lanegan. Non era da tanto che ti aspettavamo, perché hai un ritmo di uscite pari solo al numero di movimenti robotici di St. Vincent durante uno dei suoi live. Tra Blues Funeral (2012), Black Pudding e Imitations (2013) è passato pochissimo tempo, tant’è che questo nuovo album di Lanegan esce un po’ in sordina: qualcuno avrà esclamato sicuramente ”ancora Mark Lanegan? ma che avrà da dire?!”. Qualcun altro si sarà chiesto, aspetta ma questa è una collaborazione con qualche chitarrista, un’altra raccolta di cover o un album vero? Sì, è un vero album con la sua band, quindi segue Blues Funeral del 2012, e a ben guardare in mezzo ci sono un paio di anni. Anche se Lanegan intanto continuava a girare, a comporre, a scrivere, reinterpretare, collaborare. Insomma, la domanda che passa oggi a tutti dal cervello è: Phantom Radio è un album ispirato?
Amo Lanegan ma devo essere sincera: no, non è un album completamente ispirato, non raggiunge le vette della sua massima ispirazione. Per quanto ci siano pezzi che decisamente ricreano l’atmosfera del sound laneghiano, come I am the Wolf, con quelle chitarre oscure che sembra stiano sussurrando una confidenza. Tuttavia nell’ascoltare Judgement Time verrà in mente in modo deciso il vecchio canzoniere di Mister Lanegan. Dopo Blues Funeral qualcosa di più forse ce lo si aspettava, anche in quella che Lanegan ha chiamato la sua privata ricerca elettronica, che però sembra sempre un pochino sottotono in questo album nuovo. Eppure brani come The Killing Season evocano questo tentativo, anche se pure qui ci sembrano essere addirittura contaminazioni anni Ottanta alla Soft Cell.
Se c’è un brano innovativo e di ricerca in senso stretto parliamo piuttosto di Torn Red Heart. Qui la curiosità sonora di Lanegan la fa tutta, tanto che il ritmo ha un incidere che somiglia a qualche vecchio pezzo dei Velvet Underground (hanno detto che è la Shadowplay privata di Lanegan ma su questo dissento). In realtà Torn Red Heart è un brano bellissimo, in cui la voce di Lanegan si assottiglia, è meno crooner, ma accompagna bene la ripetizioni sonore in modo soffice. Soffice è anche The Wild People, e a riascoltarla diventa un mantra di bellezza, anche se a tratti un po’ blanda. Tutto sommato Lanegan è pur sempre Lanegan, con o senza band. Ma lo aspettiamo al varco di una prova più preziosa, perché se Black Pudding e Imitations ci avevano emozionato per la ricerca e l’originalità, con Phantom Radio troviamo un ritorno alle origini di canzoni che però perdono di mordente.