Maria Antonietta – S/t

Voto: 7/10

Chi l’ha detto che una studentessa in Beni Culturali non può avere un animo da vera rocker?! Letizia Cesarini, in arte Maria Antonietta, classe 1987, con quel suo visetto angelico e gli occhi un po’ assonnati, si è alzata dai banchi dell’università, ha scritto, cancellato e riscritto di sè e di tutti coloro che non riducono l’istruzione ad un pezzo di carta. Cappottino leopardato, caschetto rosso, rigorosamente spettinato, due tatuaggi coloratissimi che le ricoprono il braccio destro e uno stile pazzesco e difficilmente imitabile. La sua voce è ruvida e a tratti l’incazzatura, quella passione che si sente, è così forte da uscire dagli amplificatori, distruggendo la quiete. La nostra Maria Antonietta ha lasciato i testi in inglese di “Wants to suck your young blood” e anche il suo nome (originariamente in francese),  e si è convertita all’italiano. L’omonimo secondo album della giovanissima pesarese è un concentrato di chitarre e di energia spontanea, potente, martellante. Letizia sfiora acuti altissimi già in “Quanto eri bello“, il primo singolo in uscita: è un graffio nel petto. Tra tutte sicuramente la più orecchiabile e ballabile, con un ritornello che non esce dalla testa. La canzone perfetta da cantare in macchina con quell’innocenza adolescenziale mista ad un pizzico di malizia. “Io volevo solo portarti a letto, ma quanto eri bello“. Ok, non è un pizzico di malizia, la ragazza ha le idee chiare e non si vergogna nel dirlo, ma che male c’è?! E’ la solita stessa storia di sempre, un incontro, un innamoramento idealizzato, un colpo di fulmine ed è la fantasia a fare il resto. Lasciatevi andare, non siate timidi, e urlate a squarciagola sotto la doccia, anzi in una vasca da bagno insieme ai pesci rossi come nel suo video: “La sola cosa che volevo al mondo era essere felice ad ogni costo“. Leggera e fresca ad un primo ascolto, in realtà con una vena molto cupa è, invece, “Questa è la mia festa“. Uno spaccato sulle apparenze che fanno della realtà una continua finzione, idee e azioni sono sempre ricoperte da una patina buia, cocktail e medicine soffocano i respiri della verità, ma peggio ancora è l’indifferenza.

La signorina Cesarini ha la capacità di passare in un battito di ciglia dalla più struggente insofferenza nei confronti altrui, allo stupore per ogni piccola forma di creazione umana. Non male questo mix di sociopatia ed estasi per il tutto e il niente. E’ come se fosse in costante ricerca di se stessa, un po’ smarrita in una selva oscura, un po’ cullata dai raggi caldi del sole che filtrano dalle fronde. E così si trova ad intraprendere molteplici viaggi pindarici. Catapultata in un “Estate ’93” di un secolo non ben precisato, se non dalle interurbane, tra sante vergini chiamate in causa per il puro gusto di respingerle e un Gesù che perde di credibilità. In “Maria Maddalena” e in “Santa Caterina” continua il suo sogno ad occhi aperti, rispecchiandosi nelle eroine dell’agiografia medievale, protagoniste estemporanee del culto biblico che si trasformano in creature della notte in calze a rete. La prima dalla chioma folta e scompigliata, un giro di bolero, un lamento che sembra giungere dal più profondo meridione d’Italia, da una prostituta che invoca la bellezza, mentre cammuffa il suo stato d’animo in una preghiera d’amore. “Santa Caterina” è più un’odierna Courtney Love, scappata da casa Benincasa e sfuggita per un pelo ad una retata, il miracolo sta in questo. La sonorità punk che racconta la storia è presente anche nella voce priva di ogni grazia, in quell’urlo ubriaco di rabbia e d’alcool. Senza musica, accompagnata solo da un tamburello, si reinventa come la nuova Giovanna d’Arco in “Stasera ho da fare“. Forse non è molto dissimile la pulzella d’Orleans di Maria Antonietta da quella di Fabrizio De Andrè, che a sua volta riprende Leonard Cohen. “Nessun uomo nella sua fumosa notte al suo fianco“, mentre qui l’uomo c’è, ma probabilmente sarebbe stato il caso di non rispondere al telefono. “Stanca” non è che la continuazione prolungata, uno sfogo, neanche trenta secondi di puro casino, di irrazionalità e strazio tempestoso. Ritmi taglienti anche in “Tu sei la verità non io“. L’istinto primario ritorna, la cattiveria, le immagini che riemergono dal passato, gli incubi e i silenzi sono i re indiscussi del brano. Di tutt’altro stampo sono “Con gli occhiali da sole“, “Saliva” e “Motel“. Letizia sta correndo fuori dal bosco, inciampa in una radice ed affonda in un manto scricchiolante di foglie secche. Si lascia alle spalle il copione storico-artistico e ritorna alle feste post-moderne e ai cuori tatuati sugli occhi. “Fumavamo 20 sigarette guardando la Statale e tu mi amavi senza condizioni“. Il cerchio si chiude sempre con qualche aspirina dopo una giornata andata storta o in una mattinata tutta da dimenticare, in preda ai postumi di una serata impegnativa. Le melodie sono dolci per reprimere lo schifo che accompagna il terrore giovanile. Una frustrazione fatta di impotenza e voluttà. Di una sincerità sussurrata in un canto di flauto. “Volevo sequestrarti al mondo intero e alla felicità, agli amici, ai diversivi, ai dischi tristi e ai locali punk, volevo sequestrarti anche a Dio perchè tu fossi solamente mio“. In una frase liquida il disco, saluta gli ascoltatori e insieme fa una dedica speciale, una sorta di inno contemporaneo, una presa egoistica che è insita nell’essere umano.
Maria Antonietta a questo giro di boa ha affondato l’imbarcazione. Si è appoggiata ai produttori giusti, primo fra tutti Dario Brunori, e si è data valore cantando in italiano. Il suo album uscirà il 6 gennaio. Capelli rossi spettinati dal vento del successo, insomma. “Ma non è poi questo l’importante” – penserà lei che continua a spalancare gli occhi e a perdersi in mille meditazioni quando la sua vista incontra una volta affrescata.

Tracklist:

  1. Questa è la mia festa
  2. Con gli occhiali da sole
  3. Estate 93
  4. Quanto eri bello (video)
  5. Saliva
  6. Maria Maddalena
  7. Santa Caterina
  8. Stasera ho da fare
  9. Stanca
  10. Motel
  11. Tu sei la verità non io
  12. Alla felicità e ai locali punk
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