“L’amore, capisci?, è estasi! […] Credimi, l’amore può salvare.”
tratto da “Come donna innamorata”, Guanda, Milano 2015
Scrittura creativa e critica, un binomio che mi ha sempre incuriosito. Un ossimoro che suona maledettamente bene, un enigma che il professore Marco Santagata è riuscito a risolvere, come pochi prima di lui. Già Umberto Eco, Alberto Asor Rosa, senza pensare ai casi meno recenti di Carducci e Debenedetti, si erano cimentati in entrambi i settori con risultati di altissimo valore. Valutare ed essere valutati, scambiarsi i ruoli per una volta pare un’esperienza comune a molti critici, con esiti diversi. Da successi editoriali, come il caso de “Il nome della rosa”, a casi letterari poco apprezzati e quasi subito dimenticati.
Già malato da tempo, le sue condizioni sono state aggravate dal Covid-19, per questo motivo Marco Santagata si è spento oggi, all’età di settantatré anni, dopo una vita spesa tra i libri, la letteratura e l’insegnamento. Professore ordinario di Letteratura italiana a Pisa dagli anni ‘80, studioso delle opere di Petrarca, Dante, ma anche dei petrarchisti e di Leopardi, Santagata è ricordato per aver curato molte edizioni mondadoriane dei Meridiani, tra cui proprio quella del Canzoniere, e per i suoi saggi, tra cui certamente spicca “I frammenti dell’anima”. Di recente, il Professore ha realizzato un’indagine, apparsa sul “Corriere della Sera”, sulla ricerca dell’identità della scrittrice Elena Ferrante. Santagata ha a lungo sostenuto che dietro lo pseudonimo di Ferrante in realtà si celasse Marcella Marmo, docente di storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli, la quale tuttavia ha sempre negato ogni identificazione con l’autrice de “L’amica geniale”.
Come già accennato, resta di rilievo la sua attività di scrittore. Vincitore del Premio Campiello nel 2003 con “Il maestro dei santi pallidi” e del Premio Stresa per la Narrativa con “L’amore in sé” appena tre anni dopo, ha ripetuto il successo con “Come donna innamorata”, edito da Guanda, che è rientrato nella cinquina del Premio Strega nel 2015. In onore dei settecentocinquant’anni della nascita di Dante Alighieri, Santagata ha condotto il lettore alla scoperta della sfera privata di un Dante più intimo e sofferente, con un romanzo diviso in due parti. Nella prima troviamo Bice, la Beatrice tanto celebrata nella “Vita Nova”, e la narrazione comincia proprio nel 1290, anno della sua morte; nella seconda l’amico e poeta Guido Cavalcanti, nell’ottobre del 1314, quando Dante è già in esilio da dodici anni. Un romanzo di formazione che vede Dante protagonista, all’inizio un giovane fragile e tormentato alla ricerca di una ragione per continuare a scrivere, quasi un eroe contemporaneo. Dietro la figura di Dante, autore di cui Santagata era cultore e a cui ha dedicato la biografia “Dante, il romanzo della sua vita” per Mondadori, si celano i più intimi legami, il rapporto con la moglie Gemma, l’amicizia con Guido, il travagliato impegno politico, sullo sfondo del paesaggio vivido e inquietante di un Medioevo lontano e affascinante.
Quest’anno è uscito “Il copista. Un venerdì di Francesco Petrarca” per Guanda, che ricostruisce una figura inedita di Petrarca, inquieta e contraddittoria, che riscrive la storia del poeta cantore di Laura.
Personalmente, ho trascorso il primo anno di Letteratura italiana studiando i saggi, le note, i contributi del professore Santagata su Petrarca e ho avuto l’occasione di incontrarlo a Roma, durante una conferenza a Palazzo Venezia, che mi ha permesso di apprezzare la sua competenza e abilità, di consolidare l’immagine di un uomo di grande spessore culturale. Un’istituzione per gli studi danteschi e petrarcheschi, un gigante che lascia un vuoto incolmabile nel panorama della critica letteraria.