«Il mio rimane primariamente un invito ad allenare l’attenzione e la consapevolezza, soprattutto di classe, nonché a fare spazio all’altruismo, mettendo in circolo un moto virtuoso di difesa e cura reciproca del riposo. In poche parole, invito a manifestare pisolini, per sé e per gli altri»
Abbiamo fatto sette domande a Virginia Cafaro, autrice di «Manifesto Pisolini», un saggio dall’anima rivoluzionaria, edito da Le Plurali editrice.
Dai lati oscuri dello scrolling, fino alla procrastinazione della buonanotte, «Manifesto Pisolini» ci racconta il lato femminista del riposo e ci invita a rivendicarlo come un atto trasformativo, di fronte al costante tentativo del capitalismo di rubarci ogni istante per produrre o consumare.
Un libro da leggere, sottolineare, rileggere, regalare, citare, urlare, fino a quando tutti non impareremo a manifestare sani e legittimi pisolini, per noi e per gli altri.
La prima domanda che mi piacerebbe farti è: da dove nasce «Manifesto Pisolini»?
Nasce da svariati appunti, tentativi di stesure, letture, chiacchiere con amiche e parenti. La versione pubblicata è frutto di una revisione dell’idea iniziale: se anni fa (circa cinque), l’intento era di parlare del concetto di tempo, riposo e velocità in relazione alla contemporaneità, con il lockdown ho sentito l’esigenza di mettere per iscritto il valore della lotta di classe e il malessere vissuto dopo un burnout lavorativo, trasformandolo in un desiderio di bellezza – manifestare pisolini, per l’appunto.
Nel libro parli della tua esperienza come figlia di operai che non hanno mai realmente goduto di momenti di ozio. In che misura il tuo vissuto ha influenzato la tua analisi?
In misura direi viscerale, perché mi ha lasciata con un senso di rabbia funesto: mio padre non solo aveva iniziato a lavorare fin da piccolo, è pure morto, per cause legate al lavoro, prima di godersi la pensione, leggere tutti i numeri di giornale che avrebbe voluto, trascorrere le giornate con le persone amate e starsene tranquillo con mia madre nel mezzo della Sardegna. Quest’ingiustizia ha posto le basi per la mia analisi, nonché fornito delle lenti specifiche attraverso cui guardo il mondo.
Mi ha anche influenzata in senso positivo: i miei genitori hanno sempre cercato di proteggere i tempi di riposo miei e dei miei fratelli, proprio perché loro non ne avevano mai avuti. Celebrarli senza senso di colpa, quando riesco a viverli o a ritagliarli tra i mille lavori, è un modo per ringraziarli e riconoscere la cura immensa che hanno avuto nei miei confronti.
Quali sono i «lati oscuri dello scrolling» e come questi influenzano la nostra capacità di riposare? In che modo la procrastinazione della buonanotte si inserisce in questo contesto?
Si tratta di lati angusti, sui quali le piattaforme (come Meta), volutamente spengono i riflettori: rimanere ore a scrollare la sezione dei reel su Instagram, o dei “nei per te” di TikTok, è funzionale al profitto di queste aziende, perché genera engagement (letteralmente “coinvolgimento sociale”, che nello specifico del mondo social indica tutte quelle azioni che giornalmente svolgiamo per interagire con i contenuti che ci capitano sott’occhio, dai like ai commenti). Questo engagement crea quindi profitto, che però non si riversa su di noi che scrolliamo bensì su aziende terze (da Meta ai brand che pubblicizzano sulle piattaforme). Questa premessa si collega al fatto che le piattaforme siano state costruite anche per creare dipendenza, e quindi va da sé che l’atto di celarne i lati oscuri sia doloso.
A tal proposito nel libro parlo molto di “procrastinazione della buonanotte per vendetta” – revenge bedtime procrastination in inglese – un fenomeno piuttosto diffuso che implica una volontaria posticipazione del sonno per rivendicare il tempo libero perso durante il giorno. Per fare un esempio pratico, pensiamo a tutte quelle volte che abbiamo sentito la necessità di starcene a letto a scrollare Instagram dopo una lunga giornata estenuante, allontanando il momento in cui usualmente ci addormentiamo (o proviamo a farlo). Questa necessità, tolto l’impiego di Instagram o di qualsiasi altra piattaforma, è reale e comprensibile, nonché indice di un’esigenza umana che durante il giorno non riusciamo a svolgere: svagarci, staccare la testa dal lavoro o da qualsiasi preoccupazione che stiamo affrontando. Sorgono però delle domande spontanee: perché dobbiamo rinunciare a un’esigenza fisiologica come il sonno per godere di un’altrettanta necessità fisica (lo svago)? Chi ha interesse a tenere le nostre teste sempre impegnate durante il giorno, costringendoci a rosicchiare il tempo del riposo per avere qualche attimo per noi?
Riallacciandoci invece alla questione dello scrolling e della dipendenza, le piattaforme social sono state costruite per generare profitto ma pubblicizzate come genuino mezzo di scambio, unione, intrattenimento e amicizia (attività che personalmente, essendo una “bimba di internet”, celebro e credo siano valide), quindi è importante iniziare a chiedersi quando e quanto il loro utilizzo si infiltri nelle nostre funzioni e necessità vitali, posto che “rimanere in contatto” con altri esseri umani rientri effettivamente tra queste esigenze di vita.
Concludo con un’altra domanda (dopotutto nel libro ci sono più quelle che risposte): tolto il lato sociale delle piattaforme, che per me è appunto importante, possiamo considerare come puro riposo un’attività che dal nostro lavoro gratuito (l’engagement) trae profitto?
«Il mio rimane primariamente un invito ad allenare l’attenzione e la consapevolezza, soprattutto di classe, nonché a fare spazio all’altruismo, mettendo in circolo un moto virtuoso di difesa e cura reciproca del riposo. In poche parole, invito a manifestare pisolini, per sé e per gli altri.» Due bellissime frasi tratte dal tuo libro. Da dove si parte per attuare questo manifesto? Superando il senso di colpa?
Superare il senso di colpa è la chiave principale, anche se difficile (io personalmente ce l’ho fatta solo dopo un burnout a 33 anni). Credo che aumentare la consapevolezza e incoraggiare le persone che amiamo a riposare ci aiuti pian piano a sentire di meritare noi stesse riposo, sonno e svago. Da un lato, questa protezione e manifestazione universalizza e valida i sentimenti di stanchezza che proviamo e di cui non sempre parliamo (perché la società ci spinge a sentirci utili solo se siamo sempre impegnate); dall’altro, sono convinta che proteggere i tempi di riposo degli altri avvii un circolo virtuoso di influenze positive.
Ci hanno insegnato che il riposo è un lusso, non un’esigenza biologica. Perché, secondo te?
C’è una volontà precisa di lasciare che il termine “lusso” definisca attività costose accessibili solo a chi se le può permettere. Quando parliamo di lusso, tuttavia, spesso e volentieri intendiamo attività funzionali al vivere bene, essenziali a una buona vita che non dovrebbe essere legata alla disponibilità economica: pensiamo al buon cibo, ai tempi di svago e ozio, ma anche alle migliori cliniche per la salute o all’istruzione. Più soldi hai, migliori saranno i servizi a cui puoi accedere, di lusso appunto, ma non dovrebbe essere così.
La domanda che cerco di pormi sempre è: quest’attività (come il riposo) o prodotto (un pasto completo), rientra nella semantica del lusso perché non è effettivamente funzionale al vivere bene, o è un qualcosa che ci meritiamo ma è stato reso volutamente inaccessibile per indurci a lavorare di più?
Ci sono segnali di cambiamento riguardo il futuro del riposo che ti danno speranza?
Verso le ultime pagine del libro cito Paul Virilio, filosofo e dromologo (scienziato della velocità) francese, morto nel 2018. Virilio amava studiare le nuove tecnologie, i rapporti di potere che ne derivano e i loro effetti, potenzialmente positivi ma più spesso negativi. Sosteneva che il regime temporale della nostra società fosse quello dell’alta velocità, che ci catapulta da un’attività all’altra, specialmente se digitale, senza lasciarci il tempo di capire cosa stia succedendo e quindi di soppesare collettivamente vantaggi e benefici. Possiamo dire che è quello che ci è capitato, ad esempio, con Instagram: di per sé lo strumento è utile, divertente, di condivisione, ma ci è stato lanciato addosso senza dare la possibilità di comprendere come, per dirne una, lo scroll infinito potesse influire sulle nostre menti. Certo, molte filosofe e personalità ne avevano parlato e continuano a farlo, ma questi argomenti non arrivavano al pubblico più vasto, a coinvolgere cioè tutta l’opinione pubblica.
Negli ultimi anni, tuttavia, ho percepito un superamento di questa barriera. Sempre più persone discutono dell’importanza del riposo, in un moto di consapevolezza e passaparola che mi lascia una sensazione di assoluta speranza.
Hai già in mente nuovi progetti o temi da esplorare dopo questo libro? Se sì, ci racconti qualcosa?
Sì! Sto riprendendo gli appunti su tempo e velocità di cui parlavo a inizio intervista e sistemando un’idea di romanzo che tocca le tematiche del tempo, della morte e della speranza. Prima di “Manifesto pisolini” non avevo mai avuto modo (né forse il coraggio), di concludere qualcosa di mio; in genere inizio, proseguo a scrivere fino a metà e finisco la storia o i concetti esposti solo mentalmente, mai per iscritto.
Dall’uscita del Manifesto mi sento più fiduciosa delle mie idee, a prescindere da una possibile pubblicazione o meno; quindi, potrebbe essere la volta buona per i miei file sul computer: finalmente vedranno una conclusione!