A Manchester doveva essere solo un concerto

Quando ieri sera sono arrivate le prime notizie di esplosioni al concerto di Ariana Grande all’Arena di Manchester abbiamo provato a sperare che niente di grave fosse successo. Purtroppo i primi aggiornamenti sulla vicenda non lasciavano presagire nulla di buono.

Stamattina Manchester si sveglia facendo i conti con 22 morti e 60 feriti (numero in aggiornamento, si tratta soprattutto di adolescenti), una strage che si è consumata alla fine del concerto della popstar Ariana Grande. Le ricostruzioni confermano l’ipotesi di un attacco kamikaze causato da una bomba fatta esplodere subito dopo la fine del live, mentre le persone uscivano dall’Arena. Molti testimoni raccontano che l’ordigno esploso fosse imbottito di chiodi.

Per tutta la notte la città di Manchester è rimasta bloccata dal dolore e lo strazio, dalle ambulanze che andavano e venivano, dai lockdown che sembravano inseguirsi da una parte all’altra della città, dall’ovvia e caotica situazione di isterismo sociale che contribuiva a diffondere allarmi – poi rivelatisi falsi – da una parte all’altra della città (un sospetto pacco bomba in un parco, un uomo armato all’ospedale di Oldham), aggrappandosi alle notizie ufficiali che venivano fuori a singhiozzo da parte della polizia.

Poche ore fa Ariana Grande ha condiviso uno stato in cui si dice distrutta e senza parole. Una sensazione comune, di avvilimento. Contare il numero di morti e feriti dopo un concerto, come fosse una battaglia, non può che avvilire.

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