Management Del Dolore Post-Operatorio, intervista a Luca Romagnoli

Entro alla Feltrinelli di Pescara al secondo turno; è paccata di gente, i Management hanno dovuto dividerli in tre turni, tre concerti, tre presentazioni del disco nuovo. Riesco a trovarmi un posto in prima fila. Luca Romagnoli è uno figo, tranquillo ma non moscio, neanche troppo eccitato o esagitato, carismatico. Suonano “La Rapina Collettiva”, “Oggi Chi Sono” (preceduta da un significativo “A volte prostituirsi è tanto meglio che lavorare, viva le baby-prostitute”) e “Il Cantico delle Fotografie” (anticipato da un altrettanto significativo “No allo sport, sì al doping”). I Management parlano di problemoni, ma ne parlano con un punto di vista mai troppo ovvio, che non arriva mai al punto di farti dire “eh ma io questa l’ho già sentita”, seppur con ritornelli non proprio raffinati, ma anzi molto grezzi, che rivelano la loro chiara – primigenia – attitudine punk. Scoppiettanti nelle dichiarazioni, nei gesti. Ero piuttosto curioso di incontrare Luca.

Foto: Valerio Tuccella

Nell’ultimo disco c’è un sentimento di pessimismo più marcato rispetto ad Auff, misto però ad un’impostazione più pop.

Nel pop c’è una specie di crudeltà, diciamo delle cose molto più cattive di Auff “addobbandole”, e questo è una cattiveria ancora più grande: immagina sopra una canzone un po’ felice, un po’ così, sai, dire delle cose morte di cui parliamo. È ancora più crudele, è ancora più strambo, ancora più folle.

Per quanto riguarda il pessimismo, non è tale, è una presa di coscienza totale che noi volevamo esporre: ecco, questo sono le macerie, tutto distrutto, tutte le utopie, tutte le stronzate, tutte le finte rivoluzioni, tutti i discorsi del cazzo che si fanno nel mondo pop, nel mondo indipendente, nel mondo della filosofia, della storia, tutto, l’arte eccetera, anche le chiacchiere al bar. Adesso ci balliamo sopra. È un disco della crisi; non contro, ma un disco nell’epoca della crisi; deve rappresentare, anche dalla copertina, i posteri. Io spero che sia il disco che rappresenta questo decennio di merda.

Hai scelto questo “McMao” come titolo, comunismo e capitalismo becero insieme. Sono stato a Lanciano, di dove siete voi, e a Lanciano un paio di volte mi hanno detto che i giovani che sono fighetti sono tutti finto-di-sinistra; ti ritrovi?

Da tutte le parti ci sono dei piccoli mondi che sono purtroppo molto molto simili a se stessi; io non sopporto le nicchie, non solo a Lanciano, ma anche nella vita, cioè odio che bisogna vestirsi e comportarsi in un modo per stare in un posto, o in un settore musicale: per me non significa un cazzo “il settore indipendente”, non me ne frega niente. Mi sono trovato tanto bene con i fighetti quanto male con le persone che sento più vicine al mio modo di essere, e viceversa; le cose vanno sempre scoperte, dividersi in gruppi è su per giù la stessa cosa del razzismo.
Frammentazione degna di certi comunisti! (Ridacchia)

Riguardo al ritornello dell’ultima canzone che avete fatto (Il cantico delle fotografie), come è nata l’idea de “L’infinito inizia negli occhi di chi guarda”?

In breve, guarda, noi abbiamo inventato un linguaggio, delle parole per descrivere le cose, quindi queste sono belle o brutte perché lo diciamo noi, perché un albero se ne fotte se tu gli dici che è bello o brutto, non sa nemmeno che si chiama “albero”, in inglese magari si chiama in un altro modo, “tri” o come cazzo si chiama.
Di conseguenza, è come se le cose esistessero di per sé, ma in questo mondo nostro del linguaggio che abbiamo creato esistono solo perché le nominiamo; io credo che il mondo, senza qualcuno che lo descriva, sia un po’ inutile, quasi come se non esistesse. L’infinito, l’universo si chiama “uni-verso” perché da qualunque parte lo guardi ha sempre un verso, uno solo, è sempre lo stesso ovunque, tu dici non ha fine, non ha inizio, ma invece, secondo me, l’inizio è chi lo guarda, e quindi tutto dipende dalla tua visione delle cose, tutto. È un elogio della diversità, perché se ognuno ha la sua piccolissima visione delle cose, chiaramente ce ne saranno miliardi, ma è questa la cosa bella della vita. Allora noi da quale sport ci tiriamo fuori? (“Questa è la mia conclusione/ se la vita è uno sport/ io non sono un campione”) Appunto dal famoso talent show esistenziale, questa guerra di tutti contro tutti, quando per noi la bellezza è IN NOI, nella diversità che siamo, anche se facciamo schifo, se siamo perversi… noi non siamo esclusi; descriviamo la società come cronisti, ma non cerchiamo mai di dare risposte, cerchiamo quand’è possibile di fare solo domande.

Foto: Valerio Tuccella

Ne parli spesso nei tuoi testi, dispensi anche buoni consigli in materia. Come va la tua vita sessuale?

(Ironia) La mia vita sessuale va a gonfie vele! Faccio paura, scopo tantissimo! Un portento, guarda, dovrebbero provare tutti.

Faccio bene l’amore, ecco il consiglio: e per raggiungere l’orgasmo ci vuole un pisello normale, e tanto, tanto tatto, perché l’organo sessuale per eccellenza è la pelle. Sto scrivendo un libro, si chiama “Il cazzo di 40 centimetri”, il titolo è l’esempio perfetto della cultura in cui viviamo ora: un pene di 40 centimetri è inservibile, scomodo, creerebbe dei seri problemi, ma prova a chiedere a un uomo qualunque se non ne vorrebbe uno. In realtà parlo tanto di sesso perché ho dei seri problemi.

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