Tante sono le storie, le direttrici, le ramificazioni genealogiche che si intrecciano e vivono in Mamma è matta, papà è ubriaco, l’ultimo lavoro dello scrittore, entomologo, giornalista e collezionista svedese Fredrik Sjöberg, pubblicato in Italia da Iperborea nella traduzione a cura di Andrea Berardini.
Come in tutti i suoi libri, anche per Mamma è matta, papà è ubriaco non si tratta di un romanzo, ma di storie vere, dettagli e vicende da ricostruire. Questa volta tutto ha inizio davanti a un quadro. Stoccolma, fine novembre del 2014. Sjöberg ha da sempre un interesse smisurato per le storie che gravitano intorno a personaggi poco conosciuti o, peggio, dimenticati. Grande appassionato di arte, proprio in quel periodo, si era lanciato, seppur senza troppi risultati, alla ricerca di più tracce possibili sulla vita del pittore svedese Olof Ågren.
Gli aneddoti, come acque sotterranee, filtrano dalle rocce delle generazioni. Solo sporadici ricordi di infanzia, null’altro, eppure, o forse proprio per questa ragione, mi rivelano qualcosa. Come fotografie sbiadite che nessuno più ricorda dove siano state scattate.
Scandagliando tra alcune lettere e carte dimenticate di Ågren, Sjöberg incappa casualmente in un passaggio: «Qui c’è Dich, quello sposato con la vedova». Un certo Dich. Anton Dich. Pittore anche quest’ultimo, sconosciuto ai più seppur sempre nel giro giusto, nato a Copenaghen nel 1889, una giovinezza bohémienne trascorsa per buona parte tra Parigi, poi gli ultimi anni della sua vita in Italia, a Bordighera, e qui muore a causa dell’alcolismo nel 1935. Secondo marito di Eva Adler, già coniugata Arosenius, altro artista svedese di successo, scomparso troppo presto.
È stato il caso a volere che Sjöberg si imbattesse nella storia di Anton Dich e nei mille volti che si avvicendano nella famiglia acquisita di quest’ultimo, quella di sua moglie Eva. Di qualche anno più grande di lui, Eva Arosenius-Dich proviene da una famiglia di stampo matriarcale che ebbe, in passato, grande fortuna nella produzione casearia e, da lì, nella vita in generale, con una spiccata propensione per l’arte. Proprio l’arte, infatti, è il filo conduttore di questa ricostruzione intricata, ma sempre scrupolosa, possibile grazie alle preziose testimonianze e ai racconti delle nipoti di Eva ed Anton.
Dicevo che sono pochi i libri che significano davvero qualcosa. Lo stesso vale per i quadri.
Si accenna da subito a un quadro, che è il motore della storia. Lo stesso che Sjöberg si ritrova davanti durante un’asta, un dipinto di grandi dimensioni, con una vistosa macchia d’umido in un angolo. Esattamente quello che Anton Dich dipinge nell’estate del 1921 a Mentone, in Costa Azzurra, e in cui si vedono ritratte due adolescenti, una castana con i capelli corti e l’altra bionda con le trecce. Sono Hanna e Lillan, quasi coetanee, rispettivamente la nipote e la figlia di Eva, quest’ultima è quindi la figliastra di Anton che, grazie alla sua arte, riesce qui a rendere eterno il loro stato d’animo:
Non abbacchiate, o tristi, o arrabbiate, ma depresse per davvero. Come quando tutto il male ti cammina dentro, arriva allo stomaco e si fa così nero e pesante da convincerti che in fondo l’unico a cui dare la colpa di tutto sei tu.
Credo che si sentissero così quell’estate.
E Anton lo capì.
Neanche per il nostro artista furono sempre felici gli anni passati a Mentone con la famiglia. A dire il vero, forse non è mai stato mai felice in vita sua. Anton Dich, l’alcolizzato, il maledetto, l’artista sempre nel giro giusto dagli ambienti parigini in poi, ma mai abbastanza per essere ricordato. Amico di Modigliani, che ospitò a casa sua (ne è testimone un ritratto ad opera di Modì che raffigura Eva). Eterno secondo, anche in amore, dovendo vivere per sempre con addosso lo spettro di Ivar Arosenius, artista riconosciuto e mai del tutto dimenticato. Da sua moglie e dall’opinione pubblica. Una vita per niente facile, con finale ancor più triste.
Un’osservazione banale: le ferite possono essere ereditarie. Tutto è ereditario. Come avvenga questa trasmissione, nessuno lo capisce fino in fondo: di solito si tratta di un groviglio inestricabile di fattori genetici, sociali, culturali, economici e così via, sempre in combinazione con quegli eventi casuali che a volte vengono chiamati fortuna ed altre sfortuna. Il caso.
Mamma è matta, papà è ubriaco è un mosaico composito e vividissimo che, attraverso i racconti della famiglia Dich-Adler-Arosenius, arriva al cuore della vita di ognuno. Una ricostruzione che riporta a galla ferite e dolore, seppur attenuato da sparuti momenti di realizzazione personale in campo artistico. In questo groviglio di volti, anni e nomi conosciutissimi e molti altri meno noti sempre legati alle vicende di tutta la genealogia di questa famiglia movimentata (qualche esempio? il regista e attore Isidor Gesang, in arte John Gottowt, popolare per aver interpretato il professor Bulwer nel Nosferatu di F.W. Murnau; il già citato Modigliani, il maudit per eccellenza; Rut Hallenborg, femminista; Bertold Brecht con la ricetta dei biscotti di sua madre, persino Adolf Hitler, compagno alla scuola d’arte della sorella di Eva, Lisa, e tanti altri) è evidente la forza che muove l’esistenza, per sempre fino alla fine, quella di tentare di scampare al dimenticatoio, cercando in qualche modo di brillare, di tornare in mente a qualcuno, anche dopo molti anni. Anton Dich vive e lo fa grazie a questo lavoro e alla curiosità di Fredrik Sjöberg.