Mai avere paura della propria musica | Intervista a Fulminacci

Durante la finale del Premio Buscaglione che si terrà il 14 marzo all’Hiroshima Mon Amour di Torino, ci sarà anche il concerto di Fulminacci, il cantautore romano, classe 1997, che nel 2019 ha pubblicato il suo primo album La vita veramente conquistando critica e pubblico. Un’estate trascorsa sopra i palchi dei festival italiani, a partire dal Primo Maggio a Roma e continuando con il Mi Ami di Milano, il Goa-Boa di Genova, il Flowers Festival di Torino e tanti altri. Qual è il segreto di un’ascesa così rapida? Lo abbiamo capito dopo una chiacchierata al telefono.

Hai appena 23 anni, ma dopo la pubblicazione del tuo primo disco La vita veramente il 9 aprile 2019 hai avuto riconoscimenti importanti come la Targa Tenco come miglior Opera Prima e il Premio MEI come miglior giovane dell’anno. Ripercorrendo la strada che hai fatto fino a oggi, c’è un consiglio che credi possa essere prezioso per chi vuole emergere e far diventare la musica la propria professione?

Questo è un periodo in cui per fortuna è possibile proporre quello che si vuole in qualunque modo a un pubblico abbastanza vasto a differenza di quello che succedeva un tempo. Vista la mia brevissima carriera, consiglio semplicemente, se si crede in quello che si fa, di non vergognarsi. Per esempio io mi sono vergognato per un po’ di tempo e non ho fatto sentire niente di quello che avevo scritto a nessuno, ma ho trovato fiducia soltanto nel momento in cui ho ricevuto i primi apprezzamenti. Quando scrivi una canzone non puoi sapere se potrà piacere a qualcuno e se può significare qualcosa anche per gli altri. Non bisogna avere paura neanche un secondo perché nel peggiore dei casi nessuno ti ascolta, ma se qualcuno lo fa potrebbe anche apprezzarti.

C’è un momento in cui hai capito che cantare poteva essere più di una passione?

La prima volta che ho fatto sentire una canzone (la prima) ai miei genitori. Loro hanno reagito in maniera positiva, mi hanno permesso di credere in me e ho avuto così il coraggio di scriverne altre. Basta chiedere un giudizio ai propri cari, che solitamente sanno essere sinceri, si ottiene la forza per andare avanti e capire quale potrebbe essere l’effetto su altre persone.

 

C’è un cantautore o una band del passato che secondo te è ancora attuale e che vedi come un riferimento sempre presente per la tua musica?

Cito la band più banale del mondo, ossia i Beatles. Sono stati i primi a fare il botto e a determinare la realizzazione delle band e dei cantautori di oggi. Loro hanno proposto una cultura, mentre oggi noi possiamo proporre la nostra visione e la nostra estetica, facendo videoclip e copertine di dischi coerenti al proprio mondo interiore possiamo farci conoscere a 360°.

A proposito di video e copertine, tu curi particolarmente la parte estetica legata ai tuoi progetti. Come nasce un tuo video?

Dipende dai video. Ho collaborato prevalentemente con un gruppo di ragazzi che si chiama BENDO e che fanno videoclip. Alcune idee sono state proposte interamente da loro perché mi hanno capito e sono riusciti a consegnare al pubblico l’estetica di quello che volevo. In altri casi, invece, abbiamo lavorato insieme e io ho dato spunti e reference stilistiche. Il caso de Le ruote e i motori può ricordare Stranger Things. Il video riprende uno stile che la nostra generazione e quella immediatamente precedente riconosce in diversi film come quelli di Steven Spielberg, dove i ragazzini del quartiere si muovono nei viali tra le ville americane. Noi italiani abbiamo fatto nostro questo immaginario. Anche se non si tratta di nulla di profondo mi piace realizzare prodotti di questo tipo.

 

Nelle tue canzoni racconti con leggerezza un mondo sociale. Dove trovi gli spunti?

Derivano principalmente dai momenti in cui sto da solo e rifletto su quello che avrei voluto dire in alcune circostanze. Nelle canzoni è bello dire quelle frasi che vorresti dire nella vita reale e che non ti vengono in mente in determinati momenti. Spesso il senso delle canzoni mi viene suggerito dal suono che di solito arriva prima del senso del testo. Penso che sia fondamentale come suonano le parole. Per farla breve il significato arriva con la scelta del suono e poi di conseguenza gli altri capiscono di cosa parla la canzone.

Come vedi il tuo futuro?

Il vantaggio di cominciare molto presto una professione come quella del cantautore è quello di raccontare tantissime cose diverse tra loro nel tempo. Inoltre è bello permettere al pubblico di entrare nella propria intimità, auspicando che ci possa essere un miglioramento continuo. Mi piacerebbe che il pubblico assistesse alla mia crescita e mi piacerebbe crescere insieme alle persone che sono venute ai miei primi concerti, continuando a vederle e invecchiare insieme.

Quando sali sul palco ti rendi conto da quali persone è composto il tuo pubblico?

Mi fa molto piacere questa domanda perché è una riflessione che ho fatto anch’io. Ho constatato che nella maggior parte delle date il pubblico era piuttosto eterogeneo. Tra le prime file ci sono i più giovani, parliamo degli adolescenti, dai sedici anni in su, fino ad arrivare ai quarantenni. La media è sui trent’anni. I temi che affronto, trattati in un certo modo, raggruppano generazioni differenti. Ho visto persone dai sedici ai sessant’anni e sono contentissimo.

Quando il prossimo disco?

Tutti i giorni un po’ scrivo canzoni che sicuramente saranno nel secondo disco, ma non so ancora quando uscirà. Durante i miei concerti solitamente faccio sempre due o tre brani inediti, per cui in ogni caso chi non mi ha mai visto live può aspettarsi qualche nuova canzone.

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