È difficile sentirsi al sicuro e quando ci rendiamo conto di quello che abbiamo lasciato nella maggior parte dei casi è già troppo tardi. Non servono a nulla gli sforzi, se quello che ti senti è di scappare, ma se esiste ancora un posto dove tornare, a volte, anche la solitudine ti può dare un po’ di tregua. È un sentimento simile a quello del fermarsi dopo un tour e chiudersi in studio a produrre qualcosa di nuovo. Arriva all’improvviso il momento in cui capisci che una creazione è stata così tanto assimilata da poter camminare da sola, che è giusto lasciarla per un attimo per dedicarsi a soluzioni diverse, magari gli stimoli, o soltanto prendersi il tempo per riflettere, per ricadere nei vecchi incubi di com’era la prima volta che salivi su un palco o ti ritrovavi da solo a provare. Alcune date zero servono proprio per questo, perché anche ritornare nel proprio posto sicuro è un rischio, se non sei pronto a vedere le cose cambiare, nonostante la cosa che si modifica di più sia proprio la persona che se n’è andata solo per un attimo.
Le date zero, salvo rare eccezioni, sono utili a comprendere se quel suono che fino a poche ore prima stavi suonando in uno stanzino possano davvero raggiungere i punti che eri interessato a colpire, e quali possano mancare, prima di lasciargli definitivamente prendere possesso della realtà che cercano di raccontare. Alcune volte sono proprio questo, un rituale che mette il passo decisivo alla suggestione che ti dice che il momento per uscire sia effettivamente arrivato. Ne abbiamo visti tanti non riuscire a comunicare, bloccati com’erano da quell’esigenza di esprimersi, e poi cambiare mondo, perché non riuscivano davvero a incanalare tutto quello che avevano da dire nel modo giusto. Impauriti, forse, anche da quello che le persone si aspettavano. Ogni volta è diverso e con L’Orso siamo arrivati vicini a comprenderlo. Non li abbiamo mai davvero seguiti, lontani per gusti e declinazioni artistiche, ma se arriviamo a raccontarlo è perché qualcosa siamo riusciti a percepire, lasciando alcuni avamposti che prima sembravano irremovibili. È questa, forse, la più grande rassicurazione sull’occhio critico di chi scrive. Ci siamo fatti aiutare dagli occhi di c’era e dalle loro sensazioni, così diverse dalle nostre, nel loro sincero entusiasmo. Siamo stati coperti dello stesso affetto, senza poter comprendere quali esperienze ricoprissero le canzoni che li facevano stringere, sussurrandosi parti dense di un significato comprensibile soltanto da chi aveva vissuto per riflesso Con i chilometri contro o Il tempo ci ripagherà.
L’apertura di Apri gli occhi siamo nello spazio è forse utile proprio per questo, per calarsi immediatamente nel calore del ritorno, mano sul cuore, l’abbiamo sentito tutti. Il cambio di postazione e l’uso di diversi timbri vocali aiuta ad allontanare il rischio di stabilizzarsi dell’esibizione e dimostra come Un luogo sicuro risulti più equilibrato, più attento a orecchie differenti, pur mantenendo le linee tipiche della band. Ma siamo in un momento in cui il pop sembra essere il genere più capace nel ricoprirsi di esperienze individuali, in cui l’uno diventa i tanti, e che sarebbe drammatico non cercare di comprendere anche se non se ne condivide la portata.
Il luogo sicuro forse sta proprio lì. Nel presentarsi in un locale riaperto da poco con un disco nuovo, lontano da casa ma come se la distanza non importasse, piena di visi differenti ma con la stessa accoglienza di un amico lasciato per un poco. È il nucleo della band di Mattia Barro, che ripercorre più volte la difficoltà del tornare sul palco come fosse la prima volta, lasciandosi effettivamente trascinare da chi c’era. Non ce la sentiamo, questa volta perché alcune cose spesso superano le questioni musicali, di ribadire che l’indie pop de L’Orso non rientri nelle nostre corde, e dei motivi per cui questo accada. Vogliamo, però, conservare il ricordo di come una data zero, superati i momenti di una naturale freddezza iniziale, possa trasformarsi in un momento di condivisione tale da non escludere nessuno, nemmeno di chi c’era per un motivo diverso. La musica è anche questo quando ritorna alla sua dimensione, e forse dovremmo tornare a pensare ai locali come quei luoghi in cui ripararci, dopo tutto il male che hanno cercato di metterci dentro.