Lasciarsi alle spalle il Paese che si è contribuito a liberare con l’adesione alla Resistenza partigiana può sembrare una scelta improvvisa e a tratti contradditoria. Ma non se ti chiami Luigi Meneghello.
Autore dell’epopea antiretorica I piccoli maestri (1964) e della celebrazione del dialetto maladense Libera nos a Malo (1963), Meneghello fu scrittore, giornalista, autore radio e insegnante all’università di Reading, nel Regno Unito. Cresciuto a Malo, nel Vicentino, durante la Seconda Guerra Mondiale studiava filosofia a Padova, mentre a gennaio 1943 venne inviato alla scuola allievi ufficiali alpini di Merano: dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 scelse la via dell’antifascismo, seguendo il capitano Toni Giuriolo e aderendo al comitato veneto del Comitato di liberazione nazionale. Dopo la fine del conflitto, lo scrittore rimase in Italia fino all’autunno del 1947, quando la vittoria della borsa di studio all’università di Reading gli permette di trasferirsi in Regno Unito: fu un periodo concitato e animato dalla passione politica – lui, così come l’amico di una vita Licisco Magagnato, militavano tra le file del Partito d’Azione locale, tra Padova e Vicenza – e dalla voglia di ricostruire l’Italia sotto diversi ambiti, da quello economico a quello culturale.
Quell’anno e mezzo è raccontato in Bau-sète!, opera pubblicata nel 1988 per Garzanti, meno studiata dalla critica meneghelliana e poco conosciuta dal grande pubblico rispetto ai suoi esordi letterari. I numerosi e frastagliati temi trattati sono volti a restituire i caratteri essenziali e l’atmosfera di un periodo caotico, euforico e altresì convulso. Lo stile rapsodico ellittico e poco compatto della scrittura memorialistica di Meneghello offre ai lettori capitoli disgregati all’interno di un racconto ricollegabili a macro-argomenti come la fine della guerra, la gioventù pulsante (tra uscite in motocicletta con gli amici e le conquiste femminili), e l’impegno nella politica: i capitoli, inoltre, sono collegabili tra di loro solo per contrapposizione di sentimenti o sensazioni che si respirano tra le pagine.
Il Meneghello maturo degli anni Ottanta esplora dunque i suoi roboanti e appassionati vent’anni, insieme ai molteplici tentativi di farsi strada nell’Italia degli anni Cinquanta, alla guida della ripartenza economico-intellettuale del Paese.
«Forse la frustrazione di allora (di cui non ero del tutto conscio) spiega la volontà ricorrente di provare a fare il mio inventario in via postuma, e gli innumerevoli schemi, abbozzi e assaggi che ne sono nati. Si trattava di elencare ciò che ero e che avevo in quel momento: definire i parametri principali della mia e nostra “posizione” intellettuale e sociale, ma anche psicologica e biologica. Lo scopo ultimo era di analizzare la realtà profonda della situazione, ammesso che ci fosse; andar giù a cercarla, in apnea se necessario; ma intanto ero disposto a studiare le superfici, vicine e lontane».
L’autore, nel tentativo di definire quel periodo ingrovigliato e sfaccettato, ma così decisivo per i risvolti che a breve avrebbero preso la sua vita parla in maniera congeniale di un prisma:
«Guardandolo nel suo insieme è un prisma, e ha singolari proprietà prismatiche: beve una parte della luce, mentre una parte rimbalza sulle sfaccettature e schizza via… Come spere di sole che entrino per le fessure degli scuri in un tinello buio, e vadano a colpire il prisma di cristallo posato sulla tavola, così le cose che mi sono accadute in quel tempo attraversano questo nodo prismatico in vividi fasci di raggi… Per un verso le immagini ne escono con astratti pennacchi di rosso di verde di viola, come ridipinte, rinnovellate, intensificate. È un quadro più bello a vederlo, che non sia stato viverlo… Per un altro verso, tutto si deforma bruscamente: sembra che i raggi si scavezzino, spostino le cose, le vedi dove non sono, e come non sono, con improvvisi gomiti, fratture… Forse questo spiega lo strano effetto a cui ho già accennato più volte, le contraddizioni dei caratteri generali che il periodo ha assunto nel mio ricordo. Credo di non dovermene preoccupare, sono tratti costitutivi, e se si contraddicono non è colpa mia: tutto ciò che posso fare è di guardare almeno nel prisma in modo relativamente ordinato, risalire intanto al principio, ai primi momenti del dopoguerra…».
Il senso del libro – e della sua interpretazione – è condensato in questa riflessione dell’io narrante: sulla sua vita si infrangono sia i raggi dai colori ben riconoscibili, sia altri invece più deformati e meno limpidi. Con questa metafora l’autore è in grado di illustrare la compresenza di elementi positivi e negativi mescolati insieme, spesso poco separabili, che concorre alla confessione di non essere in grado di restituire un’immagine veritiera e stratificata del proprio passato.
Una delle chiavi di lettura più utili per interpretare Bau-séte! come una lenta, amara e inesorabile presa di coscienza da parte del protagonista risulta la linfa giovanile. Ben espressa attraverso l’ardore di Meneghello e i suoi compagni, dai numerosi giri rampanti in motocicletta alle feste, l’energia tipica dell’età giovanile muove il protagonista e gli altri personaggi nei loro innumerevoli tentativi, ma questa linfa non è inesauribile, anzi. Sono numerosi gli scogli contro cui si scontra il protagonista, dal difficile ravviamento della storica impresa di famiglia – la celebre F.lli Meneghello, avviata dal padre Cleto e dal fratello – alla veloce evanescenza del partito per la cui concretizzazione in Veneto cui stava dando anima e corpo, in ricordo anche del suo maestro partigiano Toni Giuriolo, che si era separato dal gruppo di Meneghello durante una rappresaglia dei fascisti e morto successivamente durante un combattimento sui colli bolognesi.
Ogni fallimento che il giovane incontra sul suo cammino sembra fagocitare l’entusiasmo e le speranze che avevano caratterizzato primi momenti immediatamente successivi alla Liberazione, così come il clima di ricostituzione dell’Italia sotto ogni punto di vista, da quello socio-economico a quello politico e culturale. Questa ricostruzione, però, è più difficile di quanto si pensasse, poiché sotto le macerie delle case e delle città distrutte si celano le questioni irrisolte di un Paese che è stato sotto una dittatura per un ventennio, con le sue caratteristiche reazionarie ancora ben presenti e le colpe del fascismo non ancora espiate. Resosi conto di tutto questo, al giovane disilluso si presenta un’opportunità quasi miracolata: l’opportunità di andare nella più moderna Inghilterra, baluardo di civiltà e democrazia che fin dall’inizio si era opposta alle tirannie del Terzo Reich. Un’occasione colta al balzo, che permetterà a Meneghello di diventare il Meneghello che conosciamo: grazie alla vittoria della borsa di studi all’Università di Reading per proseguire gli studi in filosofia, diventerà un professore stimato dai suoi allievi e darà vita all’innovativo e vivace dipartimento di Italian Studies (il “Professor Gee-Gee”, come lo chiamavano affettuosamente i suoi studenti, insegnerà italiano fino al 1980). Un’esperienza che verrà raccontata ne Il dispatrio, opera pubblicata nel 1993.
Lo studio della lingua inglese, inoltre, sarà preambolo fondamentale per la scelta della scrittura romanzesca: è grazie a questa nuova patria, il Regno Unito, e allo studio della sua lingua se Meneghello ha potuto percorrere la carriera da scrittore, dopo essersi “epurato” da una lingua infarcita dalla retorica e dalla propaganda fascista, per nulla libera e schietta come quella parlata nella sua nuova casa. La narrazione del proprio Paese e del suo passato, secondo lo stesso autore, non sarebbe stata possibile senza quel distacco fisico – ma anche culturale e linguistico – imposto dal trasferimento a Reading: la distanza geografica ha assunto la funzionalità di lente di ingrandimento del proprio passato e del presente del suo Paese per il futuro scrittore, che solo così ha potuto assumere la giusta postura dell’io, lontano e consapevole, ma mai giudicante e sprezzante, che si può osservare in tutta la sua parabola romanzesca.
Il dispatrio in Regno Unito rappresenta un’esperienza che gli consentirà di proseguire e affinare quel processo di dis-educazione fascista iniziato tempo prima sulle montagne venete, grazie agli insegnamenti di Toni Giuriolo.
Gli anni inglesi si configurano dunque come uno spartiacque fondamentale per uno scrittore che, nel corso della sua carriera, tornerà sempre a rievocare il proprio percorso formativo da italiano nato e cresciuto negli anni Venti, formato ideologicamente dalla cultura e propaganda fascista, in seguito rifiutata con l’adesione alla causa partigiana. Un’indagine inseguita attraverso una scrittura sui generis, impastata con l’italiano cristallino “sporcato” dal dialetto maladense e dalle incursioni forestiere dell’inglese che rendono il vivace e giocoso mondo rievocato da Meneghello immerso in una fiaba ante litteram che, ancora oggi, mantiene con forza il proprio incanto.