Luigi Di Maio, cittadino al di sopra di ogni sospetto

Chi è davvero Luigi Di Maio, uomo di punta del Movimento 5 Stelle ed eletto con 30mila voti come prossimo candidato premier sulla piattaforma Rosseau? Il leader carismatico che piace alle mamme novax o quello che ha spaccato a metà il partito, evidenziando l’abitudine del nuovo nel conformarsi al vecchio non appena il confronto intenrno mostra un divario di opinioni fra i suoi esponenti di punta? Il delfino modellato immagine e somiglianza di Grillo-Casaleggio o l’uomo adorato dalla folla che al meeting di Rimini riceveva baci e abbracci da chi gli affidava le speranze del proprio futuro? Una figura interessante quella di Di Maio che, fra un rivedibile uso del congiuntivo e l’altro, a ventisette anni, è diventato il più giovane vicepresidente della Camera dei Deputati. Non il primo, però, a non aver concluso il percorso di studi in giurisprudenza, un’altra delle tendenze da Prima Repubblica a cui continuiamo a non dare importanza nella scelta di chi ci dovrà rappresentare.

 

 

L’immagine che più ci aiuta a capirlo è data, probabilmente, dal suo intervento all’università di Harvard lo scorso maggio. Lo speaker lo presenta al pubblico di accademici, ribellandosi alle lamentele che gli sono state mosse per averlo invitato perché, come dice al minuto 1:20, si tratta di un’occasione più unica che rara di dialogare con uno dei portavoce di un movimento dichiaratamente populista. Di Maio, dalla sua, non reagisce a questa provocazione, mostrando la faccia di chi potrebbe non aver capito, tanto che la signora alla sua sinistra si accerta che il messaggio sia stato, effettivamente, recepito. Non si scompone, non lo fa mai, nemmeno quando gli viene chiesto come sia possibile creare una nuova struttura senza conoscere quella precedente, o cambiare un paese con la sola forza delle parole, soprattutto sui temi che questi ricercatori studiano da anni e che non riescono a risolvere, così da risparmiarsi, almeno, le fatiche future. La forza di Di Maio consiste nella sua capacità di incassare e digerire tutto senza perdere autorità, capovolgere le accuse e assimilarle a quell’arte di creare immagini senza conoscenze reali fino a questo punto diciamo che il sofista, in maniera più abile di tutti, si è insinuato in un luogo impenetrabile» dice l’Ospite a Teeteto nel Sofista platonico), trasformando l’avversario in un nuovo nemico con uno stratagemma retorico di bassa lega. I nemici sono altri, noi siamo dalla parte delle persone comuni, ripete come mantra strategico. Di Maio nel suo intervento non parla con i ricercatori, sapientemente trasfigurati in possessori di un sapere esclusivo e troppo complesso, ma dialoga con chi lo guarda dal tablet e dal cellulare. Gli entusiasti del 2.0 e del trattamento Stamina ma non solo, si riferisce soprattutto a quegli abitanti del luogo impenetrabile di cui si accennava prima, così tanti che fa paura contarli. Sì, perché il dubbio che il Movimento ha contribuito a creare nella testa delle persone è stato quello di considerarlo l’unica alternativa adeguata al paese, mentre dalle altre parti persisteva la riproduzione dell’identico. Non sono più coinvolti solo i complottisti e i vari mostri generati da internet ma persone comuni, la maggioranza bianca, con un’istruzione e una cultura, ormai del tutto consumati dall’attesa di un cambiamento da accettarne uno dai contorni sbiaditi.

Le classi dirigenti dei partiti hanno teso, negli ultimi decenni, a rappresentare parti naturalmente in contrasto all’interno del proprio elettorato, arrivando a spostarsi continuamente in una direzione o nell’altra con il fine di accumulare quanti più voti possibili, perdendo così la propria natura, quella che il Movimento, costitutivamente fluido, non ha mai avuto. Per questo Di Maio in pochi anni è diventato il cavallo più promettente di questa trionfale corsa elettorale, rappresentando tutto ma nulla in particolare. Questa struttura debole gli consente di muoversi fra gli insoddisfatti di sinistra e i radicali dell’ultradestra, accennare al reddito di cittadinanza o al sistema di welfare di stampo Nord Europeo e, subito dopo, dichiarare che i sindacati, se non sceglieranno la strada dell’autoriforma autonomamente, verranno riformati dalla sua squadra non appena arriverà al governo. Aut aut. Proprio in questo frangente si muove la pericolosità del Movimento e del suo candidato premier. Gli altri partiti lo sanno. Il nervo del malcontento è sempre quello più scoperto e nessuno, più di loro, è riuscito a rappresentare una alternativa così numericamente forte. Si tratta di una efficace macchina organizzativa che è riuscita a coinvolgere persone con idee opposte e che, mai, si sarebbero potute immaginare nello stesso posto, sfruttando concetti chiave e comprensibili da chiunque. Riportare in auge certe argomentazioni (giovani, precariato, trasparenza..) viene considerato coraggioso, che le soluzioni proposte non stiano spesso in piedi è perché dobbiamo dargli fiducia e tempo di inserirsi.

Il primo passo, quello dell’uno-vale-uno ha permesso di equiparare tutte le opinioni azzerando le competenze. La lotta contro le caste ha seminato un clima di diffidenza e una cieca caccia alle streghe. Il panorama perfetto in cui inserire un individuo trasversale e arrivato dal basso come Luigi Di Maio e la sua retorica del perché nessuno pensa ai bambini, fargli parlare di ambiente e di abbandono del combustibile fossile nel 2050, di precariato e innovazione, delle start up come nuovo modello di rilancio economico. Senza tralasciare le componenti più suggestive dell’antieuropeismo e del contrasto alla centralizzazione bancaria.

 

 

In un’intervista alla BBC il giornalista inglese chiede a Di Maio se la scarsa preparazione possa essere un problema per governare l’Italia. Di Maio sfrutta la domanda per parlare della percezione dei giovani nel nostro paese utilizzando un semplice escamotage esterofilo. In una sua visita a Westminster, dice, i funzionari avevano tutti cinquant’anni mentre qui da noi, parole sue, sarebbero considerati inesperti. L’oggetto della domanda viene così traslato dall’aspetto delle sue competenze effettive al generalista problema dell’età nel nostro paese: «I giovani non sono il futuro, ma il presente», quelli «che sono in grado di cambiare». Lo sguardo da bravo ragazzo di Di Maio basta come suggello alle sue buone intenzioni.

È giovane e, così come il grande nemico Renzi, rappresenta già di per sé l’assicurazione del cambiamento. Aristotelicamente parlando, guardando alle frasi che vengono dette, sono questi gli argomenti su cui far forza per riconoscere la bontà del progetto a cinque stelle. Sconosciuto, e per questo distante dalle vecchie tradizioni politiche, e in più giovane, necessariamente interessato al destino della propria generazione. Ogni attacco o contrasto viene dissimulato con la stessa tecnica di Harvard e dell’aut aut. Questo perché, in fondo, la struttura fluida del Movimento è sempre stata piuttosto rigida, alla cui sommità vengono posti dei leader a cui la fedeltà deve essere totale, perché sono diversi. Lo erano prima Grillo e Casaleggio, lo sono (forse) adesso Di Maio, Raggi e Di Battista. La situazione drammatica della capitale è la Caporetto del progetto grillino, eppure.. Eppure Di Maio non è sembrato mai così pericoloso, depista e semina prove come il dirigente di polizia interpretato da Gian Maria Volonté e «qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano.»

C’è una componente terribilmente ironica nella figura di Luigi Di Maio, nel suo poter essere inserito in ogni luogo a parlare di qualsiasi argomento con la stessa capacità di non dire nulla. La piattaforma di discutibile trasparenza (la stessa trasparenza che il Movimento vuole portare nel nostro paese) attraverso cui è stato eletto si rifà alla figura di Jean-Jacques Rosseau colui che, evidentemente, viene inserito nel novero degli ispiratori del modello a cinque stelle. È ironico perché all’interno del suo Contratto Sociale metteva in guardia il lettore proprio dalle terribili conseguenze che avrebbe portato l’assoggettamento dello Stato al volere della massa premarxiana. Quell’oclocrazia, letteralmente il potere della moltitudine, che diventa degenerazione della democrazia quando il populismo si impone. Il cittadino Di Maio si pone sopra ogni sospetto, non ha appartenenze e difetti, l’unico idealismo di cui si macchia è quello del buon governo. Eppure, come nel film di Petri, non sappiamo cosa accade quando le tapparelle si abbassano e il gioco del potere comincia.

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