Luce d’agosto | TOdays Festival

Fotografie di Alessia Naccarato

Tre è il numero perfetto, nonché il numero delle edizioni di TOdays Festival che dal 2015 chiude la stagione estiva delle rassegne musicali torinesi. Nato dalle ceneri del Traffic, il festival gratuito che per un decennio ha portato il meglio della selezione italiana e internazionale nel capoluogo sabaudo, TOdays si è fatto ben presto largo puntando sulla qualità e proponendo al pubblico un ventaglio ricco di offerte. Musica, formazione e valorizzazione del territorio sono stati, ancora di più rispetto agli anni precedenti, i protagonisti dell’edizione 2017 che si è svolta da venerdì 25 a domenica 27 agosto in diversi punti del quartiere Barriera di Milano, una delle zone urbane in cui si sta maggiormente lavorando per la riqualifica e il rinnovamento della periferia.

Il fulcro dell’evento è come in passato l’area outdoor dello sPAZIO211, uno dei locali simbolo della scena musicale italiana da quasi vent’anni, che si trasforma nel palcoscenico ideale per ospitare sia i grandi della musica che le nuove leve del panorama indipendente. A pochi passi da qui si aggiungono all’elenco dei luoghi del TOdays anche l’Ex INCET, un tempo l’Industria Cavi Elettrici Torino, che durante le notti di venerdì e sabato ospita il Varvara Festival diventando il punto di raccolta per gli amanti della musica elettronica insieme al Parco Aurelio Peccei. In orario pomeridiano sono, invece, la Galleria d’Arte Gagliardi e Domke di Via Cervino, gli Arca Studios di Via Valprato e la Piscina Sempione ad accogliere da una parte laboratori, workshop e mostre e dall’altra il divertimento che soltanto un pool party in un’afosa domenica pomeriggio può regalare.

Non è un caso che a Torino la maggior parte dei festival siano stati collocati in luoghi che una volta ospitavano fabbriche come il Kappa FuturFestival al Parco Dora, ospedali psichiatrici come il Flowers Festival nel Parco della Certosa di Collegno o ancora stabilimenti per la manutenzione di veicoli ferroviari come le OGR che dal 30 settembre saranno riaperte per diventare uno dei nuovi poli dedicati alla musica e all’arte. La tendenza della città è quella di trasformarsi, mentre la vocazione di TOdays è quella di mescolare il passato al futuro, soprattutto grazie a un palinsesto fitto di appuntamenti rivolti a tutti, capaci di attrarre turisti italiani e stranieri, stampa e cittadinanza. Quello che rimane dopo le tre intense giornate di festival è la voglia di mettersi in gioco, lo spirito più autentico di una manifestazione nutrita da un respiro internazionale e dall’esigenza di guardare oltre le barriere, quelle di cui non vorremmo più sentire parlare in quest’epoca storica.

Venerdì 25

Un soldout annunciato per l’unica data italiana del tour di PJ Harvey. Da giorni è impossibile trovare un biglietto, chi ce l’ha se lo tiene ben stretto e chi non è riuscito ad acquistarlo non riesce a darsi pace. Spalancati i cancelli, il pubblico comincia ad affluire intrattenuto dapprima dall’esordiente fiorentina Alice Bisi in arte BIRTHH che incanta con la freschezza dei suoi vent’anni e poi dal cantautore napoletano Giovanni Truppi, tanto intenso quanto irrequieto accompagnato soltanto da pianoforte e voce.

Mentre il sole tramonta, aumenta il batticuore. PJ Harvey appare sul palco accompagnata da nove dei più validi musicisti in circolazione, tra i quali John Parish, l’amico di sempre, Mick Harvey, ex-membro dei Nick Cave and the Bad Seeds, James Johnston dei Gallon Drunk e gli italiani Alessandro Stefana ed Enrico Gabrielli. Queen Polly Jean sembra uscita direttamente da un film di Wes Anderson, travestita da corvo come la piccola Suzy Bishop in Moonrise Kingdom. La pelle chiara, i capelli lisci e le gambe lunghissime risaltano in mezzo al piumaggio nero del gilet che indossa nonostante i trenta gradi. È lei a condurre i giochi con la sua voce delicata e forte che irrompe nell’aria sulle note di Chain of Keys e che trafigge il cuore fin da subito con The Ministry of Defence e The Community of Hope, tratte dall’ultimo album The Hope Six Demolition Project.

Le sue mani vorticano con leggerezza in direzione del pubblico che la ammira come una divinità scesa in terra. Più di quindici brani per più di un’ora e mezza di show da cui emerge interamente la dimensione sonora della cantautrice britannica. Dalla tormentata Shame alle delicate atmosfere di Let England Shake, The Words That Maketh Murder e The Glorious Land fino ad arrivare alle vibrazioni punk di 50 Ft Queenie non c’è tempo per pensare, ma solo per farsi travolgere dalle sfumature sonore. La tensione emotiva cresce e diventa avvolgente come l’aria rovente di questa serata d’agosto seguendo la scia ritmica di The Wheel e dei sassofoni che la accompagnano, ma soprattutto grazie ai successi senza tempo come Down by the Water, sensuale e rock e To Bring You My Love, quasi un inno alla malinconia. Il finale come da copione è scenografico, con tutti e nove i membri della band di PJ Harvey schierati sul ritornello di River Anacostia “Wade in the water, God’s gonna trouble the water”. Dopo lo scroscio di applausi non è facile accettare l’epilogo: chi sostiene che la perfezione non esista probabilmente non ha mai visto un live di PJ Harvey.

Salire sul palco dopo una delle più grandi icone viventi del rock non è facile per nessuno, ma non è per questo motivo che Mac DeMarco accende e spegne una sigaretta dopo l’altra durante il soundcheck. Il pubblico ha ancora nelle orecchie la voce di PJ Harvey mentre il cantautore canadese Vernor Winfield Macbriare Smith IV, per gli amici Mac, trotterella sul palco partecipando attivamente all’allestimento e alla verifica degli strumenti. Immancabile il cappellino con la visiera che indossa e senza il quale si sentirebbe nudo, anche se riflettendo bene il paragone non è efficace poiché per Mac DeMarco non è un problema spogliarsi in pubblico, né darsi fuoco ai peli delle ascelle o tanto meno essere arrestato durante uno dei suoi concerti. Così attendiamo che tutto sia pronto chiedendoci cosa sia ancora in grado di fare per stupirci. L’atmosfera è cambiata totalmente, quasi ci avessero catapultato improvvisamente a un falò su una spiaggia californiana, Mac DeMarco imbraccia la chitarra alternando le canzoni contenute nell’ultimo disco This Old Dog a più vecchi pezzi di successo come Salad Days che fa cantare tutti, ma proprio tutti, così come la cover di Gipsy Woman della cantante dance Crystal Waters, una chicca anni ’90 che infuoca il pubblico con il suo “La da dee la dee da”. A Mac DeMarco non si può chiedere altro che spensieratezza e tanti “grazi”.

 

 

Sabato 26

Dopo un inizio con il botto anche il secondo giorno di TOdays registra un’altra volta il tutto esaurito. Il segreto del successo di questa rassegna? L’irripetibilità degli eventi. Anche se non si può dare la colpa a nessuno, accade spesso che festival diversi abbiano gli stessi artisti in cartellone ed è un dato di fatto che a parità di costi del biglietto vinca chi mostra di avere le proposte più nuove e interessanti. In tre anni TOdays ha sviluppato particolarmente bene quest’abilità, dimostrando di avere fiuto e consapevolezza del panorama musicale dentro e fuori i confini nazionali.

I protagonisti della serata di sabato sono Richard Ashcroft e Perfume Genius, entrambi a Torino per un’unica data in Italia. Messi a confronto sembrano un po’ come il diavolo e l’acquasanta, tanto diversi, quanto simili, in grado di ammaliare gli ascoltatori. A precederli c’è Giorgio Poi, cantautore della scuderia Bomba Dischi, che a febbraio scorso è uscito con il suo disco d’esordio Fa niente e che durante l’anno non si è mai fermato, correndo da una data all’altra del suo tour e macinando più chilometri di un maratoneta. L’ora dell’aperitivo scorre in fretta in compagnia della sua musica, di una birra ghiacciata e delle patate al forno del Rock Burger.

Intanto Mike Hadreas, in arte Perfume Genius, è pronto per salire sul palco e mostrare a tutti cosa significa essere un performer completo. A maggio scorso è stato pubblicato No Shape, il suo quarto album, ancora più denso e intimo rispetto ai precedenti lavori. Da Otherside, proprio la prima traccia del disco sopracitato, ha inizio il suo incredibile show costruito intorno a una voce potente e una straordinaria padronanza del proprio corpo. Il cantautore originario di Seattle si muove in modo sinuoso mentre il sole scompare dietro l’orizzonte e il buio inghiotte il microfono che scivola lentamente in basso verso l’addome.

La sua voce si propaga nell’aria sulle note di Slip Away, toccando le corde emotive giuste del pubblico. Ipnotico e seducente, un vero fuoriclasse. Nei giorni scorsi la stampa nazionale si è concentrata sul caso di alcuni spettatori che hanno lanciato invettive dal carattere omofobo nei confronti del cantante americano. Un fatto grave, che nel 2017 ci amareggia non poco, soprattutto perché ha avuto l’effetto di mettere in ombra la bellezza della sensazionale performance di Perfume Genius. La musica dovrebbe unire, mai dividere. Quanta strada dobbiamo ancora fare per capirlo?

Concluso lo show di Perfume Genius che ci ha così stupito da lasciarci a bocca aperta, siamo convinti che Richard Ashcroft si debba impegnare per raccogliere la nostra attenzione. Ma l’ex leader dei Verve è intenzionato a darsi da fare e il pubblico lo accoglie con un boato. Capello corto, grandi occhiali da sole e una giacca arancione che dopo una canzone getta via stordito dal caldo. Questo look si sposa alla perfezione con la grinta che soltanto un inglese dall’indole eroica può tirare fuori per difendersi dall’afa della Pianura Padana. Così energico che già alla seconda canzone ha trascinato tutti a cantare Sonnet, una delle quattordici tracce contenute in Urban Hymns.

Un disco diventato leggenda che quest’anno compie vent’anni e che racchiude anche le intramontabili Space and Time, Lucky Man e The Drugs Don’t Work che ci fanno sentire tanto vecchi quanto felici alla prima nota. Forse avevamo sottovalutato la forza dei ricordi e la presenza scenica di Richard Ashcroft. Un live di questo tipo è sintetizzabile in tre parole: sudore, chitarre e lacrime. Come nei finali più belli ci sono almeno tre generazioni che intonano insieme “Cause it’s a bittersweet symphony, this life / Try to make ends meet / Try to find some money then you die / I’ll take you down the only road I’ve ever been down / You know the one that takes you to the places where all the things meet yeah” ed è tutto talmente bello che ridiamo e piangiamo insieme.

 

 

Domenica 27

La serata conclusiva di TOdays profuma di nostalgia ancora prima di cominciare mentre corriamo verso il festival travolti dal calore rovente dell’asfalto. Chi ha potuto trovare refrigerio alla Piscina Sempione e partecipare alla festa più ignorante della tre giorni torinese è scampato momentaneamente al caldo, ma non sarà in grado di rimuovere per tanto tempo l’immagine del villaggio vacanze gestito dai Pop X. Chi, invece, è arrivato direttamente allo sPAZIO211 ha incontrato prima Andrea Laszlo De Simone, il cantautore torinese che a giugno ha esordito con il suo progetto solista Uomo Donna e poi i Gomma, capeggiati dalla giovanissima Ilaria che, con questo nuovo taglio di capelli ricorda Millie Bobby Brown che interpreta Undici in Stranger Things, canta con rabbia e disincanto il mondo. Seguono i Timber Timbre che partono lentamente come farebbe un diesel, quando la luce della notte soppianta quella del giorno e la colonna sonora perfetta è un accompagnamento di sax così com’era per PJ Harvey e la sua band. Implacabile il ritmo in Hot Dreams che ci fa ondeggiare con gli occhi iniettati di luci psichedeliche. Il folk della band canadese è sensuale e lucido più le tenebre ci inghiottono.

Altro giro altra corsa, questa volta a bordo della carovana guidata dagli Shins che si presentano sul palco sommersi di fiori e da un tripudio festante di applausi. Davanti a noi due ragazzi con gli occhiali si baciano senza sosta, attratti l’uno all’altra da una forza magnetica. La band indie rock suona per loro e tutto il mondo è fuori. Ci sentiamo un po’ così anche noi, catapultati ai primi anni duemila durante una festa del liceo. Quanto tempo è trascorso da quando ascoltavamo in cameretta gli Shins? Sembra chiederselo anche James Mercer che presenta una dopo l’altra sia le canzoni di album storici come Oh, Inverted World e Wincing the Night Away sia l’ultimo uscito Heartworms. Sulle note di New Slang qualcuno tra il pubblico urla “vi stavamo aspettando da dieci anni”, ed è proprio vero, l’attesa ci stava logorando ma ci ha ricompensato di tutto questo tempo.

Ormai la polvere sotto i piedi ci fa capire che siamo arrivati alla fine della serata e quindi del festival. L’onere o l’onore di chiudere l’edizione 2017 di TOdays va ai Band of Horses che per più di un’ora suonano mentre alle loro spalle la scenografia ritrae un gigantesco bosco. Il rock americano non è mai stato così vivo e naturalmente dal richiamo folk. Le gambe si fanno pesanti quando canzone dopo canzone arriviamo davvero alla conclusione con The Funeral. Un po’ ce lo aspettavamo, un po’ lo speravamo. Canzoni come questa ci fanno sentire più leggeri anche quando l’estate sta finendo e il sole di un altro lunedì sorgerà presto.

TOdays ci ha insegnato che la musica deve essere in ogni caso la protagonista. Come la scorsa edizione, anche quest’anno sono state 30.000 le presenze registrate nei tre giorni di festival, un dato che conferma l’ottimo lavoro che si è fatto per mettere in piedi la manifestazione. Le persone hanno riempito questi luoghi di pensieri, idee e discorsi e continueranno a farlo finché ci sarà la possibilità di trovare qualcuno che ascolti le loro richieste. Mentre torniamo a casa pensiamo già all’edizione 2018, chissà cosa ci riserverà, chi calcherà questo palco e quante e quali saranno le novità. La macchina di TOdays non dorme mai e sappiamo che non troppo tardi ci darà degli indizi, ma adesso è arrivato il momento di chiudere gli occhi almeno fino a domani mattina. La trasformazione parte dalla ricerca continua, anche nei momenti di riposo. Ci vediamo per la quarta edizione!

 

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